Al largo dell'Elba trovato il tesoro della nave fantasma

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    GIALLO STORICO: DOMANI DAVANTI A CAPO CALDO INIZIERÀ IL RECUPERO

    Mistero del Polluce, naufragato nel 1841: 170 mila monete destinate ai carbonari italiani

    GENOVA
    Una nave misteriosa colata a picco, un tesoro tra i più cospicui al mondo, gli immancabili predoni. Un giallo del mare che è rimasto sepolto per oltre un secolo e mezzo e che, tra pochi giorni, potrebbe trovare soluzione, grazie ad un recupero eccezionale. E' la storia del Polluce, un piroscafo della compagnia genovese De Luchi-Rubattino naufragato la notte del 17 giugno 1841 davanti all'isola d'Elba, a tre miglia da capo Caldo, nei pressi diPorto Azzurro. La nave, salpata da Civitavecchia e diretta a Livorno, fu speronata dal vapore napoletano Mongibello e affondò in una decina di minuti L'equipaggio e tutti i passeggeri, salvo uno, un vecchio capitano, si salvarono. Ma di questi ultimi, si sa poco o nulla. Si è parlato di nobili russi, addirittura del nipote di Napoleone. Non esiste un elenco. Né è stata mai trovata la lista del carico. Il Polluce, almeno in Italia, è rimasto per 150 anni una nave fantasma. Scomparso dalla storia. E' riapparso soltanto di recente, grazie ad un'inchiesta giornalistica e un libro di Enrico Cappelletti, un sanremese che ha fatto il croupier alle Baha-mas, il sub, il fotografo e il giornalista di mare e dal chimico genovese Gianluca Mirto, entrambi appassionati di relitti e tesori sommersi.

    L'interesse di questi ultimi prende spunto, nell'ottobre 2002, dalla notizia di un telegiornale che parla del sequestro di 311 monete d'oro e 2 mila d'argento da parte Scotland Yard presso una casa d'aste di Londra e della loro restituzione all'Italia, perché depredati in acque italiane. I due amici cominciano ad indagare, per saperne di più e dopo aver seguito decine di piste, approdano al Pollux, un veliero spagnolo che secondo una leggenda èlbana si sarebbe auto-affondato nel 1821 davanti all'isola toscana per non finire in mani francesi, con a bordo il tesoro dei Borboni. Pollux, Polluce. Provano con quest'ultima chiave ed è la svolta. S'imbattono nel resoconto del tentativo di recupero di un piroscafo chiamato Polluce, naufragato all'Elba nel 1541. Bingo! In Francia, sui giornali dell'epoca. Cappelletti e Mirto scoprono le cronache della collisione. E le dichiarazioni di un nostromo sul carico del Polluce: parla di 170 mila monete d'oro e d'argento.

    A Livorno, poi, spuntano gli atti della causa per il sinistro. E il mistero s'infittisce: Rubattino, l'armatore del Polluce, vince il processo, ma non viene risarcito. E lui non fa nulla per recuperare la perdita. Per altro, non coperta dall'assicurazione. Perché? Le ipotesi sono suggestive. Una su tutte: il piroscafo genovese è stato affondate apposta, dai Borboni, perché trasportava un tesoro destinato ai carbonari italiani (Rubattino è l'armatore che ha dato le navi a Garibaldi per la spedizione dei Mille); lo stesso Rubattino, proprio per questo, ha preferito non esporsi più di tanto, salvo provare a recuperare il relitto sette giorni dopo il naufragio. Inutilmente.

    Già, il tesoro. Ci hanno provato in tanti a metterci le mani sopra. Perché, nonostante il Polluce sia stato per oltre 150 anni una nave fantasma, scomparsa da archivi, registri, documenti, del suo carico (si parla di un valore di cento milioni di dollari) s'è continuato a sussurrare sulle banchine dei principali porti e negli ambienti grigioscuri dei cacciatori di forzieri sommersi. Nell'inverno 2001 ci sono andati molto vicino sette inglesi, i quali, con l'aiuto di complici italiani, hanno calato una benna sul fondale, facendo credere alle autorità di cercare una nave affondata da un TT-Boot tedesco, e hanno preso il possibile. Sono stati identificati, arrestati, hanno pagato una multa e sono stati liberati. Ma se il giallo storico resterà aperto chissà ancora per quanto, è invece destinato a chiudersi presto il capitolo dei predoni del mare. Lunedì, infatti, parte l'operazione di recupero del relitto. Il Polluce e il suo tesoro troveranno finalmente tutela, diventeranno proprietà dello Stato. E i reperti potranno essere ammirati da tutti, in un museo permanente all'Isola d'Elba (a Capoliveri o a Porto Azzurro). L'operazione, unica al mondo per complessità e tecnica, sarà coordinata dall'HDSI (The Historical Diving Society Italia) di Marina di Ravenna, un'associazione no profit che ha siglato un accordo con il ministero dei Beni archeologici e culturali e con la Soprintendenza di Firenze, impegnandosi a effettuare lavori per 500 mila euro, in cambio della possibilità di sfruttare le immagini del recupero e di organizzare mostre itineranti dei reperti per un periodo di massimo otto anni.

    TECNICA RIVOLUZIONARIA
    Per la prima volta si opererà con la tecnologia dell'immersione in saturazione. I sommozzatori della Marine Consulting di Ravenna lavoreranno per giorni a una profondità di 103 metri. Si prepareranno all'immersione in una sorta di «casa» pressurizzata, installata su una nave-pontone ancorata sul punto in cui giacciono i resti del Polluce. Saranno così eliminate le fasi di compressione decompressione. Gii uomini si caleranno dal pontone al fondale con una «campana di discesa», alla quale resteranno «attaccati» attraverso un tubo, una sorta di «cordone ombelicale» che trasmetterà loro la miscela da respirare, acqua calda contro il freddo e assicurerà il collegamento radio e video. [f. p.] Il valore del tesoro affondato con il «Polluce» ammonterebbe a 100 milioni di dollari


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