Il Tarantismo tra Sciamanesimo e e mito della Dea Madre

il mito salentino del morso della taranta

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    l tarantismo è un fenomeno storico religioso pugliese (precisamente salentino) che ha sempre destato molta curiosità negli antropologi. Il termine deriva da Taranto, città in cui è nato questo rito-ballo esorcizzante.

    La credenza vuole che il protagonista di questo rito sia una donna (ma talvolta erano anche gli uomini) che viene morsa da un ragno (tarantola o taranta, il cui nome scientifico è “Ischnocolus”) e per liberarsi dal veleno iniettato dal ragno deve sottoporsi al rito.
    Si tratta di un esorcismo a carattere musicale in quanto la donna guarisce attraverso la musica e la danza (come nelle danze sciamaniche). Il tarantato presenta disturbi molto simili a quelli dell’epilessia e dell’isteria, nonché un offuscamento dello stato di coscienza e turbe emotive.
    Al ritmo della pizzica o tarantella (musica dal ritmo sfrenato, detta “tarantolata”) il tarantato danza e canta per molte ore finché cade a terra sfinito: secondo la credenza popolare, infatti, mentre il tarantato consuma le proprie energie nella danza, il ragno si consuma e soffre fino a morire. Alla fine della danza, infatti, il tarantato fa il gesto di schiacciare il ragno.

    IL RITUALE
    Questo rituale coniuga sia elementi pagani che cristiani. Quando il tarantato avverte i primi sintomi (sintomi che sono reali) chiede che vengano i musicisti a casa o nella piazza del paese a suonare la pizzica. Oltre alla pizzica si suona anche il tamburello, il violino, l’organetto, l’armonica e la chitarra. L’orchestra ha a disposizione dodici melodie per ogni tipo di taranta e le accenna fino a quando il tarantato trova quella giusta, cioè la musica che lo fa reagire ballando.
    Il soggetto si scatena quindi in una lunga danza e in questa prima fase si cerca di capire da quale ragno è stata morsa la vittima (alcune volte si poteva venir morsi anche da scorpioni o serpenti, infatti con il termine tarantola si identificano un po’ tutti i ragni velenosi e gli animali striscianti in generale).
    Nella seconda fase si cerca di individuare il colore del ragno: il tarantato viene attratto, in modo violento, dalle vesti o dai fazzoletti delle persone circostanti o dagli oggetti e il colore dell’oggetto da cui viene attratto si riteneva che corrispondesse a quello del ragno.
    Nella terza fase l’individuo si abbandona a convulsioni, sfoghi, assume atteggiamenti in cui si identifica con la taranta stessa (strisciando sul dorso) o se ne allontana (alzandosi in piedi e saltellando) e alla fine fa il gesto di schiacciare simbolicamente il ragno per indicare la sua guarigione.
    Durante il rituale la donna può comportarsi pubblicamente da isterica, arrivando a perdere la propria identità.
    C’è quindi una morte simbolica seguita da una rinascita a vita nuova, che è la guarigione.
    Questi rituali, per funzionare, devono essere condivisi da tutto il gruppo. Essi fanno parte di un universo mitico magico religioso che deve essere condiviso da tutta la comunità di riferimento.
    È tutto il gruppo che permette alla donna di guarire, oltre che la danza. Il gruppo sostiene il rituale, ci crede, si ferma nella sua attività per tutto il tempo necessario al rito e si modifica in rapporto al soggetto per farlo guarire.
    Se la donna si sente alienata, il gruppo le permette di esternare il suo dolore durante il rituale, di accettarla nel gruppo e di aiutarla. In questo modo le donne guarivano e non venivano considerate “pazze”. Purtroppo in seguito queste cerimonie furono proibite e le donne che non potevano guarire con le tarantelle sono finite in convento, in manicomio o peggio ancora in galera.

    LA MUSICOTERAPIA E LO SCIAMANESIMO
    La tarantolata è una musicoterapia a tutti gli effetti, anzi più precisamente si tratta di una terapia coreutica-musicale.
    La musica ed il ballo sono terapeutici (e questo lo sostiene anche l’Ayurveda) poiché funzionano come catalizzatori degli stati alterati di coscienza ed accompagnano la crisi verso un riscatto che segna la guarigione.
    Oltre a curare le malattie, le danze, secondo molti popoli, proteggono dagli spiriti maligni che causano le malattie e quindi rappresentano anche una forma di prevenzione.
    Inoltre “quando lo strumento che dà origine al suono è ornato di raffigurazioni speciali, come immagini religiose o segni magici, allora le vibrazioni possono acquistare potere terapeutico” (1). In questo caso “lo strumento” per eccellenza “che dà origine al suono” è il tamburo.
    Il tamburo è lo strumento sciamanico per antonomasia in quanto cagiona lo stato di trance.

    Tamburo = trance = sciamanesimo
    Il tamburo è noto per il suo complesso simbolismo e per le sue virtù magiche.
    Secondo una credenza lo sciamano costruisce il tamburo tramite un ramo dell’Albero cosmico, che si trova al Centro del mondo, ove lo sciamano si reca durante i suoi sogni iniziatici. L’Albero cosmico, da cui si costruisce il tamburo, rappresenta la comunicazione tra cielo e terra. Anche il tipo di legno con cui verrà costruita la cassa del tamburo dipende dagli spiriti o da una volontà trans-umana.
    È grazie al tamburo che lo sciamano viaggia. È grazie al tamburo che il tarantato guarisce.
    A livello fisico, il ballo aumenta la formazione di adrenalina ed endorfina, che portano buonumore, euforia ed entusiasmo. In dosi eccessive, però, questi due ormoni possono causare eccitabilità ed aggressività. Non a caso la danza veniva utilizzata prima di attacchi di guerre.
    Virdung in “Musica generale”, nel 1511, scrive che a suo parere i tamburi furono inventati dal diavolo.
    In quel periodo, infatti, a causa del sopravvento della Chiesa, i tamburi e le danze ebbero vita difficile e sparirono molti strumenti musicali, tra cui i tamburi che per via delle loro dimensioni non si potevano nascondere facilmente. Nonostante ciò molti canti e balli riuscirono a sopravvivere, ad esempio nei cimiteri si è ballato fino al Settecento.
    Nei cimiteri si ballava sovente nudi e con molte risate e salti, al fine di scacciare gli spiriti maligni.
    Per rafforzare il potere della magia contro la morte si usava ballare all’indietro ma vi sono anche altre due tipologie di danza: la danza estatica e la danza in cerchio (che può essere oraria o antioraria).
    La prima veniva utilizzata primariamente per entrare in comunicazione con il mondo dei morti e degli spiriti (questo tipo di rituale è a tutt’oggi presente nel sufismo musulmano dei dervisci danzanti e nella macumba brasiliana).
    La seconda rappresenta un momento particolare della ritualità della natura medievale ed è utilizzata principalmente a scopi magici, infatti la Chiesa ha perennemente cercato di combatterla.
    Oltre alla tarantolata salentina, in Italia abbiamo anche l’argia oristanese, che prende il suo nome da un ragno. L’argia è un ragno temutissimo e si diceva che il suo morso facesse cadere le persone in una sorta di possessione demoniaca, per riprendersi dalla quale si facevano dei riti musicali e magici.
    L’argia oristanese è fortemente sessualizzata; meno nota e meno studiata del tarantismo salentino è comunque molto interessante dal punto di vista antropologico (vedi: “per approfondimenti”).

    TARANTISMO, SIMBOLI E DEA MADRE
    Il ragno Ischnocolus è in realtà innocuo. Si sostiene infatti che dietro il tarantismo ci fosse un bisogno della donna di ricevere maggiori attenzioni dal proprio marito o di riscattarsi dopo un anno passato solo ed esclusivamente a lavorare. I giorni della tarantolata erano dei giorni speciali, in cui alla donna era concesso di fare tutto ciò che voleva, era una sorta di carnevale in cui le classi subalterne si riscattavano dalla precarietà delle condizioni in cui vivevano.
    Ma se il ragno era innocuo ed era “solo una scusa” per partecipare alla tarantolata viene spontaneo chiedersi: perché proprio il ragno? Come summenzionato, oltre alla tarantola, l’animale incriminato poteva essere anche uno scorpione o un serpente, vale a dire animali striscianti. Perché proprio questi animali? Cosa significano?
    Il ragno è un animale carico di simboli positivi e negativi (positivi per la sua laboriosità, negativi per il morso, il pizzico e il veleno), presso moltissime culture.
    In India è considerato simbolo dell’ordine cosmico per via della ragnatela precisa che riesce a creare, la quale simboleggia l’emanazione dell’intelletto divino.
    Nella mitologia africana e Cherokee il ragno è il portatore del fuoco alla civiltà umana.
    In Cina è simbolo di buon auspicio (può significare il ritorno del “figliol prodigo”).
    Nello sciamanesimo il ragno può essere uno spirito guida che appare in sogno allo sciamano, ma non solo.
    La medicina popolare attribuisce al ragno molti poteri taumaturgici e terapeutici.
    Nell’Islam i ragni bianchi erano considerati buoni, quelli neri cattivi. In Occidente è maggiormente diffusa la valenza negativa di questo insetto a causa della paura e della repulsione che esso suscita. Questa paura, però, nonostante risulti più radicata in Occidente, è atavica e deriva dalla consapevolezza che il morso del ragno è potenzialmente dannoso e velenoso.
    Il ragno è considerato anche un simbolo di femminilità, precisamente rappresenta la sottile malizia femminile. Personalmente credo però che un ragno velenoso e che pizzica, come nel caso del tarantismo, sia da considerarsi più un simbolo fallico che un simbolo femminile.
    Non è quindi un caso se la tarantola talvolta poteva essere identificata anche con un serpente, simbolo fallico per antonomasia (ma può essere anche un simbolo femminile a causa del ventre divorante).
    Qui in Occidente il serpente è legato a Satana e quindi, come il ragno, ha presso i nostri popoli una valenza perlopiù negativa.
    Cosa significa dunque il ragno nel rito del tarantismo? E per quale ragione erano le donne ad essere le quasi esclusive protagoniste?
    Ritengo che il tarantismo sia legato alla dualità maschile-femminile e che affondi le sue radici nel mondo della Dea Madre. Il ragno, simbolo maschile, pizzica la donna e le inietta il suo veleno. La donna, per liberarsi da questo veleno, deve ballare e concedersi dei giorni di pausa e di ballo per tornare “normale”.
    Letto in chiave simbolica questo rito è un riscatto della donna sulla sua condizione non solo contadina e subalterna, ma volendo anche sociale e sessuale. È un riscatto del femminile sul maschile, della Dea Madre, ormai svalutata da una società patriarcale e maschilista, da religioni che mettono in primo piano il Dio Padre che si è fatto UOMO e che hanno dimenticato l’immenso valore e potere della femminilità.
    Neumann sostiene infatti che “il rischio dell’umanità consiste oggi, in parte, proprio nello sviluppo cosciente unilaterale e patriarcale dello spirito maschile, non più equilibrato dal mondo ‘matriarcale’ della psiche” (2).
    La Grande Madre non è un’entità concreta e fisica, bensì un archetipo universale.

    GEOGRAFIA ED EVOLUZIONE DEL TARANTISMO
    Il tarantismo era presente in Puglia sin dal Medioevo; ebbe il suo culmine nel XVIII secolo e iniziò a declinare nel secolo successivo. Era diffuso non solo nel Salento ma anche nelle province di Matera e Bari.
    La Chiesa, che non approva riti pagani, ha cercato di dare una spiegazione cristiana a questo rito tramite il culto di San Paolo.
    San Paolo, che secondo la tradizione è sopravvissuto al veleno di un serpente dell’isola di Malta, è stato scelto come protettore di tutti coloro che vengono pizzicati da un animale velenoso. I tarantati venivano sovente condotti nella chiesa di San Paolo a Galatina (LE) a bere l’acqua sacra del pozzo della cappella.
    Questo tentativo di cristianizzazione però non sortì grandi effetti poiché le donne durante il rituale esibivano anche comportamenti osceni e San Paolo cominciò ad essere associato alla sessualità.

    fonte http://www.unknown.it/esoterismo/il-tarant...ella-dea-madre/


    ci sono molte discordanze in questo articolo , ma ce ne sono ovunque , essendo rituali popolari contadini è ovvio che nel tramandare le informazioni ognuno se la canti a modo suo...


    nello specifico questo fenomeno pare essere nato nella campagne di Massafra, uno strano paese della provincia di taranto , la struttura del paese mi piace molto ma personalmente mi si attorciglia lo stomaco quando ci vado, non riesco a sentirmi serena ,ho sempre l'esigenza di andarmene.sopratutto in determinati punti o strade. a volte mi ha preso cosi forte il disagio che sono svenuta.ero nei pressi di un ponticello....chissa che accadeva li ...mba.

    non ho mai capito perche' i salentini -leccesi si siano impadroniti del lato folkloristico di questo rituale al punto da aver eretto un musical che ormai attrae ogni anno 150.mila persone da tutto il mondo. una bolgia umana.

    dove di tarantismo c'è ben poco . i tarantini invece disdegnano questo loro tesoro storico e vedono alla pratica musicale con occhio storto...finche' ovviamente non diventa moda ed allora entra nelle loro corde.


    vedo un po' il tarantismo a lecce come la giocando al luvres.


    chissa' perche' poi il mio suono preferito è da sempre quello delle percussioni :)
     
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  2. jamato
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    Sono Tarantino,ma non sarei riuscito a descrivere meglio il rito non solo sciamanico che hai riportato.Desidero però provare a spiegare le ragioni per cui ancestralmente i tarantini si sentono estranei alla cultura circostante al loro territorio.
    Taranto è storicamente di origini spartane, per essere precisi l'unica colonia spartana riconosciuta storicamente dalla stessa grecia, le porte d'ingresso di Thapac/Ttarentum erano Martina franca e Rocca forzata, taranto è anche l'unica città meridionale ad avere tradizioni celtiche.
    I druidi la loro scrittura antica, era greca,i contatti, con la grecia è per la relativa vicinanza(via mare)con la Liguria, ma non solo contribuito notevolmente ad una separazione culturale con le popolazioni vicine; Sai certamente quanto è importante per noi la candelora...E come è festeggiata a Martina franca ( tre giorni) dove si scambiano si vendono,si concordano monte di animali di ogni genere)Massafra dopo Torino è considerata dal mondo esoterico la Tebaide d'italia, io stesso ho studiato al mondelli l'ultimo anno di agraria, Praticamente a due passi dalla gravina, dove in mezzo ad un ecositema che sembra giurassico si trova la grotta del magus Gregurio, difficile da raggiungere poichè costruita a strapiombo sulla roccia tufacea, o passato diverse notti allinterno di quella grotta, da studente "goliardico" Proprio a poche decine di metri , opera ancora una sensitiva (Cosima) di per se gia ricca , era un orefice e gioielliera, donna oggi molto anziana, che ha mollato tutto,per dedicarsi alla magia.
    Ultima ma non per importanza sono le cento masserie tra taranto e crispiano, dove da sempre si racconta della presenza del piccolo popolo, in partcolare alla mortella . Presto avrò più tempo e posterà foto è video....

    Grazie nenyha
     
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    ancor meglio , taranto è una citta' di bastardi spartani, i cosidetti figli della guerra, mentre gli spartavano combattavano per ventanni a Troia , per vent'anni le loro donne sono state violentate>> ma anche no << da tutti gli avventurieri di passaggio, al ritorno dei mariti , i frutti delle violenze, che fossero bambini o giovanotti ormai ventenni,sono stati banditi all'esilio in quel di Tarentum.


    Taranto temuta e terribile, bellissima, terra di oro di scienza di abbondanza e di sapere , temuta persino da Roma è stata defraudata di ogni suo bene.


    ancora oggi io mi domando dove sia finita l'essenza di quei guerrieri e di quelle menti,degli avi degli attuali tarantini che vive soccombendo ad ogni tirannia.....



    Jamato, per pasqua ti preparo una scarcella, la vuoi?
     
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  4. piumino789
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    Vedi Neny,anche il tarantismo,fa parte di quelle necessità,che non si possono esprimere liberamente,quindi come avviene nelle possessioni,una volta cera il tarantismo...Tramite questo evento le donne si scatenavono,attraverso danze e suono di tamburo,le mandava in una forma estatica,senza più freni inibitori.....

    Purtroppo il cattolicesimo a costretto i popoli a soccombere psichicamente,quindi tante persone,inconsciamente usavano i propi bisogni da far emergere,tramite credenze culturali popolane,era l'unica maniera per non impazzire..
    E così,funziona la possessione demoniaca..

    E a me che mi fai per pasqua? arf2 mf_microwave
     
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    piuminoi piumino piumino...povera e tenera ingenua piumino....

    lo sai cosa si fa a pasqua?


    l'agnello sacrificale che toglie i peccati dal mondo....

    indovina chi è l'agnello?

    gnam gnam patate gnam gnam..

    :( sono triste morgana ci ha abbandonate :( sai che abbuffata mi facevo con voi due sigh.,
     
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  6. piumino789
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    Guai a te se sacrifichi un agnellino.......patate a bizzeffe,morgana non l'ho più vista nel forum,tu sai qualcosa?
     
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    nenti sacciu, muta sugnu.durmia.


    :) quella cattivona ha scritto poco fa qualcosa a virgil , senza nemmeno salutaci ...fittuuusa.

    te la saluto su faizbuc ?
     
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  8. piumino789
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    e saluta faizbuc...ci ha abbandonate ueeeeeueeeeeeeeueeeeee....... bash
     
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    questo è il mess che le ho scritto su feizbukk:

    un piumino che si sente abbandonato, ti ha mandato il suo saluto ....ghghghg ...stiamo organizzando i sacrifici pasquali...tu sei in lista :) torna a surriento

    mi sa tanto di q2uei piatti che citano : na oristano sono stato a te ho pensato e questo piatto ti ho comprato
     
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  10. piumino789
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    e allora si...che ci'ha bello e che risposto.... southpark_h4h
     
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  11. Lady Lu
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    S'Argia


    Oggi volevo parlarvi di un particolare animaletto chiamato argia e del relativo rito esorcizzante. Stavo per aprire una nuova discussione poi ho immaginato che anche in altre regioni di Italia esistesse qualcosa di analogo, ho cercato nel forum e ho trovato questo bellissimo articolo di Nenhya e interessantissimo soprattutto per la relazione con lo sciamanesimo e per quanto riguarda la simbologia del rito come riscatto della donna sulla sua condizione e il legame con la Dea Madre.
    Visto che l’argia è stata anche citata da Nenhya e che creare tante discussioni sullo stesso argomento concorre a frammentare e rendere disordinato il forum ve ne parlerò qui.
    Tra il rito dell’argia e il tarantismo ho riscontrato alcune assonanze interessanti: il ragno e il suo morso in primo luogo, la musica e la danza protagonisti del rito e con funzione guaritrice, la partecipazione di tutta la comunità al rito nonché la sua finalità. I riti non sono però uguali, vediamo in cosa consiste e come si caratterizza il rito dell’argia.

    L’Argia (o Arza, o Varza o Arzolu) in Sardegna è un ragno, un ragno esistente in Italia (Latrodectus tredecim guttatus), il cui veleno può essere molto pericoloso. Dopo circa un’ora dalla puntura, in genere determina dolore addominale crampiforme, sudorazione, febbre, brividi, grave astenia, malessere generale e – qualche volta – la morte. Lo si conosce, nel resto dell’Italia, sotto altri nomi: Malmignatta, Ragno Volterrano, Bottone, Falance (Falance, ateniese, fratello d’Aracne, che imparava l’arte delle armi mentre questa si dedicava alla tessitura (Schol. ad Nicandr. Ther. 12); per aver praticato l’incesto con la sorella fu trasformato in animale che divora la sua prole.
    Il nome significa "linea di battaglia, falange", ma è anche, nella forma φαλάγγιον, il nome di un ragno velenoso, la tarantola o la malmignatta (Aristot. Hist. an. 555 b). Deriva dall’indoeuropeo * bhl-ə -g-, "supporto, trave". Il greco moderno ha ancora σφαλάγγι, "ragno".).
    Il Wagner riporta nel suo dizionario: “vária (Bitti) s'arza (camp) viene definito dallo Spano
    "falangio sorta di ragno velenoso, il solo che abbiamo nell'isola, dal Berni si chiama tarantola, ma meglio, solìfuga" (s.v. arza). Difatti non è la vera tarantola (lycosa tarantula) e neanche il malmignatto (solifuga, che si chiama in Sardegna soloìga, suìga) , ma una specie di mutilla, un imenottero vespiforme, le cui femmine rassomigliano a formiche graziosamente screziate di giallo e di rosso. La denominazione viene dal loro colore variegato, come risulta dalla descrizione dello zoologo Marcialis. Questo insetto è molto temuto in Sardegna per il suo morso atrocemente doloroso, che produce degli spasimi.

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    Quindi, dal testo del Wagner, appare difficile ricondurre l'argia ad una sola specie di insetti, ma risaltano comunque due specie di artropodi, una che appartiene alla specie delle mutille, sorta di grosse formiche che pungono durante i mesi estivi, il loro morso non è velenoso al contrario, invece, di quello del latrodectus tredecimguttatus, la seconda specie a cui si fa risalire l'argia. Serpi ed insetti sono sempre stati considerati uno spauracchio. Nel linguaggio sardo si usa il termine babboi, bobboi, babballotti/u, per definire genericamente gli insetti. La radice di questi termini è bab-, bob- di formazione infantile, che designa uno spauracchio o fantasma e che impiegata prima in questo senso, venne poi applicata a insetti schifosi che fanno paura ai bambini: "babborku” uguale a befana, fantasma.
    Si ritiene che l'argia abbia il suo habitat tra le zolle, sotto le messi, o nel terriccio polveroso delle aie. Aggredisce all'improvviso, quasi sempre con un salto, sbucando imprevedibilmente dal fascio delle spighe, il suo morso produce una estesa fenomenologia tossica, tumefazioni su tutta la zona
    colpita, uno stato paraplegico, interessante gli arti e la schiena, bruciori diffusi.
    Ma questi sono i sintomi che si innescano sui poteri del nume-ragno che nell'immaginario popolare occupa un posto di primo piano tra i molti terrori che insidiano le ore canicolari e notturne e che si carica di una forte simbologia mitologica. Sembra quasi che qualsiasi insetto potesse pungere e
    dare sfogo al dolore interiore, e risvegliare i pericoli dell'anima.

    Così Eschilo nel Prometeo:
    Io- Di nuovo mi tormenta, misera, un assillo:
    lo spettro d'Argo, figlio della Terra!


    Si manifesta così il concetto di oistros, mito di Io, che punta dal tafano vagava senza sosta. Questo assillo inviato da Era, che induce Io a errare in preda alla follia, nelle Supplici appare semplicemente come un insetto molesto, invece nel Prometeo è il fantasma di Argo, ucciso da Hermes dopo averlo addormentato con la zampogna, che assilla Io.

    Così Eschilo nelle Supplici
    Calcando l'orma antica della madre
    Alle vaste radure fiorite io torno
    Al prato che dà buona pastura: di lì Io
    Scossa dall'assillo
    Fugge in preda al delirio


    Il mito di Io sembra allora collegarsi con la credenza che le arge sono le anime condannate che si contraddistinguono per una loro vicenda personale, sono sempre di sesso femminile e appartengono ad un preciso stato civile. Portano corpetto e gonna, e le varie picchiettature che possono essere colorate indicano i tipi di abbigliamento che come nel costume paesano differenziano le nubili, le sposate e le vedove.
    Così nella Historiola riportata da Clara Gallini, e raccolta a Serbariu Carbonia, dove si nota chiaramente il riferimento a Io tramutata in giovenca e assillata dal pungolo del tafano mandatole da Era:
    A ui sesi andendi mala zerpìa?
    Deu seu andendi
    A mudri a su boi animalli
    E cristianidadi
    E tottu cantu pozzu ferri appari.
    Giai chi sesi andendi
    A mudri su boi animalli
    E cristianidadi
    E tottu cantu podi ferri appari
    Sa lingua t'ind'ad a siccai
    Sa lingua t'indi sicchidi
    E d'onniamalli perefikidi
    In pei de sa Luna e de su Solli


    Dove stai andando bestia cattiva?
    Io sto andando
    A mordere il bue animale
    Ed i cristiani
    E tutto quanto posso insieme toccare
    Giacché stai andando
    Ad avvelenare il bue animale
    Ed i cristiani
    E tutto quanto puoi insieme toccare
    La lingua ti si seccherà
    La lingua ti si secchi
    Ed ogni male si purifichi
    Ai piedi della Luna e del Sole

    Appare anche come un rito legato fortemente ai riti della fertilità, rappresentato dall'invocazione della luna e del sole, Tanit,e Baal, Astarte divinità fenicie legate alla fertilità, al sole, e all'acqua. L'argia quindi, come gli incendi e i temporali improvvisi, rappresentava per l'uomo e per il bestiame, dentro una economia agricolo pastorale poco progredita, un pericolo costante, provocando paura e impotenza che coinvolgeva l'intera comunità. Paura e impotenza implicavano l'esorcizzare, lo scongiurare la puntura, mediante historiole, scongiuri, con l'invocazione di santi, Dio, la Madonna, sicuramente riplasmati su quelle figure mitiche sopracitate. Così appaiano insieme al sole alla luna e alle stelle:
    A inue andas tue serpìa mala?
    A punghere e a ferrere!
    A punghere e pro fèrrere torradiche
    dogni male ti si incassede?
    Peri su sole
    Peri sa luna
    e peri s'Isteddu
    Mannu e Majore
    Peri s'Isteddu Mannu Majoritade
    In nome 'e su Babbu 'e su Fizzu e
    S'Ispiritu Santu
    E de tottu sa Corte Celestiale.


    Dove vai bestia cattiva?
    A pungere e a ferire
    Per pungere e per ferire torna indietro
    ogni male ti si incorpori
    Per il Sole
    Per la Luna
    Per la Stella
    Grande e Maggiore
    Per la Stella Grande
    In nome del Padre, del Figlio e
    dello Spirito Santo
    E di tutta la Corte Celestiale.

    Il rito, effettivamente appare come un reperto rimodellato sulle nuove esperienze culturali dettate dalla cristianizzazione senza però abbandonare il mito. A testimonianza di ciò l'idea che le arge sono anime condannate , sono anime male ( animas cundannadas, animas malas) perché un tempo furono persone che rifiutarono il segno di omaggio a Gesù Cristo, mentre il giorno del Corpus Domini, passava la processione del Sacramento. Trasformate in arge, vollero vendicarsi rendendo mortale il loro morso, ma Gesù Cristo mitigò le conseguenze di questa ritorsione: la loro puntura non avrebbe provocato la morte, ma il ballo e tre giorni di festa.
    A questo mito cristianizzato e di condanna, si affianca l'ideologia di un'argia che è sempre di sesso femminile, ed è un'anima, di persona viva o defunta, che proviene da un altro paese ed è identificabile secondo uno stato civile, una condizione sociale e una storia personale: anche in questo caso, viene comunque considerata come un'anima cattiva o condannata che trasferisce la propria pena nella persona da lei colpita.

    Il corpo esorcistico.
    L'argia, come è già stato detto, appartiene alla comunità, di conseguenza il corpo esorcistico necessario allo svolgimento del rito terapeutico è largamente rappresentato dalla stessa comunità.
    Questa presenza comunitaria è particolarmente importante, in quanto, oltre ad essere al "servizio dell'argiato" serve a ricostituire una comunità che si avverte come minacciata dalla presenza del male. La comunità è sempre presente alla esplorazione. Questo aspetto diagnostico (presente talaltro in diversi rituali di possessione) prevede l’esecuzione di canti, musiche, e quant’altro fosse necessario all’individuazione dell’argia posseditrice. E in questo momento la comunità, anche se come semplice spettatrice, danza, canta fa scherzi carnevaleschi.

    Il corpo esorcistico, che agisce secondo un processo di identificazione tra nume e esorcista, una identificazione che comunque non oltrepassa i limiti di un simbolismo inconsapevole, nella sua composizione è regolamentato, regolamento che cambia da zona a zona.
    Così troviamo due tipi principali di organizzazione: una che si basa su un gruppo informale, che compie una esplorazione per temi di canto: senza un ordine i partecipanti entrano nel ballo, singolarmente, a coppia o a gruppi; il secondo, è forse il più importante, è quello strutturato per stati civili o ruoli sociali. Cioè la condizione sociale, soprattutto femminile, che deve rispecchiare ai fini terapeutici quella dell’argia. È soprattutto in questo tipo di strutturazione che si avverte l'importanza della comunità, e della sua presenza corale all'interno del rito, perché vengono rappresentati quei ruoli sociali che appartengono alla stessa comunità e che da essa vengono rappresentati in quelle forme tipiche della sua struttura.
    Le arge sono come gli esseri umani, quindi crescono, si sposano e muoiono per questo per scacciarle è necessaria la presenza di bambini, nubili, sposate e vedove. Sempre donne, a giustificare il fatto, almeno in parte, che l'argia è sempre di sesso femminile. Quindi a parte il suonatore il gruppo è composto esclusivamente da donne che appartengono ai diversi stati civili e ruoli sociali. Altra nota interessante che riporta Clara Gallini è il far risalire questa esclusiva femminile di compiere il rito esorcistico, ad una rivincita da stati di frustrazione sociale e sessuale, oppure una affermazione di iniziative femminili nell'ambito di una cultura che consenta un certo grado di autonomia.

    l corpo esorcistico femminile, organizzato per stati civili, prevede la presenza di sette donne, o tre, per ogni gruppo che intervengono con un ballo nel momento dell'esplorazione la qualecomporta il successivo intervento di individui o gruppi appartenenti a ciascun stato civile fino a trovare quello verso il quale l'argiato mostri segni di gradimento: l'individuo o il gruppo continueranno la loro prestazione e lo stato civile dell'argia verrà identificato sullo stato civile dell'esorcista di successo.
    L'argia punge l'estate. Lì dove l'economia è basata su lavori agricoli come pastorizia, mietitura, spigolatura, la raccolta delle fave. Punge durante la pausa dal lavoro, quando la stanchezza è tale da indurre un abbandono. La notte, l'alba, mezzogiorno, momenti in cui la coscienza non è più vigile e fa già fatica a difendersi: un momento limite e precario in una condizione di esistenza già di per sé precaria.
    Fin da bambini si è abituati a temere l'argia, si è a conoscenza che il suo morso è doloroso e velenoso, e che porta alla morte se non si è subito curati.
    Giovanni Jervis, nell'appendice de "i rituali dell'argia", riporta così la sintomatologia: “il morso può non venire avvertito, o essere trascurato, cosa che facilita la non identificazione della causa dei disturbi. A qualche minuto dal morso si ha la comparsa di una sintomatologia di tipo tossico generale (malessere, sudorazione) accompagnata da disturbi neurologici specifici: dolori violentissimi che partendo dalla zona colpita si irradiano a tutto il corpo e sono particolarmente intensi nell'addome, tanto da simulare un addome acuto peritonitico, o da poter esser da parte dei più incolti riferiti a coliche o doglie da parto; disturbi visivi; ansia vivissima con depressione, pianto e sensazione di morte; in seguito segni di confusione mentale, irrequietezza e particolare tendenza a tremito e spasmi dolorosi agli arti inferiori, tali da simulare a volte movimenti di danza o movimenti convulsivi; disturbi neurovegetativi come sudorazione profusissima, congestione del volto, ritenzione urinaria e a volte eccitamento sessuale.”

    Questa sintomatologia, strettamente medica, si affianca ad altri dati che danno alla funzione del rito un significato differente a seconda si intenda esorcizzare uno stato di intossicazione reale o supposta.

    Appare così una identità sociale, forte, tipica di quella società arcaica, organizzata a partire dal
    suo patrimonio culturale. La cultura nutre questa identità con riferimento ai sui antenati, ai suoi morti, alle sue tradizioni.

    sintomo dell’ influenza comunitaria e dell'ereditarietà è che l'argia è una persona defunta ( in alcuni casi una persona viva) e la sua negatività è un'anima mala, o viene da un altro paese, quindi estranea alla vita comunitaria di quella società capace allora di rompere i suoi sistemi, rispecchiando così il pericolo incombente. Angosce che vengono attenuate dal complesso mito - rito -magia- religione, angosce che
    vengono respinte con la passione del gioco, con molteplici partecipazioni , con l'amore, forte come la morte, con il quale la comunità si prende cura dell'argiato, evadendo a sua volta dai problemi della vita quotidiana.
    Un mondo popolato di spiriti, di esseri sovrannaturali, di leggende fantastiche, di chimere, di miracoli, un mondo dove i sogni sono realtà. Un immaginario creato dalla mente umana pertinente al mondo psichico. Immaginario che aiuta la creazione del gioco, quello stesso gioco che è capace di attenuare le angosce.
    E in questo gioco chi è pizzicato dall'argia tiene l'argia dentro oppure la sua anima, “su sentidu”.

    Chi ne è posseduto balla e impersonifica la sua argia particolare con la sua particolare vicenda, alla quale fa seguito il rituale che si differenzia a seconda che l'argia sia bambina, sposata o vedova ecc. E così, con un lavoro di sintonizzazione, entrano nel gioco quelle figure comunitarie che ricalcano il gradimento dell'argia in questione: l'argia pippia (bambina) gradisce essere cullata al canto delle ninne-nanne; l'argia bagadia (nubile) o isposa (fidanzata) o cojada (sposata) o collionada (sedotta) gradisce che si intonino canti d'amore; l'argia viuda (vedova) è in situazione di cordoglio e piange la morte del proprio sposo. Queste elencate
    sono quelle più importanti, ma a rappresentanza della comunità l'argia può essere anche prentoxa (partoriente) alla quale viene dedicata una rappresentazione simbolica di un parto; può essere beccia (vecchia) caratterizzata dall'immobilità e dal torpore curata con la cerimonia del focolare domestico o con l'emissione in un forno tiepido; martura (malata) che rifiuta la danza, e gradisce le scosse del carro.
    Individuare l'argia, e placarne il suo effetto sono gli scopi del rito. Entrare in comunicazione con il nume ragno, per placare le sue ire e far rientrare il posseduto nella sfera comunitaria. Questo si ottiene mediante diversi tipi di esplorazione usati complementarmente:
    - l'esplorazione musicale, si compie cercando la musica tipica del paese del ragno (ogni paese, così come possiede un costume, una variante linguistica, possiede un ballo tipico) o almeno quella da lui più gradita, individuata la musica il posseduto entra nella danza continuando il ballo sempre sulla stessa musica;
    - il travestitismo, l'argiato indossa diversi costumi fin quando non si trova quello che corrisponde a quello del paese di provenienza dell'argia, del suo stato civile o della condizione sociale dell'argia, il travestitismo è sempre femminile;
    - l'interrogatorio esorcistico ha per finalità la dichiarazione dell'identità da parte dell'argia, che solitamente avviene per bocca del posseduto, che esterna le pretese dell'argia che si basano su una vantata condizione elevata nel rango sociale - può essere un bravo ballerino, un bravo cantore ecc.. La richiesta è immediatamente assecondata dai presenti.

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    Queste tecniche di esplorazione, che secondo una ideologia popolare, hanno un obiettivo diagnostico riescono a configurare lo stato di possessione. Nei riti coribantici e dionisiaci, e nei riti africani, la "prova dei suoni" ha come compito di favorire un passaggio da uno stato di disordine ad uno stato di ordine, ordine limitato conchiuso e obbligante di un unico ritmo da seguire e di un unico ruolo da sostenere.

    Nell'argia lo stato confusionale parte dallo stato di intossicazione che come abbiamo visto comporta un restringimento del campo di coscienza e pone il posseduto in uno stato che sta tra la vita e la morte, così come avviene a chi compie i voli estatici nei riti sciamanici. Questo restringimento della coscienza viene a sua volta ritualizzata trasferendo lo stato di intossicazione reale entro un piano di finzione cerimoniale.
    Questo rito ha la durata di tre giorni, riplasmato e ritualizzato sulla durata effettiva dell'intossicazione.
    Che la mitologia dell'argia non corrisponda ad una realtà oggettiva non ha nessuna importanza: chi è stato punto ci crede, ed è un membro della comunità che ci crede. L'argia quindi rientra in quel sistema, di spiriti protettori o maligni, mostri soprannaturali, animali magici, che fonda la concezione arcaica dove tutto ha una ragione d'essere.
    La possessione argiatica crea uno stato di dissociazione durante il quale il malato parla con e attraverso l'argia ma anche con le persone che per organizzazione sono messe in rapporto con lui, e di conseguenza con il nume possessore: questo stato di dissociazione ha una coerenza, una sua vita propria, una propria memoria. Il ritorno alla coscienza viene descritto come una sorta di stupito risveglio, che corrisponde con una perdita della memoria. La perdita della memoria è proprio una caratteristica che solitamente accompagna i diversi quadri di possessione, e il rischio è che vi sia un modellamento dei ricordi, un sentito dire, oppure un rifiutare di riconoscere di essersi comportati in modo abnorme, ridicolo o sconveniente.
    Se la perdita di memoria costituisce un alibi che si accompagna agli stati di possessione, i gradi di coscienza sembrano caratterizzare due momenti del rito: la danza e il riposo. La danza appare come uno stato di oblio, favorito dall'iterazione ritmica, durante il quale l'argiato non sente i dolori, non riconosce le persone che gli stanno intorno, al cessare della musica vi è la ricomparsa dei dolori assieme alla coscienza dell'ambiente. Questo ritorno di coscienza è la caratteristica del secondo grado, il riposo.

    Interrogatorio
    Una delle prassi dell’individuazione dell’argia è l’interrogatorio esorcistico che può essere svolto o dal musicista terapeuta o dalla persona che l’argiato elegge per affinità. L’interrogatorio ha come compito quello di costringere l’argia a dichiararsi la quale, scoperta, quindi vinta, è costretta ad andarsene.
    È stato gia detto che l’argia è una entità singola, ha nome e cognome, uno stato civile e una condizione sociale e questo comporta che l’interrogante, e il corpo esorcistico, attuino una strategia che agevoli il riconoscimento. Riconoscimento che si effettua mediante l’interrogatorio che può essere in forma di dialogo, in prosa o in rima. Minacciare e lodare l’argia è la tattica dell’interrogatorio, e corrisponde a tutti quei comportamenti rituali indirizzati ad assecondare il posseduto, o meglio il suo nume possessore nelle sue richieste. Comunque l’interrogante di turno non deve mai mostrarsi debole, deve evidenziare la sua forza, la sua capacità nella lotta che sta ingaggiando contro l’argia, quindi deve apostrofarla con dure parole, minacciarla affinché essa si mostri.
    Quindi succede che il posseduto, con l’aiuto dell’esorcista compie un percorso di adattamento della propria persona ai moduli mitici tradizionalmente proposti, compiendo così una variazione individuale su una tematica mitica comunitaria.

    L’esplorazione musicale
    Anche l’argia attua un suo tipo di esplorazione musicale. L’esplorazione musicale è affidata ad un musicista, che nei datiriportati da Clara Gallini era un suonatore di fisarmonica, la quale ha sostituito il sonetto
    (organetto), ma si può presumere che in epoche più remote fosse un suonatore di launeddas, strumento usato per accompagnare le danze paesane. Ed è proprio dal repertorio delle danze che il musicista terapeuta estrae quelle adatte alla terapia dell’argia.
    Però non sempre si realizza quella data coerenza tra vicenda personale dell’argia, foggia dell’abito e forma del ballo. Il musicista eseguirà una serie di balli a lui noti, questo fa sì che la sua figura sia importante proprio per la diagnosi della puntura dell’argia, diagnosi fatta proprio con la prova dei suoni.
    Allora capita che il musicista terapeuta oltre ad avere una profonda conoscenza del repertorio di musiche da ballo deve conoscere l’andamento del rito. È lui che organizza i tre giorni di rito, conduce l’interrogatorio esorcistico e può nell’eventualità, mettere a disposizione i vari costumi utili ai fini terapeutici. Deve riuscire ad instaurare un rapporto di superiorità nei L’argiato, quando giace disteso sul letto o su una stuoia, talvolta è già dentro un suo ordine ritmico, muove i piedi a cadenza. L’esplorazione musicale allora consiste nel trovare quel ballo adatto ai movimenti che il posseduto sta compiendo. Trovata la musica, questa
    continuerà sulla stessa linea melodica, tonalità e ritmo per i tre giorni di rito.
    Le melodie del ballo dell’argia vengono attinte di preferenza dal repertorio del Capo di Sopra (termine che in Sardegna indica le zone del centro- nord), che sono caratterizzate da un ritmo molto rapido e vivace e richiedono che tutto il corpo entri in movimento.
    L’argiato ballerà da solo, sostenendosi in questa eventualità, a una sedia o appoggiandosi al muro, oppure sarà aiutato da altri ballerini, scelti per simpatie personali, o per particolari abilità nel ballo. L’argiato che ha ricevuto dal nume possessore la capacità di ballare si esibirà in prodezze, e instancabilmente salterà o ballerà su un piede. Danza come momento di immissione nello stato di possessione, aiutando il mantenimento di quello stato sognante, che rende minima la percezione del dolore e facilita il sostenere un ruolo insostenibile in condizioni di normalità. Stato agevolato ancora dalla ripetitività della musica. Musica che con il suo ritmo le sue misure, le sue frasi che qualificano quei passi di danza, vuole influenzare la cinetica aiutando così il controllo di forme di agitazione parossistica mediante i passi obbligati di danza. Danza che, nell’argiato, si mostra come un ritmico agitarsi e che il mantenere il tempo è più importante dell’esecuzione tecnicamente corretta della danza stessa.
    In questa strutturazione pare allora possibile un rapporto forte con le arcaiche comunità di coltivatori, dove la vita era organizzata attorno alle ricche e complesse cerimonie dedicate alle varie divinità, alle quali prendeva parte l’intera comunità, e organizzate secondo un calendario religioso condotto da un sacerdote esperto. Sacerdote membro della comunità socialmenteiniziato e cerimonialmente introdotto, occupante un certo rango con determinate funzioni, e al quale si contrapponeva la figura dello sciamano, un uomo che in seguito ad una personale crisi psicologica ha acquisito determinati poteri e la capacità di comunicare con le divinità.
    Musicista terapeuta che ricalca la figura del sacerdote, riconosciuto tale dalla comunità per le sue capacità e conoscenze musicali, l’argiato diventa, con la sua crisi determinata dalla puntura del ragno, reale o presunta, lo sciamano, e come tale viene trattato dalla comunità, e attraverso lui, comunica con il nume, l’argia, il ragno che come dice Jung è il simbolo della madre (o della Dea Madre), divinità primigenia delle comunità agricole, legata alla fertilità.


    Stati civili dell’argia
    Si è visto che l’argia è sempre di sesso femminile, facendo coincidere, il mito con l’arcaico sistema matriarcale di divinità, e che appartiene ad un preciso stato civile. Questo sistema di classificazione del ragno nume, dell’animale mitico, rientra in una realtà mitico-rituale.
    Pertanto si potrebbe ipotizzare che la figura mitica dell’argia sia una reminiscenza di quei culti legati alla fertilità che facevano capo alla Dea Madre, una delle prime divinità create dall’uomo, una dea dispensatrice di abbondanza, di figli, bestie e frutti, fondamentale per l’esistenza dell’uomo, il quale cercava di ingraziarsela in tutti i modi, e questa capacità generatrice è legata strettamente alla terra, al mistero del seme che ciclicamente muore e germoglia. La ciclicità della vita sembra legata alla suddivisione in stati civili che la donna occupa nella comunità, bambina (figlia), sposa, vedova, e che segnano i vari passaggi
    dell’evoluzione femminile e il destino dell’uomo, così come le tre Parche: Cloto, che filava lo stame della vita; Lachesi, che lo svolgeva sul fuso; Atropo che con le cesoie lo recideva inesorabile.
    Ma parrebbe rinforzare l’archetipo della Grande Madre, rappresentato proprio dalle tre età della donna, bambina, sposa, e nonna, e quest’ultima in quanto madre della madre è a rigore la grande madre.
    Il matriarcato veniva governato da leggi che erano indissolubili dagli eventi naturali, mentre l’emergente patriarcato è governato da leggi squisitamente culturali. Ruoli che comportano l’emergere di desideri nascosti e di colpe, soprattutto in ambito familiare e sessuale, e allora ecco l’argia che punge, il nume femminile che cerca la rivincita attraverso il posseduto (il quale chiede abiti femminili, desidera una maternità) e che ricalca la figura delle menadi che in preda alla follia, trovano la rivalsa nei confronti dei loro uomini.
    L’argia bambina
    Chi è punto dall’argia bambina viene posto in una culla e cullato al canto di una ainninnia (ninnananna) la quale non è indirizzata all’ammalato ma direttamente all’argia bambina ospitata dallo stesso. I canti vengono tratti dal repertorio popolare conosciuto oppure improvvisato.
    L’intenzione del canto non pare essere quello di maledire l’argia, anzi essa viene trattata sempre con rispetto, e prevalgono temi della consolazione e del compianto. L’argia, “la grande argia”, viene pregata affinché vada via e torni sottoterra in seno alla propria famiglia e rimanga per sempre tra i suoi giochi infantili e non torni a far del male.
    L’atto consolatorio è accompagnato e rafforzato da una ossessiva scansione, gestuale sonora, della grande culla, dentro la quale l’argiato è deposto. Un cullare che vuole addormentare il dolore, e forse l’argia, e che ricorda il ritmico dondolio del busto impiegato nei rituali di possessione o nei lamenti funebri con il quale si vuole restringere il campo di coscienza e facilitare lo stato sognante entro cui mantenere e sostenere la finzione rituale.

    Anche Platone, nelle Leggi, sottolinea la teoria dei movimenti esterni regolatori di quelliinterni, con la capacità di ristabilire un ordine nei terrori, nelle angosce e nelle agitazioni tipiche del periodo della prima infanzia, della adolescenza e allo stesso modo in ciò che accade nei riti bacchici.
    De Martino cita, a proposito del dondolamento, il simbolismo dell’aiôresis, dell’altalena, come rito agrario o forse legato a Fedra o Erigone suicida per impiccagione, dopo la scoperta del padre morto. Nel rito dell’argia non è riscontrabile la connessione con il simbolo del suicidio per impiccagione, ma è più interessante il legame con il rito agrario delle aiôre, le quali venivano celebrate nel corso delle anthesteria, innestandosi così nella festa primaverile dei germogli, durante le quale si scacciava la passività dell’anno, si regolavano i debiti contratti con il mondo dei morti, si prefigurava e assicurava la fecondità e la fortuna prossima. Il simbolismo argia-bambina-culla si arricchisce di valenze mitiche: dalle aiôresis viene fuori il mito della Natura “nutrice e madre di tutto”.
    Il lasciarsi cullare, nella grande culla che diventa il grande ventre materno o le braccia materne, diventa catartico di un ricordo estremo che funziona come orizzonte estremo di ripresa e liquidazione delle situazioni infantili cui si è rimasti legati; ancora, l’ipotesi del simbolismo della rinascita.È certo che giocare ad assumere un ruolo infantile permette all’argiato di essere commiserato e compianto, e con l’azione del ritmico cullare dilegua l’immediata esperienza del vivere per far posto alla quietudine del sonno.
    L ’argia sposa
    Altro stato civile in cui viene distinta l’argia è quello dell’argia isposa (fidanzata) o cojada (sposa), ma anche bagadia (nubile) o collionada (ingannata, o meglio, sedotta e abbandonata).
    Si ritiene che chi sia punto da questo tipo di argia si cerchi un fidanzato, un partner, con cui intraprendere una pantomima amorosa, ed eventualmente, alla scelta del fidanzato , fa seguito una pantomima rappresentante le nozze e a cui si alterna una fase a letto con relativo parto simbolico.
    In questa parte del rito, appare forte una tematica erotica agevolando una conclusione felice alla narrazione di un eros infelice e illegittimo. Tematica erotica che si caratterizza però diversamente, a seconda che il posseduto sia uomo o donna: nel primo caso, dal momento che l’argia è sempre femmina, si ha una inversione dei ruoli e uno sfogo a comportamenti che rivelano un certo grado di omosessualità, contenuti e atteggiamenti per altro fortemente respinti e repressi dalla comunità che vieta severamente rapporti di questo genere; nel secondo caso invece, la puntura del ragno vuole simboleggiare quella dell’eros, a puntualizzare un pretesto per violare i rigorosi tabù sessuali vincolanti la vita della donna di paese, come la scelta personale dello sposo o nel caso delle vedove il rigido controllo sociale esercitato sul
    loro comportamento.
    Se vogliamo considerare il rito dell’argia come un pretesto che comporta la fuga è possibile allora una connessione con le crisi ricorrenti nel mondo femminile greco che comportavano lafuga dalla comunità civile, e che incombevano soprattutto in età pubere concernendo la sfera dell’eros precluso. A fronteggiare tali crisi erano chiamati diversi orizzonti mitico rituali.
    In questo orizzonte rientra quella figura dell’aiôresis, cioè l’altalena, che se per un verso richiama, come abbiamo visto precedentemente, l’esser cullato infantile per un altro se ne distacca. Le braccia materne sono un semplice surrogato meccanico che causa l’oscillazione, e questa iniziativa può essere assunta da se stessi o anche da altri, in sostituzione della madre, che può essere anche lo sposo. Ma ancora appare la valenza dell’altalena come prefigurazione dell’amplesso, una prefigurazione di quello che sarà il destino terreno della fanciulla. Citando ancora De Martino, che riporta la scena, opposta allo skyphos, nella quale appare accanto all’altalena una ragazza in abito nuziale, seguita da un sileno che regge un parasole: una ierogamia fra la sposa dell’arconte basileo e Dionisos.
    Morte dell’infanzia e della adolescenza, il passare dalle braccia materne alla prefigurazione dell’amplesso con lo sposo.
    Questa ierogamia ci riconduce ancora una volta alla Grande Madre: il matrimonio tra argiato e argia può essere visto come una unione tra cielo e terra, dove la terra simboleggia la madre e il cielo l’uomo, infine ci può venire in mente il passaggio dal matriarcato al patriarcato. Al possedimento reciproco tra uomo e donna.
    L’argia vedova
    In questo caso è possibile un confronto con i riti carnevaleschi (si ricordi il carnevale di Bosa) e i rituali per la morte del raccolto. Morte e rinascita appaiono come simbolo in una situazione in cui si vuole compiangere come morto chi si vuole riportare in vita. La scena del cordoglio comporta un abbigliamento di lutto da parte dell’argiato e a volte anche dei presenti, i quali possono partecipare alle lamentazioni.
    Lamentazioni che sono affidate a chiunque le sappia fare e che vengono improvvisate su moduli tradizionali sia nel caso abbiano contenuti con riferimenti all’argia, sia, più genericamente riportino i tipi usuali di lamenti da madre a figlia, da sposa a sposo. Obiettivo del canto è quello di portare conforto all’argiato compiangendone la sorte e commiserandolo, con l’intento di allontanare l’argia.
    Può essere lo stesso corpo esorcistico, che si identifica nell’argiato, a lamentarsi e a chiedere all’argia il perché faccia soffrire chi è stato punto, il quale è una persona innocente che non l’ha provocata, quindi chi canta condivide le pene della persona che soffre come in uno stato di agonia, stato che pone l’argiato in una situazione di impotenza, proprio come uno stato di morte, perciò necessita di essere lamentato e compianto.
    Il pianto avviene su moduli rituali tradizionali, così come il battersi la testa, o il petto ritmicamente, oppure avviene che si stenda un tappeto di fiori o di erbe, ed i presenti compiano quei gesti tradizionali, rivolgendosi al morto.
    È possibile avere sensazioni di freddo, le quali vengono ritualmente affrontate mediante la terapia dell’immissione nel forno.

    Il travestitismo
    Una prerogativa del rito dell’argia è il travestismo. L’indossare da parte dell’argiato, e anche del corpo esorcistico, abiti che sono in relazione con l’argia. L’abito rappresenta sempre l’abito dell’argia, il suo stato civile, la sua condizione sociale e il suo paese di provenienza.
    Nella fase esplorativa del rito, alla quale tutto il vicinato partecipa e collabora alla ricerca dell’abito, l’offerta proprio dell’abito è utile ai fini di attenuare e controllare la forma di agitazione parossistica che comporta lo stracciarsi gli abiti da dosso, questo avviene finché non si sia trovato l’abito appartenente all’argia nume possessore, e quando avviene ciò, come segno di gradimento, si ha il placarsi dei dolori e per bocca del posseduto, l’argia stessa, ringrazia.
    L’abito verrà indossato per tutto il rituale, fino alla partenza dell’argia. La cosa più interessante, anche per le sue valenze mitiche, è proprio il travestismo intersessuale.
    Si possono fare diverse considerazioni. Una è la svalutazione del ruolo femminile, alla quale fa riscontro vergogna ed imbarazzo. La perdita della dignità di maschio, per acquistare quella più “bassa” femminea, potrebbe essere giustificata dal fatto che il posseduto è ridotto, a causa dell’intossicazione ad uno stato
    miserevole, e soprattutto, non è più se stesso. Un gioco del “non sono io” che può giustificare qualsiasi azione, così come avviene anche nei carnevali, e questo mondo alla rovescia, fatto di rifiuti, offre la possibilità che emergano alcuni contenuti omosessuali latenti. In questo quadro rientra anche l’espediente del parto simbolico, causato dalla puntura dell’argia impedida (incinta) o partroxa, o prentoxa, o prossima (partoriente), la quale causa i dolori del parto che vengono calmati con l’offerta di una pupattola di stracci (pippìa ‘e zappu) che vuole rappresentare la figlia dell’argia: viene cullata al seno, vezzeggiata e fatta oggetto di manifestazioni affettuose.

    Oggetti del rito
    Durante il rito dell’argia si utilizzavano una serie di oggetti aventi una forte valenza simbolica: si tratta soprattutto di quegli oggetti legati all’arco simbolico della fattura del pane.
    Tra di essi vi è il setaccio: nel setacciare la farina si scorreva e si batteva il setaccio su un apposito telaio di legno ( sedazadori), questo movimento produce una serie di fruscii e colpi che vengono ordinati ritmicamente fungendo così da accompagnamento al canto. Era usato non solo in questo rito ma fa parte anche della terapia dello spavento, durante la quale si muoveva orizzontalmente, compiendo alcune croci, sopra la persona distesa per terra. Così facendo si vuole separare magicamente un male da un bene.

    Il forno a legna e la cottura in esso: la terapia dell’immissione dell’argiato nel forno caldo è legata alla sensazione di freddo provocata dalla puntura del ragno, e soprattutto a chi ritiene di essere stato punto da un’ argia beccia (vecchia), o nonnina.
    Quindi principalmente ha un carattere puramente ristoratore, apparentemente priva di valenze
    simboliche. Ma a volte questo tipo di terapia, che è sempre complementare a quella coreutica musicale, può manifestarsi accompagnata da una certa ossessione ritualistica: il fuoco deve essere acceso da tralci di vite, simbolo di fecondità e fertilità, poste a croce per un numero di sette, ed in alcuni casi il gioco del forno ( gioco nel senso del sacrale ludus) avveniva al termini dei tre giorni di rito, quando l’argiato veniva posto dinanzi al forno caldo mentre intorno a lui ballavano tre coppie maschili e femminili, ciascuna delle quali teneva un tralcio di vite acceso e cantava un invito all’argia ad andarsene. Così come avveniva nel medioevo per malattie reumatiche e febbre o sul piano magico-simbolico rientrava la cura dei porri, del fuoco di S.Antonio e latre, il fuoco brucia la malattia e allontana l’argia; l’argiato viene “cotto” come il pane.
    Un immagine chiara di morte e rinascita a uno stato migliore, come quella della cottura del pane, ma anche un simbolismo legato al ventre materno, come scrive Neumann , il quale fa rientrare il forno nel simbolismo del vaso-ventre, nel quale predomina il carattere elementare del grande cerchio, ma vi riveste, un suo ruolo anche l’aspetto creativo dell’utero e la possibilità della trasformazione.


    Fonte
    “I rituali dell’argia” di Clara Gallini
    Tesi in musicoterapia di Ottavio Farci
     
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  12. RedJackson
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    Lady io apprezzo tantissimo ciò che copi per il forum, ma quand'è che scrivi qualcosa di tuo? :-)
     
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  13. Lady Lu
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    Per scrivere qualcosa di mio dovrei avere un po' di tempo...e forse non ho molto da dire, non occupandomi di questo da anni e anni.
    Comunque seguirò il tuo consiglio Red^^
     
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  14. RedJackson
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    Non fraintendermi, trovo le tue pubblicazioni veramente interessanti e ben fatte, ma fra le tante qualcosa di proprio ci sta bene anche a titolo di ricerca... :-)
    Unire più post, integrazioni a ciò che già scritto eventualmente da e in altri forum, potrebbe dare un tocco di originalità. Un margine di opinione... :-)
    Tutto qui, per il resto già sai che apprezzo il tuo lavoro sul forum :-)
     
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  15. Sergiotar
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    Galatina è ritenuta la culla del tarantismo, e custode di un rituale antichissimo ed ormai scomparso da alcuni decenni; in passato, essa era considerata un “feudo sacro” protetto da San Paolo, che, secondo una leggenda locale riportata del medico leccese Nicola Caputi nel suo libro intitolato De tarantulae anatome et morsu (Anatomia e morso della tarantola, 1741), aveva reso immune questa terra e i suoi abitanti dal morso degli animali velenosi, ricompensandoli per l’ospitalità ricevuta durante il suo viaggio di evangelizzazione verso Roma.

    IL Club UNESCO di Galatina si propone di rivalutare il tarantismo come bene immateriale e di farlo conoscere attraverso le fonti storiche, gli studi, i filmati, le foto, le testimonianze; intende ricercare e custodire materiali documentari e bibliografici su questo antico fenomeno, affinché non vada disperso un patrimonio di riti, credenze, leggende e tradizioni che fa parte della nostra memoria storica e che tutti abbiamo il dovere di custodire e valorizzare.

    Il tarantismo, antico rituale terapeutico, un tempo diffuso in tutta la Puglia e nell’area del Mediterraneo, si è ormai estinto da alcuni decenni. Secondo una credenza popolare, esso prendeva il nome da un malefico ragno, il cui morso era ritenuto velenoso, che mordeva le sue vittime durante il lavoro nei campi, nei giorni di intensa calura estiva.

    Il morso del ragno provocava uno stato di estrema agitazione e di delirio, che si alternava ad una forma di torpore e abbattimento. La medicina e la scienza non riuscivano a trovare un antidoto per curare questa malattia. L’unica terapia contro il veleno del terribile ragno era il rito coreutico-musicale, il ballo terapeutico scandito dal ritmo frenetico della pizzica e del tamburello, che poteva protrarsi anche per più giorni consecutivi. Per ottenere la guarigione, le tarantate dovevano recarsi in pellegrinaggio a Galatina, presso la Cappella di San Paolo, il Santo protettore dal morso degli animali velenosi. Tradizione voleva che le tarantate, per guarire, dovessero bere l’acqua del pozzo della cappella, ritenuta “miracolosa”.

    Nel corso dei secoli, illustri studiosi italiani e stranieri hanno osservato e descritto il tarantismo. Lo studio più approfondito sul fenomeno fu compiuto dall’etnologo napoletano Ernesto De Martino, che alla fine degli anni ‘50 si recò nel Salento con un’équipe di studiosi, per effettuare una ricerca sul campo. I risultati di quell’indagine etnografica furono raccolti nel libro intitolato La terra del rimorso. Il ciclo rituale documentato da De Martino prevedeva due momenti: la terapia domiciliare e il pellegrinaggio alla Cappella di San Paolo a Galatina.

    Nel tarantismo, il morso del ragno e il veleno avevano una valenza fortemente simbolica; essi erano espressione di una profonda crisi individuale e di conflitti psichici che esplodevano, trovando espressione in un adeguato scenario cerimoniale e che attraverso il simbolismo della musica, della danza e dei colori, si risolvevano in un piano mitico rituale di deflusso.

    Il tarantismo evoca il mondo della mitologia greca, richiama in particolare il mito di Aracne, la giovane e abile tessitrice lidia che osò sfidare, in una pubblica gara di tessitura, la dea Atena, provocandone l’ira e la vendetta, al punto che la dea la trasformò in ragno, condannandola a tessere in eterno, sospesa alla sua tela.

    La taranta dimora nei luoghi del mito, delle leggende e delle credenze; è un animale simbolico che domina il corpo e la mente; è sensibile alla musica, al ballo e ai colori; il suo morso è ciclico e ritorna l’anno seguente, nello stesso periodo, riacutizzando il male.

    E’ il rito che muore e rinasce, va e ritorna in un andamento circolare, come le stagioni, come il tempo della società rurale, cadenzato come il ritmo della pizzica e il suono del tamburello, a ripetere un ciclo di morte e vita, di fede e superstizione, di salute e malattia.

    Il Club UNESCO di Galatina ha in programma, per i tre giorni della festa patronale, un ricco calendario di eventi sull’antico rituale del tarantismo, per far rivivere uno dei riti più misteriosi e affascinanti della nostra cultura popolare, che in passato richiamava alla Cappella di San Paolo le tarantate provenienti dai vari paesi del Salento. Giungevano a Galatina accompagnate dai familiari e dai suonatori, e danzando al ritmo frenetico della pizzica, esorcizzavano la malattia fino a riconquistare lo stato di salute.
     
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19 replies since 8/3/2013, 15:45   1484 views
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