Enlil

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    ENLIL


    ellil_c



    Dimora
    Cielo
    Nome
    Enlil, Signore delle tempeste, Ellil
    Numero Sacro
    50
    Genitori
    Anshar e Kishar
    Consorte
    Ninlil
    Simboli
    Elmo cornuto
    Quattro creatori
    An, Ea, Enlil, Ninhursag
    Triade cosmica
    An, Ea, Enlil
    Figli
    Sin/Nanna, Ninurta, Nisaba, Enbilubu, Enki(non sempre)
    Funzioni
    Dio del respiro, del vento, dell'altezza, della distanza, dio del tempo meteorologio, delle tesmpeste, della guerra, dell'agricoltura, dell'atmosfera, padre degli dei.



    Enlil (nLin) (EN = Signore + Lil = Vento, "Signore della tempesta") è il Dio del respiro, del vento, dell'altezza e della distanza. Era il nome di una divinità capo elencata e scritta nella religione sumera e più tardi in accadico (assiro e babilonese), ittita, cananea e su altre atavolette di argilla e pietra mesopotamiche. Il nome è probabilmente pronunciato a volte tradotto in "Ellil" in seguito alla letteratura accadica, ittita, cananea. In seguito in accadico, Enlil è il figlio di Anshar e Kishar.
    Il mto di Enlil e Inanna narra di quando Enlil era un giovane Dio, lui fu bandito da Ekur a Nippur, sede degli dei, al Kur, il mondo sotterraneo per sedurre una dea di nome Ninlil. Ninlil lo seguì negli inferi, dove portava il suo primo figlio, dio della luna Sin (sumerico Nanna/Suen). Dopo altri tre figli a Enlil fu permesso di tornare nell'Ekur
    Eri era conosciuto come l'inventore del mattok, una zappa/piccone, e aiutava a far crescere le piante.


    Cosmologia/Genealogia

    Enlil, insieme ad Anu/An, Enki e Ninhursag erano dèi dei Sumeri. I creatori del genere umano.
    Con sua moglie Ninlil o Sud, Enlil era il padre del dio della luna Nanna/Suen (in accadico, Sin) e di Ninurta (chiamato anche Ningirsu). Enlil è il padre di Nisaba, la dea del grano, di Pabilsag che è a volte identificato con Ninurta, e talvolta di Enbilulu. Con Ereshkigal, Enlil, era il padre di Namtar.


    Storicamente

    Enlil è associato con l'antica città di Nippur, a volte indicato come la città culto di Enlil. Il suo tempio è stato chiamato Ekur, "Casa della Montagna". Tale era la santità acquisita da questo edificio che i sovrani babilonesi e assiri, fino agli ultimi giorni, fecero a gara l'un l'altro per abbellire e ripristinare la sede del culto di Enlil. Alla fine, il nome Ekur divenne la designazione di un tempio in generale.
    Raggruppate attorno al santuario principale, sorsero templi e cappelle agli dèi e dee, che formavano la sua corte, in modo che Ekur divenne il nome per un intero recinto sacro nella città di Nippur. Il nome "casa di montagna", suggerisce una struttura alta e fu forse la designazione dell'origine della torre in scena a Nippur, costruita ad imitazione di una montagna, con il santuario sacro del dio sulla parte superiore.
    Enlil era conosciuto anche come il dio del tempo meteorologico. Secondo i Sumeri, Enlil ha contribuito a creare gli esseri umani, ma poi stancatosi del loro rumore, cercò di ucciderli con l'invio di un diluvio. Un mortale conosciuto come Utnapishtim, sopravvissuto al diluvio, con l'aiuto di un altro dio, Ea, fu reso immortale da Enlil, per farsi perdonare, dopo la furia iniziale.
    Poiché Enlil era l'unico dio che riusciva a raggiungere An, il dio del cielo, dominò gli altri dèi i quali avevano un compito assegnato dal suo agente e avrebbero viaggiato fino a Nippur per attirare il suo potere. Egli è quindi visto come il modello della regalità. Enlil fu assimilato al nord "polo dell'eclittica". Il suo nome era il numero sacro 50.
    In un periodo molto precoce, prima del 3000 aC, Nippur era diventato il centro di un distretto politico di notevole entità. Le iscrizioni trovate a Nippur, dove sono stati effettuati scavi estensivi durante 1888-1900 di John P. Peters e John Henry Haynes, sotto gli auspici dell'Università della Pennsylvania, mostrano che Enlil era il capo di un vasto pantheon. Tra i titoli riconosciutegli sono "re delle terre", "re del cielo e della terra", e "padre degli dei".


    La cosmogonia

    In principio vi era il Mare Primordiale (Nammu), probabilmente mai creato, e quindi eterno. Dal Mare ebbe origine la Montagna Cosmica, che aveva per base gli strati più bassi della terra, e per cima la sommità del cielo. La Montagna era formata da Cielo e Terra, ancora uniti insieme e non distinti. Il Cielo, nella personificazione il dio An, e la Terra, nella personificazione la dea Ki, generarono il dio dell'Aria Enlil. A questo punto avvenne la separazione: An "tirò" il Cielo verso di sé, mentre Enlil "tirava" la Terra, sua madre. Dall'incesto di Enlil e Ki nacquero tutti gli esseri viventi, dei, uomini, animali e piante.


    Miti

    Enki e il Diluvio
    Secondo la mitologia sumera, Enki aiutò l’umanità a sopravvivere al diluvio che fu scagliato sul mondo con lo scopo di distruggere l’uomo. Nella più recente Leggenda di Atrahasis, Enlil, il re degli dei e fratello di Enki, dispone di distruggere l’umanità, infastidito dall’incessante rumore che essi provocano, offensivo per le sue orecchie. Successivamente invia Siccità, Carestia e Piaga per eliminarla, ma Enki ostacola i piani del fratellastro insegnando ad Atraḫasis (per i babilonesi Utanapishtim) i segreti dell’irrigazione, dei granai e della medicina. L’umanità ricomincia a proliferare una quarta volta. Infuriato, Enlil, convoca in concilio gli Dei e strappa loro la promessa di non rivelare all’umanità i suoi piani sul loro totale annientamento. Enki non racconta di questa decisione ad Atrahasis, ma segretamente lo istruisce su come costruire una sorta di barca per la sua famiglia, o di come portarlo nel paradiso all’interno di una barca magica. Dopo sette giorni di Diluvio, Atrahasis libera in cielo una rondine, un corvo ed una colomba, nel tentativo di scoprire se le acque si sono ritirate in qualche luogo. Sul ponte della sua imbarcazione viene compiuto un sacrificio per gli dei che viene da essi apprezzato. Ma Enlil è arrabbiato poiché i suoi piani sono stati nuovamente vanificati, ed Enki viene indicato come il colpevole. Come il dio di ciò che noi chiameremmo ecologia, Enki spiega ad Enlil come sia ingiusto punire l’incolpevole Atrahasis per i peccati dei suoi compagni, e promette che gli dei non elimineranno l’umanità se praticheranno il controllo delle nascite e vivranno nel rispetto della natura utilizzando solo i mezzi che essa fornisce loro. La minaccia/promessa è stata fatta, se però gli esseri umani non adempieranno al loro compito e non manterranno fede al patto, gli dei saranno liberi di devastare la terra ancora una volta. Questo sembra essere il più antico mito del medio oriente tra quelli riguardanti il Diluvio universale.
    Gli studiosi della mitologia mesopotamica, ritengono che Enki/Ea abbia dato origine ad Uriel, uno degli Arcangeli della tradizione ebraica, il quale comunicò a Noè la volontà di Dio di sommergere la terra con le sue acque ed istruendolo su come costruire un'arca che lo avrebbe condotto in salvo.


    Il Bosco dei Cedri
    Gilgamesh fece un sogno ed Enkidu disse: “Questo è il significato del tuo sogno. Il padre degli dèi ti ha dato lo scettro, tale è il tuo destino, ma non l’immortalità. Ti ha dato potere per sottomettere e per liberare... non abusare di questo potere. Sii giusto con i tuoi servitori, sii giusto di fronte a Ishtar ”. Il re Gilgamesh pensò allora al Paese della Vita, il re Gilgamesh ricordò il Bosco dei Cedri. E disse a Enkidu:
    “Non ho inciso il mio nome sulle steli, come il mio destino decreta, andrò quindi nel paese in cui si taglia il cedro, mi farò un nome lì dove sono scritti quelli di uomini gloriosi”.
    Enkidu si rattristò perché in quanto figlio della montagna conosceva le strade che portano al bosco. Pensò:
    “Diecimila leghe vi sono dal centro del bosco, quale che sia la direzione da cui vi si entra. Nel cuore del bosco vive Humbaba (il cui nome significa ‘Enormità’). Egli soffia vento di fuoco e il suo grido è tempesta ”.
    Ma Gilgamesh aveva deciso di andare nel bosco per mettere fine al male del mondo, il male di Humbaba. E poiché era del tutto intenzionato, Enkidu si preparò a guidarlo, non senza prima avergli spiegato quali erano i pericoli.
    “Un grande guerriero che non dorme mai-disse- fa la guardia agli ingressi. Solo gli dèi sono immortali e l’uomo non può ottenere l’immortalità, non può lottare contro Humbaba”.
    Gilgamesh si raccomandò a Shamash, il dio del sole. A questi chiese aiuto per la sua impresa.
    Gilgamesh ricordò i corpi degli uomini che aveva visto galleggiare nel fiume mentre guardava dalle mura di Uruk. I corpi di nemici e amici, di conosciuti e sconosciuti. Allora intuì la propria fine e portando al tempio due capretti, uno bianco senza macchia e l’altro marrone, disse a Shamash:
    “Nella città l’uomo muore, con il cuore oppresso l’uomo muore, non può ospitare speranza nel suo cuore... Ah!, lungo è il cammino per giungere alla dimora di Humbaba. Se questa impresa non può essere condotta fino alla fine, perché , oh Shamash, hai colmato il mio cuore dell’impaziente desiderio di realizzarla?”.
    ...E Shamash accettò l’offerta delle sue lacrime. Shamash, il compassionevole, gli concesse la propria grazia. Celebrò per Gilgamesh forti alleanze con tutti i figli della stessa madre, che riunì nelle grotte delle montagne.
    Quindi gli amici incaricarono gli artigiani di forgiare le loro armi e i maestri trassero i giavellotti e le spade, gli archi e le asce. Le armi di ciascuno pesavano dieci volte trenta sicli e l’armatura altri novanta. Ma gli eroi partirono e in un giorno percorsero cinquanta leghe. In tre giorni fecero tanto cammino quanto ne fanno i viaggiatori in un mese e tre settimane. Prima di giungere alla porta del bosco dovettero attraversare sette montagne. Compiuto il cammino la trovarono, alta settanta cubiti e larga quarantadue. Tale era l’abbagliante porta, e non la distrussero a causa della sua bellezza. Fu Enkidu a scagliarvisi contro spingendo solo con le mani fino ad aprirla completamente. Poi discesero per arrivare ai piedi della verde montagna.
    Immobili contemplarono la montagna di cedri, dimora degli dei. Lì gli arbusti ricoprivano il declivio. Per quaranta ore rimasero estasiati a rimirare il bosco e ad osservare il magnifico sentiero che Humbaba percorreva per raggiungere la sua residenza...
    Scese la sera e Gilgamesh scavò un pozzo. Spargendo farina invocò dalla montagna sogni benefici. Seduto sui talloni, con il capo sulle ginocchia, Gilgamesh sognò ed Enkidu interpretò i sogni densi di pronostici. La sera successiva Gilgamesh chiese sogni favorevoli per Enkidu, ma i sogni che la montagna inviò furono di malaugurio. Gilgamesh non si ridestava ed Enkidu, compiendo grandi sforzi, riuscì a metterlo in piedi. Ricoperti delle loro armature cavalcarono la terra come se indossassero vesti leggere. Giunsero fino all’immenso cedro e, allora, le mani di Gilgamesh brandendo l’ascia abbatterono il cedro.



    Da lontano Humbaba lo intese e gridò infuriato:
    “Chi è costui che ha violato il mio bosco e ha tagliato il mio cedro?”.
    Gilgamesh rispose:
    “Non tornerò nella città, no, non ripercorrerò il cammino che mi ha condotto al Paese della Vita, senza combattere con quest’uomo, se appartiene alla razza umana, senza combattere con questo dio, se è un dio... La barca della morte non navigherà per me, non esiste al mondo tela da cui ritagliare un sudario per me, né il mio popolo conoscerà la desolazione, né il mio focolare vedrà ardere la pira funebre, né il fuoco brucerà la mia casa ”.
    Humbaba uscì dalla sua residenza e inchiodò l’occhio della morte su Gilgamesh. Ma il dio del sole, Shamash, sollevò contro Humbaba terribili uragani: il ciclone, il turbine. Gli otto venti di tempesta si abbatterono contro Humbaba in modo che questi non poté più avanzare né indietreggiare mentre Gilgamesh ed Enkidu tagliavano i cedri per entrare nei suoi domini. Perciò, Humbaba finì per presentarsi docile e atterrito di fronte ai due eroi. Promise i più grandi onori e Gilgamesh era sul punto di accettare e di abbandonare perciò le armi, quando Enkidu, interrompendolo, disse: “Non ascoltarlo! No, amico mio, il male parla attraverso la sua bocca. Deve morire per mano nostra!”. E grazie all’avviso del suo amico, Gilgamesh si riebbe. Impugnata l’ascia e sguainata la spada, ferì Humbaba al collo, mentre Enkidu faceva altrettanto, finché alla terza volta Humbaba cadde e rimase a terra morto. Silenzioso e morto. Allora gli distaccarono la testa dal corpo e, in quel momento, si scatenò il caos perché colui che giaceva era il Guardiano del Bosco dei Cedri. Enkidu abbatté gli alberi del bosco e trascinò le radici fino alle rive dell’Eufrate.
    Poi, deposto il capo del vinto in un sudario lo mostrò agli dèi.
    Quando Enlil, signore della tormenta, vide il corpo senza vita di Humbaba, furibondo tolse ai profanatori il potere e la gloria che erano stati di lui e li diede al leone, al barbaro, al deserto. Gilgamesh lavò il proprio corpo e trascinò lontano le proprie vesti insanguinate, indossandone altre immacolate. Quando sul suo capo brillò la corona reale, la dea Ishtar posò su di lui i suoi occhi. Ma Gilgamesh la respinse perché lei aveva perduto tutti i suoi sposi e li aveva ridotti alla servitù più abietta per mezzo dell’amore. Così disse Gilgamesh:
    “Sei una rovina che non dà all’uomo riparo contro il maltempo, sei una porta secondaria che non resiste alla tempesta, sei un palazzo saccheggiato dagli eroi, sei un’imboscata che nasconde i suoi tradimenti, sei una piaga infiammata che brucia chi l’ha, sei un otre pieno di acqua che inonda il suo portatore, sei un pezzo di pietra tenera che fa sgretolare le mura, sei un amuleto incapace di proteggere in terra ostile, sei un sandalo che fa inciampare il suo padrone lungo il cammino!”.

    TRIADE COSMICA




    Fonti
    http://oracc.museum.upenn.edu
    www.mesopotamia.co.uk/gods/explore/ellil.html
    http://en.wikipedia.org/wiki/Enlil
     
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