Blemmi

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    I blemmi (in greco: Βλέμυες; in latino: Blemmyae) erano un'antica popolazione nomade della Nubia menzionata da alcune fonti storiche tardo-romane e bizantine. Altre fonti, greco-romane e soprattutto medioevali, forniscono, invece, una descrizione mitizzata di questo popolo, che assume connotati tipicamente mostruosi. In questo secondo contesto, infatti, i blemmi sono un popolo mostruoso stanziato in un luogo imprecisato dell'Africa orientale: la Nubia, l'Etiopia, o, più genericamente, le terre a sud dell'Egitto.

    I blemmi mostruosi sono descritti come degli esseri acefali, con gli occhi e la bocca posti sul ventre o sul torace. Così li riassume, ad esempio, Plinio il Vecchio (23-79) nella sua Naturalis historia: «Si dice che i Blemmi non abbiano il capo, e che abbiano la bocca e gli occhi nel petto».

    Pomponio Mela nella sua Chorogràphia sostiene che i "Blemyae non hanno teste, ma hanno le facce sul petto".

    Jehan de Mandeville verso il 1371 scriveva:

    (EN)
    « And in another yle toward the south duellen folk of foul stature & of course kynde, that han none hedes & here eyen ben in here schoulders. » (IT)
    « E in un'altra isola verso sud vive un popolo di brutta statura e di tipo disgustoso, imperocché non possiede testa e i loro occhi sono tra le loro spalle. »
    (Jehan de Mandeville, Mandeville's Travels)
    Shakespeare fa accennare a Otello, rivolto a Desdemona, di certi uomini "le cui teste crescono sotto le spalle".

    Anche nel canone pāli buddhista si trovano accenni ai Blemmi, sia nel Vinaya Piṭaka (iii, IV, 9.3) che nel Sutta Piṭaka (Majjhima Nikāya, III, 203). In questo caso è il discepolo Mogallana che narra al Buddha di una sua visione, in cui degli esseri rilasciati dagli inferni, già colpevoli di uccisioni, vagano in cerca di rifugio. Della lista che ne viene fatta, uno viene descritto come "tassa ure akkhīni ceva honti mukhañca", privo di testa "con occhi e bocca sul tronco". Il Buddha lo chiama Hārika e lo identifica come un ex boia di Rajgir.

    Procopio di Cesarea (500-565), storico bizantino del VI secolo, cita i blemmi nel primo libro della sua opera in otto volumi sulle campagne militari di Giustiniano I contro i sasanidi in Persia, i vandali in Numidia e gli ostrogoti in Italia.

    « Dalla città di Axum fino ai confini egiziani dell'impero romano, dove si trova la città di Elefantina, ci sono trenta giorni di marcia, per un buon camminatore. Là vivono molti popoli, di cui i Blemmi (Βλέμυες, Blémyes) e i Nobati (Νοβάται, Nobátai) sono i più numerosi. Ma i Blemmi abitano nell'interno di quella regione, mentre i Nobati occupano la zona lungo il fiume Nilo. »
    (Procopio di Cesarea, De Bello Persico (Sulle guerre), I, 19.)
    Secondo Procopio, i blemmi abitavano la Nubia assieme ai nobati, e, come questi ultimi, adoravano le stesse divinità dei greci, oltre ad Iside e Osiride. Il loro territorio era delimitato ad ovest dal Nilo e ad est dal Mar Rosso, e si estendeva, da nord a sud, da Coptos nell'Alto Egitto alla città di Axum, in Etiopia.

    Una fonte latina del IV secolo, la Historia Augusta, elenca i blemmi fra i popoli che onorarono il trionfo di Aureliano nell'anno 274. Nel III secolo, infatti, sia i blemmi che i nobati erano entrati in conflitto più volte con l'impero romano. I nobati, tuttavia, dopo aver subito una dura repressione da parte dall'imperatore Diocleziano nel 298, erano divenuti alleati dei romani (foederati) in Dodecascheno proprio contro i blemmi, anche se i governatori romani d'Egitto pagavano comunque ai nobati un tributo annuale in oro per prevenire possibili incursioni nel proprio territorio. I blemmi continuarono a rappresentare una minaccia per l'impero anche nel secolo successivo, come testimonia un'iscrizione in demotico del 373 che ricorda una loro incursione nell'oasi di Kharga, nel deserto libico-nubiano.

    La loro localizzazione e il loro stile di vita hanno indotto alcuni storici contemporanei ad avanzare l'ipotesi che i blemmi fossero gli antenati dei begi, un gruppo etnico del Nordafrica.
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