Cerbero

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  1. Kumo
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    Cerbero nella mitologia greca era uno dei mostri che erano a guardia dell'ingresso dell'Ade, il mondo degli Inferi. È un mostruoso cane a tre teste, le quali simboleggiano la distruzione del passato, del presente e del futuro. Tutto il suo corpo era ricoperto, anziché di peli, di velenosissimi serpenti, che ad ogni suo latrato si rizzavano, facendo sibilare le proprie orrende lingue. Il suo compito era impedire ai vivi di entrare ed ai morti di uscire. In realtà nell'antichità il "nudo suolo" era definito Cerbero (o "lupo degli dei") poiché ogni cosa seppellita pareva essere divorata in breve tempo.
    Il nome di Cerbero è entrato nella lingua italiana per esprimere, per antonomasia e spesso ironicamente, un guardiano arcigno e difficile da superare.

    Mitologia
    Cerbero è figlio di Tifone e di Echidna e quindi fratello dell'Idra, di Ortro e della Chimera. Cerbero è un mastino gigantesco e sanguinario che emette dalle fauci dei latrati che scoppiano come tuoni. Il suo compito era sorvegliare l'accesso dell'Ade o Averno affinché nessuno dei morti ne uscisse. Nessuno è mai riuscito a domarlo, tranne Eracle e Orfeo.

    Le dodici fatiche di ercole
    Nell'ultima e più dura delle sue dodici fatiche, Ercole è costretto a combatterlo e sconfiggere il feroce cane Cerbero per portarlo a Micene da Euristeo. L'eroe non lo uccide, ma dimostra di averlo sconfitto in combattimento. Dopo aver ottenuto da Ade il permesso di portarlo via (a condizione di combatterlo da solo e senza armi) Ercole lo affronta e arriva quasi a strangolarlo, lottando con lui tutto il tragitto. Dopo di che, lo riporta nell'Ade perché riprenda a farne la guardia.

    Araldica
    In araldica, il cerbero (nome comune) è una figura immaginaria del tutto corrispondente alla sua raffigurazione mitologica: un cane tricefalo dalle gole spalancate, la coda di drago e con teste di serpente sul dorso. Talune raffigurazioni utilizzano i serpenti come chioma.
    In taluni stemmi il cerbero, guardia feroce della città infernale, allude al cognome Medico, che vigila a che nessuno entri nella città dei malati. L’eventuale collare simboleggia la sottomissione del medico alla sua missione.

    Cerbere
    Fonte

    Edited by Huginn&Muninn - 10/5/2017, 13:37
     
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  2. Éstur S.T.
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    Cerbero è una delle figure più famose della mitologia e della letteratura classica: infatti un tempo era, dal punto di vista artistico e epico, ritenuto possibile scendere nell’Averno, dove delle persone meritevoli avevano la possibilità di incontrare e parlare con le anime dei defunti. Enea, Odisseo, Eracle (che dovette trarlo da laggiù nella sua dodicesima e ultima fatica), Orfeo (che lo ammansì con la sua melodia), ma anche il più “moderno” Dante Alighieri hanno compiuto questo viaggio, e tutti hanno incontrato Cerbero. Questi è un cane a tre teste, ritenuto da sempre guardiano e custode dell’Inferno. Di solito è rappresentato con tre teste (in principio ne aveva quattro, ma una fu recisa per tradimento al corpo unico), i colli pieni di serpenti velenosi e la coda irta di spine. Leggendo i passi dei vari autori non si può che sintetizzare Cerbero che con due parole: terrore e crudeltà. Della sua origine parlò per primo il poeta elleno Esiodo nella sua “Teogonia”: “Secondo un mostro partorì terribile più d’ogni dire, Cerbero, il cane di Ade, che voce ha di bronzo, gagliardo, senza pietà, che di vivi si nutre, che capi ha cinquanta.” Secondo la mitologia classica, infatti, Cerbero era figlio di Echidna e Tifeo (o Tifone), ed era stato scelto come guardiano degli Inferi da Ade, che ne era il sovrano assoluto. Ecco un’altro riferimento storico molto importante, tratto dall’”Odissea” di Omero, in cui Eracle racconta ad Odisseo: “... Ed ero figlio di Zeus Cronide, ma pianto senza mai fine avevo: a un uomo molto inferiore dovevo servire, e m’ordinava penose fatiche. Un giorno quaggiù mi mandò, a prendergli Cerbero: niente pensava sarebbe mai stato più grave di questa fatica! Ma glielo portai, lo tirai fuori dell’Ade: Ermes mi fu guida, e Atena dagli occhi lucenti.” Una sua descrizione ci viene dall’”Eneide” di Publio Virgilio Marone in cui la Sibilla accompagna Enea nel regno dei morti: “...Giunti che furono, il gran Cerbero udiro abbaiar con tre gole, e ‘l buio regno intronar tutto; indi in un antro immenso nel vider pria giacer disteso avanti, poi sorger, digrignar, rabido farsi, con tre colli arruffarsi, e mille serpi squassarsi intorno. Allor la saggia maga, tratta di mele e d’incantate biade una tal soporifera mistura... [....] Cerbero ingente rintrona quei regni latrando con triplice testa davanti alla bocca dell’antro cui la Sibilla vedendo arruffarsi i serpenti che ha in luogo di crini, un’offa con miele e con erba sonnifera getta. Quello per fame rabbiosa aperte le fauci l’afferra e le immani terga gli cadono al suolo distese e grande s’allunga per l’antro. Enea balza all’entrata, sepolto nel sonno il custode e lascia alle spalle la riva dell’onda non più navigabile.” Anche Lucio Apuleio parla di Cerbero nelle sue “Metamorfosi”: “«Allora sì che la terra mi parve spalancarsi sotto i piedi e io precipitare giù fin nel Tartaro in bocca all’affamato Cerbero; […] «Anch’io,» dissi, «posso considerare questo mio primo atto di valore come una delle dodici fatiche di Ercole paragonando i tre otri che ho bucato con i tre corpi di Gerione o con Cerbero triforme. […] Benché sapesse che era giunta ormai l’ultima sua ora, non dimenticando chi era, chi eravamo noi e il suo coraggio di sempre, egli non si arrese dinanzi alle fauci già aperte di Cerbero.” Marco Tullio Cicerone si domanda se ritenere Cerbero un Dio nel suo “La Natura degli Dèi”: “Quindi sarà un Dio anche Plutone in quanto loro fratello nonché tutti i fiumi che si dice scorrano agli Inferi quali l’Acheronte, il Cocito, il Flegetonte e anche Caronte e Cerbero dovremo considerare alla stregua di divinità.” Un problema, di fatto, ripreso nel Medioevo dai demonologi. Tito Lucrezio Caro, in “La Natura delle Cose”, critica le fantasie sull’Oltretomba dicendo: “Cerbero e le Furie, per soprappiù, e la mancanza di luce, il Tartaro eruttante dalle fauci vampe orribili, che non esistono in alcun luogo, né invero possono esistere!” Publio Ovidio Nasone, nelle “Metamorfosi” parla della bava di Cerbero, considerata un veleno, di quando Ercole lo trascinò fuori dall’Averno e dell’incontro di Orfeo col mostro: “Appena entrata, sotto il peso del suo corpo divino la soglia mandò un gemito; Cerbero levò le sue tre fauci lanciando tre latrati insieme. […] Con sé la Furia aveva portato un altro veleno abominevole: bava di Cerbero,… […] Ercole, l’eroe di Tirinto, trascinò fuori, stretto in catene d’acciaio, Cerbero, che s’impuntava e storceva gli occhi non sopportando gli accecanti raggi di Sole: dibattendosi come una furia per la rabbia, il mostro riempì il cielo di un triplice latrato, cospargendo l’erba dei campi di bava bianchiccia. […] Rimase impietrito Orfeo per la doppia morte della moglie, così come colui che fu terrorizzato nel vedere Cerbero con la testa di mezzo incatenata, e il cui terrore non cessò finché dall’avita natura il suo corpo non fu mutato in pietra.” Dante Alighieri, nella “Divina Commedia”, che lo pone a guardia del cerchio dei golosi, ce lo descrive così: “Cerbero, fiera crudele e diversa, con tre gole caninamente latra sovra la gente che quivi è sommersa. Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra, e ‘lventre largo, e unghiate le mani; graffia li spirti ed iscoia ed isquatra... […] Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo, le bocche aperse e mostrocci le sanne; non avea membro che tenesse fermo.” Dopo aver fatto la conoscenza di Francesca e aver udito la sua triste storia, Dante, in compagnia di Virgilio, discende al terzo cerchio, dove sono dannati i golosi. Dura è la pena a cui essi sono sottoposti: una pioggia eterna li batte senza tregua, mentre Cerbero, crudele mostro mitico, li strazia. Per ammansirlo, Virgilio è costretto a gettargli due manciate di terra. Nel loro procedere, Dante e Virgilio sono costretti a calpestare i dannati, che formano uno strato uniforme. Sin dai primi versi Dante ci introduce con grande incisività nell’atmosfera di questo canto. La scelta dei vocaboli fornisce immediatamente al lettore un quadro generale sintetico ed esatto, contribuendo con ciò a mantenerne sempre desta l’attenzione. Un saggio della propria abilità artistica Dante ce lo fornisce tratteggiando la figura di Cerbero, l’orribile mostro mezzo belva e mezzo uomo, con le facce sudice e ributtanti, gli occhi arrossati, la barba unta, la pancia enorme e, come se tutto questo non bastasse, al posto delle unghie gli artigli, di cui si serve per tormentare le proprie vittime. È una visione nitida, che lascia nell’animo del lettore un senso di profondo sgomento. Fra i personaggi mitici e poetici è quello la cui caratteristica specifica è una fame mai soddisfatta. Pur derivato dagli Inferi virgiliani, Cerbero assume connotati tipicamente medievali: è una fiera mostruosa non solo perché con tre teste, ma anche per i particolari umani (barba, mani, facce) sul corpo di cane. Durante il Medioevo nella figura di Cerbero erano confluiti due simboli: quello dell’ingordigia e della voracità, e quello dell’odio e della discordia intestina. Cerbero, come Caronte, Minosse, Gerione, Flegias, Pluto (e in buona parte anche Dite-Lucifero) è uno dei Demoni pagani passati nell’Inferno cristiano di Dante e collocati poi come guardiani dei vari cerchi, dopo essere stati trasformati in esseri demoniaci, sulla traccia dell’interpretazione figurale dei Padri della Chiesa, concludendo, così, il processo di assimilazione della cultura classica, iniziato fin dalle origini del cristianesimo. A parlare del cane infernale furono infatti i demonologi (cristiani e satanisti) che, nel classificare i Demoni, così lo descrissero: “È un conte, ha il potere di proteggere le persone deboli, protegge contro gli attacchi occulti, vigila sulle abitazioni.” Per ultimo il poeta inglese John Milton, ne “Il Paradiso Perduto”, ci parla di segugi infernali simili a Cerbero: “Le s’aggira d’intorno un sozzo branco di molossi infernali, e mai non cessa d’intronarla, ululando dalle aperte cerberee gole: chè se mai si turba l’assordante latrato, a lor talento ponno i veltri sbalzar nelle squarciate viscere di quel mostro e farvi il covo; e di là non veduti il maledetto ululo seguitar.”
     
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    Buonasera... qualcuno è a conoscenza della maledizione di Cerbero? Grazie a chi risponderà...
     
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