Fantasmi e misteri della Lombardia

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    Il periodo Celtico


    E' cosa risaputa le presenza dei celti in Lombardia fino al 220 a.C.. Numerosi sono i resti da loro lasciati non solo in questa regione, ma anche nel resto d'italia.
    Alcune tra la principali tribù erano gli Insubres (Lombardia centro-Dccidentale), gli Orobii ed i Leponti (Lombardia Settentrionale), ed i Cenomani (Lombardia Orientale).
    Ma..siamo sicuri che i celti se ne siano andati davvero nel 220 a.C.?
    La prima parte di questo post sarà incentrata sulla figura di questo magico popolo...
    El Sercol-Nuvolera

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    Il nome stesso che significa “circolo”, deriva direttamente dal dialetto bresciano e indicherebbe un luogo che si trova in cima al monte Cavallo, una ripida collina boschiva sopra la cittadina di Nuvolera.
    Si scorge ben distinto, perché di tonalità diversa rispetto alla conformazione del monte, l'immagine di un gigantesco cerchio bianco, appena percettibile tra la fitta vegetazione, ma perfettamente circolare, a riprova che è stato creato dalla mano dell’uomo.
    Un opera colossale, dal diametro di 42 metri, ottenuta con un'immane opera di scavo di un fossato profondo circa 2 metri, riempito con centinaia di tonnellate di pietre chiare, appoggiate l’una sull’altra, in un ambiente di straordinaria posizione panoramica, ideale sia per gli avvistamenti che per l'osservazione della volta celeste.
    1.una fortezza?
    E' stato giustificato come una fortezza, per la buona posizione strategica, ma poco esteso per ospitare abitazioni. Inoltre non sono presenti sorgenti, pozzi o cisterne, rendendo così troppo difficile la permanenza. Se il cerchio poteva essere un eventuale muro di cinta, sarebbe stato irrisorio e quel poco che resta non è attribuibile a un crollo.
    2.un luogo di culto pagano?
    Forse un ambiente adibito a luogo di culto pagano (vi è in effetti una zona priva di pietre che poteva essere l’accesso all’area), come proposto dal professore Alberto Pozzi, uno dei massimi esperti di megalitismo, che avrebbe datato il “Sercol” tra il 1.500 e il 500 a.C.
    Per altre ipotesi visitare il sito
    L’uomo nella pianura bresciana è apparso 25.000 anni fa, come dimostrato da alcuni insediamenti paleolitici non distanti da qui, oggi all’interno dell’importante area archeologia Riparo Valtenesi, a Manerba del Garda.
    Qui, in seguito ad alcuni scavi, sono stati riscoperti numerosi reperti a riprova della presenza umana tra il Mesolitico e il Neolitico Antico (6000 – 5000 a.C.), mentre a partire dall’età del Rame (3000 – 2500 a.C.) la zona fu utilizzata come luogo di culto per la scoperta di buche isolate destinate ad accogliere statue-stele in legno.
    Questa stessa area fu utilizzata come necropoli per tombe collettive sigillate e coperte da piattaforme di sassi simili a quelle del Sercol, una tipologia di sepoltura particolare, forse collegata a un calendario rituale.
    Fortezza, osservatorio, luogo di culto, necropoli… quale sarà la corretta dicitura che accompagnerà la parola Sercol?
    Approfondimento

    La porta delle cornacchie-Roncobello

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    In località Roncobello, nelle Valli Orobiche, sulla cima di un crinale roccioso a circa 1200 metri di altezza, è stato individuato un allineamento anomalo di massi di porfido rossiccio.
    Sono 11 massi, alti da 2,5 a 3 metri, allineati nei pressi di un precipizio, nel quale ne sarebbero precipitati due formando un'apertura nella "cinta" da cui avrebbe origine lo stesso nome di " Porta delle Cornacchie".
    Sono massi squadrati alla base e in parte ai lati, hanno una conformazione cubica anche se sicuramente anche levigati dalle intemperie di diversi millenni. Sono disposti in maniera molto regolare e ciò che li caratterizza è il taglio netto che li divide. Ma ancora più enigmatico è il fatto che l’intero complesso poggia su una base di arenaria , materiale questo che nulla ha a che fare con il porfido.
    E’ davvero difficile pensare che solo la natura possa avere modellato questi blocchi.
    Nell’antichità era molto diffusa la tecnica di modificare strutture naturali per renderli veri e propri templi di adorazione, spesso, ad esempio, le colline per la loro forma piramidale venivano adibite ad ambienti rituali edificando il tempio alla loro sommità. L'osservazione del moto del sole e della luna, e la ricerca di ambienti adatti a permettere una visione d'insieme della volta celeste e delle terre circostanti, luoghi che potessero dare l’illusione di essere sempre più vicini ai moti celesti e agli Dei, portarono svariate civiltà, differenti per epoca e lontananza, a far sorgere templi quasi indistruttibili ed eterni.
    Approfondimento

    Gli spaziali di Capo di Ponte - Brescia

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    Per lo studioso di antichi misteri o per il semplice curioso appassionato di archeologia è d’obbligo una visita approfondita a Ceto, in provincia di Brescia, Lombardia, presso la Riserva Regionale di Ceto-Cimbergo-Pasparddo. Tutelata dall’Unesco, la Riserva raccoglie, oltre a un florido ecosistema boschivo e animale, una fetta del periodo Neolitico entro il quale si sviluppò la civiltà dei Camuni. Qui, disseminate a tratti, sono visibili da sempre splendide incisioni rupestri che riproducono la vita, la storia, gli eventi quotidiani e più straordinari di questa antica cultura.

    Molte delle incisioni sono di aspetto bizzarro ed enigmatico: particolarmente interessanti per chi si diletti nelle teorie legate alla Paleoastronautica (già introdotte da studiosi e scrittori del calibro di Peter Kolosimo, Erich Von Däniken, Robert Charroux, Pauwels e Bergier, n.d.a.) o degli Antichi Astronauti sono alcune figure umane stilizzate, la cui testa è “racchiusa” all’interno di una specie di casco, trasparente, all’esterno del quale si dipartono sorte di raggi (fasci di luce? n.d.a.). Le creature, o gli “spaziali” come qualcuno ha sostenuto in volumi dedicati all’argomento, reggono nelle loro mani degli oggetti, strumenti di origine ignota. I più noti e famosi sono quelli presenti nella parete che la guida della Riserva Regionale di Ceto indica come Roccia N°24.

    Va ricordato che le misteriose figure di tali presunti Antichi Astronauti hanno spinto alcuni coraggiosi ricercatori a ipotizzare la venuta sulla Terra, durante il periodo Neolitico, proprio in questa zona, di visitatori extraterrestri. La teoria, molto cara al noto professore russo Aleksandr Kasanzev, ha avuto ampia eco, portando alla scoperta di altre incisioni più o meno simili in aree remote del pianeta: dall’Africa, all’Australia, dalla Francia alla Mesoamerica, fino alle Ande. Come ha ricordato Jacques Bergier nel suo libro “Il Mattino dei Maghi”, sono “ipotesi interessanti, stimolanti, degne di conversazione… ma rimangono soltanto per il momento solo teorie.” Noi possiamo aggiungere che, in ogni caso, nessuno può negare aprioristicamente o confermare l’ipotesi di un presunto contatto, voluto o meno, tra visitatori alieni e le culture Camune della zona.
    Le stranezze nella Valcamonica non finiscono qui. Al viaggiatore non deve sfuggire la visita di un’altra importante area archeologica: il Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri che si estende presso Capo di Ponte, provincia di Brescia, nelle vicinanze di Ceto. La Valcamonica – la cui etimologia trae le origini da Camuni – era popolata da cacciatori e pastori semi-nomadi di origine ligure; per alcuni archeologi l’origine di questa cultura è da collegarsi alle tribù celtiche di matrice centroeuropea che si insediarono in buona parte del Nord Italia intorno al 3.000 a.C. In condizioni di relativo isolamento, protrattosi fino alla conquista militare dei Romani nel 16 a.C. circa, i Camuni diedero vita a una cultura autonoma, con caratteri fortemente omogenei.

    La documentazione e la prova di questo passaggio culturale, dal nomadismo a una civiltà con radici fisse, è testimoniata da oltre 40.000 figure rupestri scolpite nella roccia, incise su 900 lastre granitiche. Furono rinvenute e segnalate al mondo scientifico dal prof. Gualtiero Laeng. In seguito, a partire dal 1929 fino ai giorni nostri, sono state condotte campagne di scavo, ricerche sistematiche di classificazione, recupero e restauro di tutte le incisioni rupestri. Ma dobbiamo attendere il 1956, quando il prof. Emmanuel Anati (che condusse numerose spedizioni sul monte Har Karkom, dedicando molto tempo alla ricerca di tracce e prove concrete della biblica Arca dell’Alleanza, n.d.a.) avvia uno studio sistematico di tutti i paleograffiti fino alla prima campagna di scavo del 1962, i cui entusiasmanti risultati vennero presentanti e pubblicati all’interno degli Atti del Simposio Internazionale di Arte Rupestre tenutosi a Boario Terme nel 1968.
    Come ha ricordato Anati: “…le incisioni rupestri della Valcamonica, si dispongono su un arco temporale tra la tarda età eneolitica e l’età preromana e sono osservabili ovunque in tutta la valle, soprattutto nella zona di Boario Terme con una massima punta compresa tra Ceto e Sellero per finire con Capo di Ponte.” Per promuovere e conoscere questa antica e misteriosa civiltà Anati ha fondato il primo Centro Camuno di Studi Preistorici.
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    La Dea Madre di Teglio
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    Uno dei simboli dell’archeologia valtellinese è la cosiddetta “Dea Madre”, il monolitico Caven 3 risalente al III millennio a.C.
    La misteriosa icona è stata da sempre associata all’idea della fecondità. E se, invece, questa fosse la prima rappresentazione geo-topografica del territorio tellino, risalente al periodo protostorico, cioè prima dell'uso della scrittura? Una sorta di mappa o moderno catasto?
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    La chiesa di S. Giovanni Decollato: Il Sator, mosaici, i Templari e la Massoneria-Pieve Terzagni

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    Risale all’XI secolo la fondazione di questa chiesa, che fu sicuramente fra le tante Pievi volute da Matilde di Canossa. La chiesa fu interessata da lavori di rifacimento, restauro ed ampliamento tra il XVII e il XVIII secolo, interventi che hanno in gran parte snaturato la costruzione primitiva, ma hanno fortunatamente lasciato importanti tracce dell’antico tempio. Di questo rimangono infatti una colonna originaria e ampie parti dell’antico mosaico pavimentale che ancora ricopre gran parte dell’abside e una parte della navata centrale. Il mosaico è datato intorno al 1100, ed è composto da figure umane e da figure animali con contorno nero su fondo bianco; alcune tessere presentano una certa colorazione, ad esempio nel volto del diacono Stefano. I temi presentati dal mosaico sono di carattere sacro, ma anche di carattere profano. Ecco allora che nella zona presbiteriale si possono vedere i quattro Evangelisti ricordati ciascuno dal proprio simbolo; il diacono Stefano; la figura di un felino che abbassa la testa in segno di sottomissione.
    La figura del diacono Stefano, del quale c’è l’indicazione del nome in latino mentre la sua carica è espressa in greco, è contornata da due colonne ed un arco, oltre che da sei croci greche ad indicare probabilmente l’importanza che rivestiva per la Pieve.
    Il bestiario medievale spadroneggia nella parte profana del mosaico, quella della navata: un cervo, un gallo, un tacchino, forse dei lupi, dei felini. Compare anche una figura mitologica, una sirena bicaudata, la Melusina che in tante altre opere medievali viene rappresentata. Queste figure sono poste entro cerchi a loro volta compresi in dodici quadrati. Nelle vele della cupola dell'abside alcuni soggetti sono riprodotti a fresco.
    All’importanza artistica e storica di questo pregevole mosaico si aggiunge il mistero della presenza della famosa frase del quadrato magico del Sator. È molto rovinato e incompleto in quanto probabilmente è stato riutilizzato durante lavori di rifacimento e poi malamente reimpiegato e sparso in tutto il pavimento, tanto che ne manca la quasi totalità. Rimane fortunatamente la parola Sator a ricordare la presenza in questa Pieve del Quadrato.
    Lo stemma del comune di Pescarolo ed Uniti, di cui Pieve Terzagni è frazione, riporta interamente il quadrato magico nell'angolo in basso a sinistra

    Il Quadrato Magico
    Si tratta di una frase palindroma, cioè che si può leggere indifferentemente sia da destra che da sinistra, in lingua latina: SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS. Sono cinque parole di cinque lettere ciascuna, che si possono quindi collocare in un quadrato in cui ogni parola può essere letta dall’alto in basso, dal basso in alto, da destra a sinistra, da sinistra a destra, formando sempre la stessa frase. L’origine del quadrato affonda in epoche lontanissime. Se ne conoscono esempi negli scavi di Pompei, in resti romani in Inghilterra. Una delle prime testimonianze nella Cristianità si trova in una Bibbia carolingia dell’822. La traduzione della frase è controversa, ed ha fatto e fa discutere gli studiosi. Il fascino che esercita il “quadrato magico” rimane tuttavia innegabile.

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    La chiesa di Pieve Terzagni non finisce di stuzzicare la curiosità di chi è sensibile al fascino del mistero. Nel timpano della facciata, infatti, fa mostra di sé un triangolo equilatero circondato da fiamme rosse, al cui centro è collocato l’occhio che tutto vede. Il triangolo equilatero è simbolo di perfezione, e con l’occhio inscritto al suo interno è simbolo della Divinità. Ma può avere utilizzi del tutto differenti: simboleggia la Trinità se accostato ad una colomba o a Cristo; se proposto invece con una stella a cinque punte, oppure con un compasso o con una piramide, fa riferimento alla tradizione esoterica luciferiana, insomma alla Massoneria.

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    Per finire con la serie dei misteri di Pieve Terzagni: guardando il portone di ingresso, sullo stipite spicca la croce patente vermiglia che rievoca immediatamente l’antico Ordine dei Templari.

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    Approfondimento
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    Chiesa di S. Sigismondo; Un enigmatico quadro in cui i personaggi sono senza pupille-Cremona

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    si tratta di un affresco del Beccaccino che rappresenta l’“Adultera davanti a Cristo”, un’opera che contiene una particolarità non ancora decifrata. Tutti i personaggi rappresentati hanno gli occhi privi di pupilla. Un fatto, questo, che dà alla pittura una dimensione quantomeno insolita, quasi eterea. Dopo secoli e secoli di distanza, ancora non conosciamo le ragioni che hanno spinto l’artista a rappresentare un episodio in questo modo insolito. L’affresco fra l’altro, non si trova in una zona “secondaria” della chiesa, è stato infatti realizzato nientemeno che sulla parete di sinistra del presbiterio.
    E' inoltre curiosa una non lontana iscrizione, realizzata nel terzo schienale del complesso ligneo del coro (sotto il grande organo) e riportata addirittura in dialetto cremonese: “el torto va in tute tache” (le cose malfatte finiscono in nulla).
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    I fantasmi di Sirmione

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    L'antico Castello di Sirmione è situato nell'omonimo paese in provincia di Brescia, su una lunga e stretta striscia di terra che si protende verso il Lago di Garda. La fortezza di Sirmione fu costruita nel XV secolo dagli Scaligeri per volere della città di Venezia; si presenta come un'imponente struttura fortificata con tanto di feritoie e di un grandioso mastio alto 47 metri, sotto al quale sorgono le prigioni. All'interno del palazzo si trova anche una scalinata di 150 gradini che consente di ammirare, dal invidiabile posizione, il Lago di Garda e tutte le zone circostanti: una visuale mozzafiato che secoli fa offriva, ai soldati della fortezza, una perfetta postazione difensiva. Anche il castello di Sirmione ha un lato misterioso e leggendario. I protagonisti di questa leggendaria vicenda sono Ebengardo, il signore che allora abitava nel Castello di Sirmione e la sua amata sposa Arice. Durante la notte, mentre un violento temporale imperversava su tutto il paese, un misterioso viaggiatore bussò alla porta del Castello. Costui era Elaberto Marchese di Feltrino il quale, colto improvvisamente dalla tempesta, si fermò davanti alla fortezza per chiedere ospitalità al signore di Sirmione. L'ospite solitario fu invitato a cenare insieme ad Arice ed Ebengardo e ad usufruire della loro amabile compagnia; fu proprio in questo contesto che si invaghì perdutamente della bella moglie di Ebengardo. Così Eraberto, terminata la cena, attese che tutti si ritirassero nelle proprie stanze per entrare in gran segreto nella camera di Arice ma fedele al marito respinse la proposta d'amore. L'inaspettato rifiuto mandò su tutte le furie Elaberto che, accecato dalla follia, pugnalò a morte la giovane. Ebengardo, svegliato dai rumori notturni, corse verso la camera della moglie e una volta entrato gli bastarono pochi istanti per rendersi conto dell'atroce delitto. La reazione fu immediata, infatti tra i due uomini scoppiò una violenta lotta, alla fine della quale ebbe la meglio il signore di Sirmione che uccise Elaberto con lo stesso pugnale che finì Arice. Si narra che durante le notti di tempesta, lo spettro infelice di Ebengardo vaghi per le stanze della fortezza alla disperata ricerca della sua amata Arice.
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    Il Castello Scaligero di Valeggio sul Mincio era collocato nel punto di transito e confine tra le signorie degli Scaligeri, dei Gonzaga e dei Visconti. Tale posizione strategica gli conferiva una notevole importanza in epoca medievale.
    Tramandata dalla tradizione orale locale, raccontata sottovoce nei filò delle lunghe notti invernali, questa storia di sangue e mistero ha superato un lungo ponte di anni per giungere fino a noi.
    Per secoli, quando le notti erano più silenziose e buie, quando solo la luce della luna inargentava le torri merlate del Castello, nessun valeggiano osava avvicinarsi al maniero, perché tutti sapevano che qualcuno o qualcosa si aggirava lassù !
    In breve :
    Si tratta del fantasma di messer Andriolo da Parma, arrestato con l’accusa di alto tradimento, esautorato di tutti suoi poteri, spezzatane la spada, simbolo della sua autorità, fu legato su di un carro e trasportato a Verona dove, nel Campo di Marte, fu incatenato ad un palo e, a colpi di spada, venne barbaramente squartato. Non è dato di sapere dove fu sepolto Andriolo: forse il suo corpo venne gettato nelle gelide acque dell’Adige che scorreva nei pressi del Campo di Marte o forse seppellito anonimamente in qualche fossa. Da quel tragico giorno, in ogni caso, il suo spirito tormentato è tornato tra le mura del Castello. In ogni notte di plenilunio vaga tra le torri alla ricerca della sua spada, spezzata e sepolta in luogo segreto dai suoi nemici: cerca il suo onore perduto, senza il quale non può riposare in pace.
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    Eserciti fantasma?
    Risulterebbe ci siano state anche apparizioni non di singoli spettri, ma di interi eserciti, come quelli che avvennero soprattutto durante le tempora invernali (fra la terza e la quarta domenica di Avvento) e il solstizio d’inverno, nel 1517, dalle parti di Verdello (Bg) e Agnadello (Cr), dove pochi anni prima era stata combattuta una cruenta battaglia tra l’esercito veneziano e quello guidato dal re di Francia, Luigi XII. In questi luoghi della Lombardia, su ampi campi verdi, vennero visti soldati incorporei combattere tra loro e, molto più facilmente, si udì il fragore delle armi e le urla dei combattenti.
    Descrizioni di battaglie simili le ritroviamo nel “De spectris, lemuribus et variis presagitationibus tractatus vere aureus” del medico riformato Ludwig Lavater, pubblicato a Zurigo nel 1570. Nel testo, leggiamo: «Si vedono in aria spade, lance e mille altri oggetti; si sentono o si vedono in aria o sulla terra eserciti che si scontrano e sono spinti alla fuga, si ode un orrendo vociare e il clangore delle armi».
    Sono fenomeni vecchi quanto l’umanità: lo scrittore e geografo greco antico Pausania, vissuto intorno al II secolo d.C. descrisse gli eserciti spettrali della battaglia di Maratona combattuta nel 490 a.C..
    Si registrano simili spettrali battaglie in tutto il Bergamasco nel 1517, ma la saga dell’esercito furioso è diffusa un po’ in tutta Europa.
    Un esercito fantasma sembra non voler ancora rompere l’assedio del castello di Capo Rizzuto, in Calabria, ormai abbandonato. Malgrado siano passati secoli, a scadenze regolari, attorno alle sue mura si sentono voci che comandano l’assalto e compaiono dal nulla uomini che avanzano armati di picche e archibugi. Come completamento, a poca distanza dalla costa, appaiono navi fantasma con vele spiegate e artiglierie in azione; il tutto sembra durare addirittura per alcuni minuti».
    Fonte
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    I fantasmi di Trezzo d'Adda

    Trezzo sull’Adda è un graziosissimo comune promosso alla qualifica di città dal Presidente della Repubblica italiana grazie alle sue bellezze artistiche e paesaggistiche. L’etimologia del nome dell’abitato sembra derivi dal celtico Trecc che indicava un promontorio.

    L’elemento più caratteristico è certamente il castello Visconteo. Trovandosi in un luogo strategico, fu spesso conteso ed altrettante volte distrutto. La città di Milano, Federico Barbarossa ed i Torriani vollero impadronirsi a diverse riprese del maniero arroccato sul promontorio dove il corso del fiume Adda crea un’ansa. Si dice che il Barbarossa avesse fatto portare gran parte dei suoi tesori all’interno del maniero. Sempre alla ricerca di nuovi luoghi da conquistare, aveva commesso però l’errore di non lasciare abbastanza soldati a protezione del tesoro e durante la sua assenza, i milanesi assaltarono il castello impadronendosi delle sue ricchezze.

    Gli attuali resti della roccaforte e del ponte medievale si possono datare alla fine del XIV secolo, quando si trovava sotto il dominio del ducato dei Visconti.
    Aggirandosi tra i suoi ruderi, visitabili e divenuti area del parco comunale, si percepisce immediatamente la sensazione della memoria che permane tra le pietre che narrano di un glorioso passato.
    Il maniero fu protagonista di una congiura e testimone di un omicidio illustre. Bernabò Visconti, Signore di Milano, fu il fautore dell’erezione del fastoso castello di Trezzo che, a partire dal 1370, divenne luogo di caccia e di divertimenti. Gian Galeazzo Visconti fece arrestare lo zio Bernabò con l’inganno al fine d’impadronirsi del ducato e, nel 1385, lo fece rinchiudere nel suo amato castello. Recluso d’alto rango, a Bernabò Visconti fu concesso un trattamento di riguardo. Sembra infatti che quel periodo di soggiorno forzato fu allietato dalla compagnia dell’amante Donnina de’ Porri. Naturalmente si trattava di un prigioniero scomodo e quindi, pochi mesi dopo, venne ucciso. Gli fu servita una razione avvelenata di fagioli, di cui andava ghiotto, e morì tra atroci dolori.
    Fino al XVIII secolo, esisteva ancora la stanza nella quale era stato recluso. Su una parete, di suo stesso pugno, Bernabò aveva lasciato questo monito:

    tal a mi qual a ti (un’altra fonte cita invece mi a ti, ti a mi)

    il cui significato era: “Oggi a me, domani a te”. Forse non è un caso che l’anno successivo, nel 1386, proprio al terribile nipote Gian Galeazzo Visconti sia apparso il diavolo e successivamente, nel 1402, sia morto di peste.

    Passando dalle curiosità storiche al paranormale, sembra che gli avvistamenti ed i racconti di fantasmi legati ai ruderi del castello siano molteplici.
    Si parla ad esempio del fatto che parte del tesoro sottratto a Federico Barbarossa si celi ancora in qualche luogo dei sotterranei e chiunque tenti la sua ricerca, si trovi la strada sbarrata dalla figura spettrale dell’imperatore.
    L’apparizione più celebre è però risalente alla seconda metà del secolo scorso quando apparve la figura di Bernabò Visconti insieme a tutta la sua servitù. Era l’agosto del 1973 quando quattro giovani turisti tedeschi scelsero i ruderi del castello per montare le tende e trascorrervi la notte. Quando il buio li avvolse, udirono voci in lontananza e rumori di passi. Incuriositi, andarono a vedere se c’erano altri ragazzi che avevano avuto la loro stessa idea di accamparsi nel giardino del castello. Con grande sorpresa si trovarono invece di fronte a uomini d’arme che reggevano delle fiaccole e ad un nobile con mantello. Il nobile, accortosi della presenza dei giovani, li invitò con un gesto della mano a seguirli. Pensando si trattasse di una rievocazione folcloristica medievale, i quattro ragazzi tedeschi li seguirono senza timore. Furono condotti all’interno del castello e giunsero in un vasto salone illuminato da candele. C’erano decine di persone tra servi, soldati, nobildonne, cavalieri e uomini riccamente vestiti. Al centro della sala un lunghissimo tavolo imbandito a selvaggina ed ogni tipo di prelibatezza. I servi riempivano loro di vino i calici ogni qualvolta erano vuoti. Seppur non comprendendo la lingua i giovani interloquirono a gesti, risero e si divertirono.
    Quando la festa volse al termine, vennero condotti in una stanza con un grande letto a baldacchino. Stremati ed un po’ ubriachi, ringraziarono dell’ospitalità e si addormentarono appena posata la testa sui cuscini.
    Si risvegliarono la mattina seguente con il sole che batteva forte sui loro corpi. Aprendo gli occhi rimasero increduli: avevano dormito per terra, tra ruderi di mura. Attorno a loro solo rovi e sterpaglie.

    Come ogni castello che si rispetti, oltre alle storie di tesori e di fantasmi, è necessario citare l’intrico di cunicoli sotterranei che li contraddistingue. Dopo essersi calati per i quaranta metri del pozzo, una spedizione di speleologi ha scoperto diversi corridoi sotterranei. Uno di questi conduceva ad una sala col pavimento ricoperto di escrementi e la volta del soffitto abitata da pipistrelli. L’esalazione prodotta dagli escrementi rendeva l’aria rarefatta ed irrespirabile. Si è supposto che i prigionieri del castello fossero condotti in quella sala nella quale la morte sopraggiungeva a causa di una prolungata esposizione a quelle esalazioni. Tesi avvalorata dal fatto che sono state trovate catene ancora confitte nelle pareti.
    Oltre all’arcaica versione di una camera a gas, nei sotterranei si trovava anche la ‘stanza della goccia’. In luoghi così bui, profondi e nelle vicinanze del fiume, era naturale che si creasse una grande umidità. Dai soffitti si condensavano gocce d’acqua che cadevano a terra e proprio in questi punti venivano portati i prigionieri. Legati in corrispondenza della condensazione, le gocce cadevano in maniera costante e continuativa sui crani delle povere vittime che finivano per essere perforati.
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    Fonte
    I fantasmi di Milano
    La “Dama Velata” durante le nebbiose notti d’inverno infesterebbe il parco e le vie adiacenti il Castello Sforzesco. Molto pittoresco e romanzato il racconto riportato da alcuni malcapitati che narrano di aver incontrato una bellissima donna dai modi gentili e raffinati avvolta in un elegantissimo abito settecentesco nero di pizzo e velluto, il cui volto rimarrebbe coperto da un impenetrabile velo di organza.

    Inebriato da una musica celestiale di inspiegabile provenienza e da un intrigante profumo di violetta, qualche testimone racconta di aver seguito la misteriosa dama in una stupenda villa e, una volta dentro, danzato e giaciuto con lei e di lei essersi perdutamente innamorato. Tanto da essere impazzito e aver trascorso il resto della sua vita alla sua ricerca.

    Sempre nel parco del Castello, inoltre, dimorerebbe un altro famoso fantasma: quello di Isabella da Lampugnano, arsa sul rogo nel lontano 1519 con l’accusa di stregoneria. Secondo
    i racconti di qualche sventurato, lo spirito della nobildonna si divertirebbe a molestare i passanti, schernendoli e deridendoli. Stessa sorte spetterebbe anche a qualche appassionato di jogging che, durante una corsetta tra i viali del parco, si potrebbe imbattere nello spettro di una donna, anch’essa in tenuta sportiva, che si avvicinerebbe per fare quattro chiacchiere, per poi sparire nel nulla.

    Spostandosi all’interno del Castello Sforzesco, infine, è possibile imbattersi in una vera e propria riunione di anime in pena, a iniziare da quella di Bona di Savoia, che infesterebbe la torre quadrata, per finire a quella di Ludovico il Moro, manifestatosi più volte nei pressi della Ponticella del Duca. Spostandosi poi alla fontanella dei Leoni, è possibile imbattersi nello spirito di Bianca Sforza. Girovagando qua e là per i meandri del famoso maniero, infine, si può cadere vittima dei lamenti e delle scorrerie dei fantasmi di Beatrice d’Este e Isabella d’Aragona. Attenzione, però, al più terrificante di tutti: Bianca Scappardone Visconti che, una volta manifestatasi, farebbe rivivere ai malcapitati la macabra scena della sua decapitazione.


    LA TOMBA DI BONA DI SAVOIA

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    Altro fantasma divenuto famoso per le sue gesta e per le numerose storie che si tramandano di generazione in generazione, è quello di Bernarda Visconti, spirito inquieto che infesterebbe il chiostro di Santa Radegonda. Proprio la triste storia della figlia di Bernabò Visconti spiegherebbe i motivi di tanta pena e tanta sofferenza, raccontata da tutti coloro che hanno assistito alla sua manifestazione.

    Rimanendo sempre nel centro cittadino - per la precisione dinanzi al sagrato del Duomo- molta curiosità desta l’apparizione della sagoma di una giovane donna vestita di un abito scuro e con gli occhi di un bianco spettrale: secondo i racconti riportati da alcuni novelli sposi, la figura inquietante apparirebbe nelle fotografie di rito che seguono la cerimonia nuziale, senza che i due malcapitati e nessuno dei loro parenti o amici ne avessero avvertito la presenza.

    Secondo gli studiosi del fenomeno, il fantasma sarebbe quello di Carlina, una giovane sposa adultera morta suicida gettandosi dalle guglie del Duomo nel tardo medioevo. Una manifestazione, però, che non desta preoccupazione tra gli sposi, poiché tradizione vuole che la rivelazione della sua figura sia benauguranteper il matrimonio appena celebrato.

    L'IMPRESSIONANTE OSSARIO NELLA CHIESA MILANESE DI SAN BERNARDINO

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    Alle maledizioni e alle oscure presenze non si sottrae neanche il mercato di Porta Romana, luogo in cui molti sostengono di aver incontrato lo spirito di una strega arsa viva nel XVI secolo, apparso sotto forma di una mendicante. Così come la zona di piazza Tecla e del Lazzaretto, dove le anime dei condannati al rogo e dei morti di peste riecheggerebbero tra i vicoli e le strade.

    Attenzione, inoltre, se ci si ritrova a passare in tarda serata dalla zona di via Paolo Sarpi, luoghi in cui dimora il celebre “Monaco fantasma”: riconoscerlo è molto semplice, poiché il religioso, avvolto nel tradizionale saio, è solito camminare e agitarsi in modo vistosamente nervoso, inveendo contro il mondo intero e contro la corruzione e la mancanza di valori della società odierna.

    Stessa sorte per chi deve transitare per piazza Maggi: lo spettro di un anziano signore potrebbe seguire da vicino i vostri passi e pretendere qualche monetina per lasciarvi in pace. E se, infine, ci si trova a passare nella strettissima via Bagnera, non ci si preoccupi se un alito di vento gelido ci assale all’improvviso: è lo spettro di Antonio Boggia, un pluriomicida che, nella metà del diciannovesimo secolo, uccise quattro persone in circostanze atroci.

    E non si creda che scappare da Milano possa sottrarre alle maledizioni e ai tormenti di queste anime in pena: nei meandri della Stazione Centrale si aggirerebbe un vampiro assetato di sangue il cui pasto principale è rappresentato dagli sventurati clochard in cerca di riparo.


    L'ANTICA DIMORA "VILLA SIMONETTA", TEATRO DI ALTRE PRESUNTE APPARIZIONI

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    Anche le zone più periferiche della città non si sottraggono alle oscure presenze. Nei locali della bellissima Villa Simonetta (via Stilicone, zona Bullona), ad esempio, si aggirerebbero i fantasmi di Celia Simonetta e dei suoi numerosi amanti. In via Mecenate, invece, si aggirerebbe lo spettro di un ex aviatore in rigoroso giubbotto di pelle e più precisamente nella zona dove un tempo sorgeva la storica fabbrica di velivoli della Caproni. Qualcuno lo assoggetta addirittura all’anima del titolare Gianni Caproni, in ricerca perenne delle sue officine.

    Ma non finisce qui. Storie fantastiche avvolgono nel mistero anche la zona di Quarto Oggiaro, dove alcuni automobilisti giurano di essersi imbattuti nello spettro di un vagabondo che,senza alcun preavviso, si getta sotto le ruote delle automobili dei malcapitati.
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  2. Griphoneer
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    c'è qualche fantasma a mantova?
     
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1 replies since 25/4/2014, 18:07   1480 views
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