Il trattato dei Tre Impostori

Il libro più proibito di sempre, odiato dall' inquisizione, ancor più dei grimori

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  1. L'Eremita
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    Il Trattato dei Tre impostori (Mosè, Gesù, Maometto)

    a.1


    Con il titolo Trattato dei tre impostori (che sarebbero Mosè, Gesù e Maometto) sono note in italiano tre diverse opere:

    1)Un trattato latino De tribus impostoribus. L'effettiva esistenza di quest'opera, nonostante sia stata affermata molte volte e fosse data per certa fin dal XIII secolo, non è mai stata dimostrata, e in ogni caso non ne è giunta alcuna copia. Gli autori del trattato - scandaloso in quanto in esso si sarebbero qualificati impostori i fondatori di tre grandi religioni, Mosè, Gesù e Maometto - furono nel tempo variamente identificati in Averroè, Federico II, Pier delle Vigne, Poggio Bracciolini, Erasmo da Rotterdam, Pietro Aretino, Guillaume Postel, Michele Serveto, Jean Bodin, Bernardino Ochino, Girolamo Cardano, Pietro Pomponazzi, Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Giulio Cesare Vanini, Baruch Spinoza e altri ancora.

    2)Un secondo trattato latino, ancora intitolato De tribus impostoribus, anonimo, scritto intorno al 1688 e stampato a Vienna nel 1753.

    3)Un terzo trattato intitolato La vie et l'esprit de Mr Benoît de Spinoza, pubblicato per la prima volta, anonimo e in francese, a L'Aia nel 1719; solo le successive edizioni assunsero il titolo di Traité des trois imposteurs. Diverse versioni di questo testo sarebbero circolate manoscritte anche precedentemente. Il nuovo titolo fu palesemente esemplato sull'opera in latino del 1688, che è però di diverso contenuto.


    Le origini leggendarie del trattato

    L'idea che fondatori e predicatori di religioni possano essere degli impostori si trova testimoniata nella storia più antica. Erodoto racconta del trace Zalmoxis che si fece credere immortale nascondendosi per tre anni, facendo credere di essere morto, per poi riapparire ai suoi fedeli come se fosse risorto, e raccontando di aver vissuto un'altra vita in un luogo favoloso dove aveva goduto di ogni felicità.[1] Secondo Tito Livio, il re Numa Pompilio fingeva di avere convegni con una ninfa che gli consigliava quali culti introdurre in Roma, allo scopo di ispirare il timore degli dei a un popolo rozzo e ignorante.[2] Noto è lo scetticismo religioso di sofisti ed epicurei, e naturalmente per i cristiani le divinità elleniche sono false e i miti pagani delle favole ridicole o immorali.

    Luciano di Samosata si fa beffe di tutti i narratori di miti, mentre per il pagano Celso Mosè e Gesù sono dei maghi che ingannarono un popolino ignorante; non diversa è l'opinione dell'imperatore Giuliano, per il quale Mosè e Gesù hanno tradito la vera religione. Anche per gli ebrei Gesù è un impostore che si è spacciato per l'atteso messia, e Maimonide accomuna Maometto a Gesù. Mentre gli islamici considerano Mosè e Gesù degli autorevoli profeti, per quanto inferiori a Maometto, per i cristiani Maometto, pur generalmente mal conosciuto, è senz'altro un impostore quando non è un eretico.

    L'opinione che tutti i fondatori delle tre grandi religioni siano degli impostori appare nel X secolo. Narra intorno al 1260 il domenicano Thomas de Cantimpré (1201-1272) che il maestro di teologia nell'Università di Parigi Simon de Tournai (1130-1201) avrebbe un giorno pronunciato «esecrabili parole di bestemmia contro Cristo: tre personaggi - disse - hanno soggiogato il mondo con le loro sette e i loro insegnamenti: Mosè, Gesù e Maometto. Mosè ingannò gli ebrei, Gesù i cristiani e Maometto i gentili».[3] L'accusa di impostura rivolta ai tre profeti era del resto più antica: in testi della setta islamica dissidente dei carmati sono presenti analoghe affermazioni, risalenti al X e all'XI secolo. Attribuita ad Abu Tahir (906-944) è l'opinione che «in questo mondo tre individui hanno corrotto gli uomini: un pastore, un medico e un cammelliere. Ma il cammelliere è l'illusionista, è il mago peggiore dei tre», dove il pastore è Mosè, il medico è Gesù e il cammelliere è Maometto.[4]

    È proprio negli ambienti musulmani che sembra essersi originariamente diffusa la tesi dell'impostura dei tre profeti. L'agostiniano Egidio Romano (1243-1316) accusa Averroè di ritenere «la religione dei cristiani non credibile a causa del mistero dell'eucaristia. Definiva quella degli ebrei una religione per bambini, a causa dei precetti e delle obbligazioni legali. Dichiarava poi che la religione dei musulmani, incentrata sul soddisfacimento dei sensi, era una religione da maiali».[5] In realtà Averroè non sostenne nulla del genere, ma l'opinione di Egidio era ben condivisa, così che anche Benvenuto da Imola, commentando Dante intorno al 1380, si duole che l'autore «mette Averroe senza pena, che fra le altre empietà disse che tre furono i celebri impostori del mondo - Cristo, Mosè e Maometto - e che Cristo, perché giovane ed ignorante, fu crocefisso»,[6] i pittori giotteschi lo mettono all'inferno negli affreschi del Camposanto di Pisa, mentre Petrarca se la prende con gli averroisti che «deridono Cristo e adorano Aristotele».[7]

    La maggiore risonanza al tema dei tre impostori fu data dall'enciclica Ascendit de mari di Gregorio IX, del 1º luglio 1239, nella quale l'imperatore Federico II viene accusato di aver «affermato apertamente che, per usare le sue parole, il mondo intero è stato ingannato da tre impostori, Gesù Cristo, Mosè e Maometto, due dei quali sono morti in gloria, mentre Gesù è però morto in croce. E ha avuto l'ardire di sostenere a voce alta, o piuttosto di mentire, che è follia credere che una vergine abbia partorito il Dio creatore della natura e di tutte le cose».[8]

    Questa accusa, che il papa non documenta ma che è ugualmente difficile dimostrare falsa, anche perché il sovrano amava circondarsi di dotti arabi ed ebrei, come del resto faceva il quasi contemporaneo Alfonso X, finisce con il coinvolgere il segretario particolare dell'imperatore, Pier delle Vigne, il quale avrebbe composto su ordine di Federico un trattato De tribus impostoribus che nessuno conosce ma della cui esistenza pochi sembrano dubitare. Ancora nel 1756 Prosper Marchand ritiene verosimile che Pier delle Vigne abbia scritto quel libro, il cui manoscritto - sostiene - si trovava, ma fu rubato, in una biblioteca di Monaco. Il fatto poi di essere stato elogiato come «uomo saggio e dotto» da uno scettico anticlericale come Poggio Bracciolini non può che rafforzare un tale sospetto.[9]

    Non sfugge al sospetto nemmeno il Boccaccio, la cui novella dei tre anelli mette sullo stesso piano le tre fedi: «delle tre Leggi alli tre popoli date da Dio Padre [...] ciascun la sua eredità, la sua vera Legge ed i suoi comandamenti dirittamente si crede avere e fare, ma chi se l'abbia, come degli anelli, ancora ne pende la quistione».[10] E in un'altra novella[11] Boccaccio irride le mistificazioni delle false reliquie.


    Sviluppo della leggenda

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    Il Cinquecento

    Nel Cinquecento, questo fantomatico libro è ancora sconosciuto, e tuttavia se ne cerca l'autore. La riscoperta e la valorizzazione dell'antichità classica, con i suoi scrittori e i suoi miti, la passione per l'alchimia, la maggiore libertà dei costumi, lo scontro religioso in atto all'interno del cristianesimo, tutto alimenta l'interesse per quanto appare eterodosso e proibito, un interesse favorito dalla crescita del mercato librario e dalla conseguente più rapida circolazione delle idee. Un autore più che licenzioso come Pietro Aretino non può sfuggire all'accusa che gli rivolge nel 1623 il frate Marin Mersenne, il quale non ha mai visto il De tribus impostoribus ma crede sulla parola di un amico che dice di aver letto il libro rintracciandovi lo stile dell'Aretino,[12] il quale peraltro non scrisse mai in latino. Sulla scorta del Mersenne vanno lo Spizel, il Tentzel e altri ancora.[13]

    Nella sua riflessione sulla politica, Machiavelli aveva individuato nella religione un potente fattore di conservazione del potere. Nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio egli scrive che «come la osservanza del culto divino è cagione della grandezza delle repubbliche, così il dispregio di quello è cagione della rovine di esse»,[14] tanto che «mai fu alcuno ordinatore di leggi straordinarie in uno popolo che non ricorresse a Dio, perché altrimenti non sarebbero accettate».[15] Un saggio principe deve favorire tutto ciò che serve a mantenere la religione, anche se fosse falso, poiché così si mantiene e si rafforza anche lo Stato.[16] Mosè e Maometto furono particolarmente abili a condurre al successo i loro popoli, rendendoli guerrieri con la forza della convinzione religiosa, diversamente da Gesù, che certo non fu un capo di Stato e la cui predicazione ha creato una religione che ha infiacchito gli uomini. Ad ogni modo, le religioni e gli Stati sono destinati a morire, come muoiono tutte le cose, a meno che non si rinnovino.[17] Così è accaduto per la religione dell'antica Roma, che decadde con la decadenza della città, e quando la falsità di quella religione «fu scoperta ne' popoli, diventarono gli uomini increduli e atti a perturbare ogni ordine buono».[16]

    L'incredulità e l'ateismo sembrano essere uno dei mali del secolo. Lo storico protestante tedesco Johannes Sleidan denuncia nel 1563 il diffondersi dell'ateismo in Germania[18] e gli fa eco in Francia il predicatore cattolico Melchior de Flavin,[19] che pensa addirittura alla necessità di un fronte comune delle tre grandi religioni per fronteggiare l'avanzata del materialismo. Non è però indispensabile, secondo Thomas Browne, essere compiutamente atei per essere nemici delle religioni: secondo lui, Bernardino Ochino, «questo mostro d'uomo, questo segretario infernale che non era né ebreo, né cristiano, né musulmano, insomma l'autore dell'abominevole libro dei tre impostori, non era positivamente ateo».[20] Tesi ripresa da Kenelm Digby, il quale dubita che l'Ochino, già generale dei cappuccini, fosse ateo: egli divenne «prima eretico, poi ebreo e dopo musulmano, e alla fine scrisse una furiosa invettiva contro quelli che chiamò i tre grandi impostori del mondo, il nostro salvatore Cristo, Mosè e Maometto».[21]


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    Nel Cinquecento si afferma nell'Università di Padova una scuola che rivendica la corretta interpretazione del pensiero aristotelico riguardo al problema dell'anima: l'anima muore con il corpo, sostiene Pietro Pomponazzi, e chi afferma il contrario vuole tenere il popolo nel timore delle pene infernali: «il legislatore religioso [...] sancì l'immortalità dell'anima curandosi non della verità, ma soltanto della probità, con lo scopo di indurre l'uomo alla virtù». Quanto alle religioni positive, «quella di Cristo, di Mosé e di Maometto, o sono tutte false, e così tutto il mondo è ingannato, o lo sono soltanto due, e così è ingannata la maggior parte degli uomini».[22]

    Nella Ginevra calvinista furono giustiziati due personaggi che furono poi indicati come possibili autori dell'inesistente Trattato: sono Jacques Gruet e Michele Serveto. Del primo, condannato nel 1547 perché autore di un libello contro Calvino e i suoi collaboratori, si scoprirono due anni dopo altri scritti nei quali Gesù è definito, tra le altre cose, «balordo, bugiardo, pazzo, seduttore», e Mosè un inventore di favole, come i profeti venuti dopo di lui e tutti i padri della Chiesa, «come Girolamo, Ambrogio, Beda, Scoto, Tommaso d'Aquino e altri barbari che inventarono falsità».[23] Michele Serveto, bruciato sul rogo nel 1553, viene accusato nel 1610 dal consigliere del Parlamento di Bordeaux e polemista cattolico Florimond de Raemond di essere l'autore del Trattato perché in fondo, secondo lui, mette sullo stesso piano Gesù Cristo con Maometto.[24] Il de Raemond dice anche di aver visto, nella sua infanzia, una copia del libro nelle mani di Pietro Ramo e passare «di mano in mano tra i più dotti, desiderosi di vederlo».[25]

    Serveto era stato accusato di aver scritto «il detestabile Traité des trois imposteurs» anche da Guillaume Postel.[26] Ma questi è a sua volta uno degli autori maggiormente indiziati: lo chiamano in causa Henri Estienne - che ricorda che egli dichiarò pubblicamente in piazza di Rialto, a Venezia, che «una buona religione dovrebbe essere composta da tre fedi, quella cristiana, la ebraica e la turca»[27] - Pietro Ramo e Tommaso Campanella, questi ultimi due a loro volta indiziati del «misfatto».

    Il secolo si conclude con il rogo di Giordano Bruno che era stato accusato, tra l'altro, di aver giudicato Mosè e Gesù dei maghi bugiardi; nel 1661 Johann Heinrich Ursin ripete ancora le parole che Caspar Schoppe aveva scritto all'indomani dell'esecuzione di Bruno: «i miracoli di Mosè erano il risultato della magia, arte nella quale egli superava gli egizi, le leggi che diede agli ebrei erano sue proprie e non di Dio, le Scritture erano favole»,[28] mentre nel 1711 Mathurin Veyssière de La Croze sostiene che nello Spaccio della bestia trionfante, «questo libro che fa orrore a tutte le persone perbene», Bruno faccia «paragoni abominevoli tra le favole dei poeti e le storie oggetto di fede nelle religioni subentrate al paganesimo. Il Vangelo è messo in ridicolo. Il nome di impostore è ripetuto più volte e applicato ai tre legislatori», Mosè, Maometto e Gesù.[29]


    Il Seicento

    Campanella, anche per sottrarsi a imbarazzanti sospetti, scrive l'Atheismus triumphatus, una condanna dell'ateismo che metterebbe in pericolo l'esistenza stessa degli Stati, e nel De gentilismo non retinendo individua nella Germania il paese di origine del De tribus impostoribus.[30] Finalmente, dall'attribuzione degli autori si passa alla ricerca del libro. Il consigliere di Cristina di Svezia, Johan Adler Salvius, nel 1635 contatta Baruch de Castro, un medico ebreo di Amburgo, appassionato di esoterismo, seguace di Sabbatai Zevi e autore del Flagellum Calumniantium, perché gli procuri una copia del Trattato. Sembra che il de Castro, che è diventato medico di Cristina, gliene consegni una nel 1652.[31] Il Salvius muore quell'anno stesso e la regina Cristina di Svezia cerca di entrare in possesso del libro, ma egli l'avrebbe bruciato alla vigilia della morte. Anche dopo l'abdicazione Cristina continua a cercarne una copia, ma inutilmente.

    Nel Seicento si dibatte sull'origine delle religioni. Secondo Hobbes il principale motivo è l'ignoranza delle vere cause delle cose: l'uomo si mette a fantasticare o a credere «all'autorità di altri uomini che ritiene suoi amici o persone più sagge di lui». Anche l'ignoranza del futuro genera paura, e «quando non si può vedere nulla, per la nostra buona o cattiva sorte non rimane che accusare un qualche potere o agente invisibile», che diventa così, nella mente umana, un essere reale e onnipotente, degno di venerazione. Esistono due specie di fondatori di religioni: quelli che hanno creato una religione secondo la propria fantasia, e quelli che hanno agito «secondo il comandamento e la direzione di Dio». Entrambi hanno dato leggi ai popoli, ma i primi, come Numa Pompilio e Maometto, sono impostori, mentre Mosé e Gesù hanno dato «precetti per coloro che si sono sottomessi come sudditi del regno di Dio».[32]

    Nel 1670 esce nei Paesi Bassi il Trattato teologico-politico di Spinoza, che quattro anni dopo viene proibito insieme al Leviatano di Hobbes perché blasfemo e ateo. Per Spinoza i preti cristiani, come i rabbini e gli imam, sono impostori che «rendono gli uomini bruti, poiché impediscono totalmente che ciascuno si avvalga del suo libero giudizio e distingua il vero dal falso»,[33] intanto che «spacciano le proprie finzioni per parola di Dio» per costringere il prossimo «a pensarla come loro».[34] Ne approfittano i monarchi, che hanno tutto l'interesse a «ingannare gli uomini e a mascherare, con lo specioso nome di religione, la paura con la quale tenere a freno i sudditi».[35]

    Pur con diversi limiti, i Paesi Bassi sono il paese più libero d'Europa, e vi si trasferiscono decine di migliaia di calvinisti francesi, cui Luigi XIV ha reso intollerabile la vita in patria, specie dopo l'emanazione dell'editto di Fontainebleau nel 1685. Tra di essi è Pierre Bayle: anche per lui Maometto è un impostore «che si serviva della religione come espediente per accrescere se stesso». D'altra parte i suoi seguaci sono responsabili di molte favole che si raccontano sul fondatore dell'islamismo, un inconveniente accaduto anche alla nascita del cristianesimo.[36]

    Nei Paesi Bassi Bayle fonda nel 1684 le «Nouvelles de la République des Lettres», e il suo esempio è presto imitato. Compaiono altre riviste letterarie come il «Journal littéraire», la «Bibliothéque anglaise» e la «Bibliothèque germanique», e alla fine del secolo i Paesi Bassi sono il paese dove si stampano più libri di tutti gli altri paesi messi insieme. È naturale che qui venga finalmente stampato un Traité des trois imposteurs, ma questo libro viene preceduto da un De tribus impostoribus che vede la luce in Germania.


    Il «De Tribus Impostoribus»

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    Nell'aprile del 1688 l'amburghese Johann Joachim Müller (1661-1733), nipote del teologo Johannes Müller (1598-1672) che fu autore di un Atheismus devictus, dopo aver assistito nell'Università di Kiel a una dissertazione del pastore protestante Johann Friedrich Mayer (1650-1712) sui Comitia taboritica a Christo, Mose et Elia celebrata, gli spedisce la copia di un manoscritto in suo possesso al quale ha aggiunto un'appendice: il manoscritto è in latino ed è intitolato De imposturis religionum breve compendium. Mayer concede a qualche suo amico di copiarlo e una copia perverrà anche a Peter Friedrich Arpe (1682-1740), un intellettuale tedesco che vive a Copenaghen, appassionato collezionista di libri rari e proibiti.

    Arpe sa bene che è meglio non rendere noto di essere in possesso di uno scritto proibito, eppure a lui viene attribuita l'anonima Réponse à la dissertation de Monsieur de La Monnoye sur le Traité des trois imposteurs, pubblicata a Rotterdam nel 1716, dove si conferma, contro i dubbi espressi da Bernard de la Monnoye nella sua Menagiana, l'esistenza del Trattato. Del resto, quell'anno stesso il celebre Leibniz ha potuto vedere il famoso manoscritto in casa del figlio di Johann Mayer, che alla morte del padre ha deciso di vendere la biblioteca. Il manoscritto è formato da 14 fogli e di esso «non si può dire nulla di più esecrabile, di più empio e di più pericoloso» - scrive Leibniz al barone Georg Wilhelm von Hohendorf, aiutante di campo di Eugenio di Savoia. Il barone, che era alla ricerca dello scritto per conto del principe, lo acquista da Mayer, e il manoscritto finisce nella biblioteca di Eugenio. Da qui finirà nella Biblioteca nazionale di Vienna, dove è tuttora conservato.

    Poiché si sospetta che autore della Réponse e soprattutto del Trattato sia l'Arpe, questi è costretto a intervenire pubblicamente. Nella seconda edizione della sua Apologia pro Julio Caesare Vanino neapolitano nega di essere l'autore della Réponse ma ammette di possedere una copia del Trattato tratta dal manoscritto del Mayer. Il De tribus impostoribus - aggiunge - «è una miscellanea recente di Johann Joachim Müller, che l'ha scritta per difendere la propria posizione intellettuale in una disputa. Suo nonno aveva menzionato l'opera e non aveva negato di possederla, e Mayer, suo amico intimo, gliela chiedeva con insistenza».

    Dunque il Müller è l'autore del Trattato: è possibile che egli si sia basato su uno o più scritti precedenti appartenuti a suo nonno, ma di questi, se mai sono esistiti, non vi è traccia. Il manoscritto del Müller viene stampato per la prima volta a Vienna nel 1753 dall'editore Straub con la data 1598. Non se ne conosce il motivo: fu forse per dare al libro una vernice antiquaria, apponendogli l'anno di nascita del teologo Johannes Müller.

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    Il De tribus impostoribus rileva che la stessa nozione di Dio è incerta per coloro che pure ne sostengono l'esistenza, i quali danno «la definizione di Dio ammettendo la loro ignoranza», senza comprendere «chi lo ha creato» o affermando «che è lui stesso il principio di sé», sostenendo così «una cosa che non capiscono. Dicono: non comprendiamo il suo inizio; dunque l'inizio non esiste».[37] Avviene che la sua nozione sia «il limite di un'astrazione intellettuale», e venga definito a volte Natura, a volte Dio, avendone idee disparate: chi chiama Dio «la connessione delle cose», chi «un essere trascendente, perché non può essere visto né compreso».[38]

    Si sostiene poi che Dio sia amore, benché egli, in quanto creatore, abbia dotato l'uomo di una natura opposta alla sua, e lo abbia sottoposto «alla tentazione dell'albero, sapendo che avrebbe commesso una trasgressione fatale a se stesso e ai suoi discendenti».[38] Per riscattare poi la colpa dell'uomo, Dio farà subire a suo figlio i peggiori tormenti: «nemmeno i barbari credono a storie così menzognere».[38] Ci si deve chiedere allora perché mai bisognerebbe tributare un culto a Dio, regolato da un'istituzione religiosa, oltre tutto in considerazione del fatto che un essere perfetto non dovrebbe averne bisogno: «il bisogno di essere onorato è segno d'imperfezione e d'impotenza». In realtà, «ognuno comprende che è interesse dei governanti e dei potenti stabilire una religione per mitigare gli istinti violenti del popolo».[39]

    Si dice che la presenza di una coscienza morale sarebbe la prova che Dio ha dato all'uomo la nozione del bene e del male e conseguente timore della punizione, ma in realtà le cattive azioni alterano l'armonia sociale e chi le commette teme le sanzioni della società umana. È la ragione naturale a illuminare il comportamento morale dell'uomo: il resto è «un'invenzione dei nostri oziosi sacerdoti, che così accrescono considerevolmente il loro tenore di vita».[40]

    Nessuna religione è in grado di dimostrare né l'esistenza né la natura di un'essenza divina, anche se sempre vi è chi ha preteso di conoscerla: i pagani dell'antichità, il re Numa, Mosé, Maometto, i bramini indiani, i cinesi, ciascuno contraddicendo gli altri: «si credette che il giudaismo correggesse il paganesimo, il cristianesimo il giudaismo, Maometto entrambi, e si attende il correttore di Maometto e dell'islamismo».[41] È allora naturale sospettare che i fondatori delle religioni siano tutti degli impostori. Del resto, ogni religione accusa tutte le altre di impostura e, in particolare nel cristianesimo, ogni setta cristiana «accusa l'altra di aver corrotto il testo del Nuovo Testamento».[42] Occorrerebbe, poiché non è evidentemente possibile credere a ogni religione, non credere a nessuna, «finché non si sia trovata la vera religione».[43]

    Pertanto, per stabilire la verità di ogni singola religione, bisognerebbe esaminare con cura le affermazioni dei loro singoli fondatori: «non bisogna prendere affrettatamente per dogma o per testimonianza sicura quel che il primo che passa abbia asserito». Operazione molto difficile, che si può dubitare possa mai giungere a una conclusione effettiva.[43]


    Il «Traité des trois imposteurs»

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    Nella sua nota, l'Arpe aveva fatto un'altra importante ammissione: aveva scritto di essere in possesso di un libro in francese su un analogo contenuto, dal titolo L'Esprit de Spinoza. Nella sua copia indicava in un appunto gli autori, che a suo giudizio erano Jean Rousset de Missy e Jan Vroesen. Il giornalista Jean Rousset de Missy sarebbe anche l'autore dell'anonima Réponse à la dissertation de Monsieur de La Monnoye sur le Traité des trois imposteurs, nella quale si confermava l'esistenza del Trattato. Nella Réponse egli afferma di aver tradotto dal latino in francese una copia manoscritta del De tribus impostoribus fornitagli da un tedesco: questa copia sarebbe il manoscritto del Müller ora di proprietà del principe Eugenio di Savoia.

    Nel 1719 appare a L'Aia un libro in francese, senza indicazione dell'autore e dell'editore, dal titolo La Vie et l'Esprit de Mr Benoît de Spinoza (La vita e lo spirito del signor Benedetto Spinoza). Nel titolo non si accenna ad impostori, non è una traduzione del De tribus impostoribus, il suo contenuto è diverso ed è svolto in modo più ampio e articolato: è presente una biografia di Spinoza - la Vie - cui segue l'Esprit, che nelle successive edizioni sarà pubblicato separatamente con il titolo Traité des trois imposteurs. Di questa prima edizione restano solo quattro esemplari, in uno dei quali[44] un anonimo lettore attribuisce la Vita di Spinoza a un seguace del filosofo, il medico ugonotto Jean Maximilien Lucas (1636-1679) emigrato nei Paesi Bassi, e cita la Bibliographie instructive (1763) di Guillaume François De Bure (1731-1782), secondo il quale La Vie et l'Esprit de Mr Benoît de Spinoza sarebbe già stata stampata nei Paesi Bassi nel 1712. Di quest'ultima presunta edizione non vi è traccia.

    È l'erudito francese Prosper Marchand (1675-1756) a fornire la prima ricostruzione della genesi del libro nella voce Impostoribus (Liber de tribus) del suo Dictionnaiere historique pubblicato postumo nel 1758. Gli editori sono Charles Levier e Thomas Johnson, mentre l'autore è Jan Vroesen (o Vroese), come già aveva indicato Peter Friedrich Arpe. Lo conferma anche una nota anonima vergata nel 1737 su una copia del Trattato: Jan Vroese è il vero autore del manoscritto, Jean Aymon e Jean Rousset de Missy hanno corretto il testo e infine il Rousset «vi ha aggiunto una dissertazione sui tre impostori».[45]

    Marchand fu informato nel 1737 dal libraio Caspar Fritsch che, per pubblicare il libro, l'editore Levier copiò nel 1711 il manoscritto di Vroesen o una sua copia appartenente al bibliofilo inglese, quacchero emigrato nei Paesi Bassi, Benjamin Furly (1636-1714) e poi lui e Johnson - aggiunge Marchand - «vi aggiunsero considerazioni empie e riferimenti storici, tra cui uno abbastanza importante su Numa Pompilio [...] e, tra i capitoli III e IV del loro manoscritto, ne inserirono altri sei composti con frammenti delle Trois Veritez, della Sagesse di Pierre Charron e delle Considérations politiques sur les coups d'état di Gabriel Naudé». Vi si trovano anche frasi dell'Etica e del Tractatus Theologico-Politicus di Spinoza, del Leviathan di Thomas Hobbes, del De Arcanis di Giulio Cesare Vanini, della Vertu des Payens di François de La Mothe Le Vayer, del Contra Celsum di Origene, dei Discours anatomiques di Guillaume Lamy.

    Nel 1721 fu ristempato da Michel Böhm a Rotterdam, ma con la falsa indicazione di Francoforte sul Meno, il solo Esprit con il titolo di Traité des trois imposteurs, un'edizione molto limitata della quale non si è conservata nessuna copia. Marchand riferisce che poco prima di morire, nel 1734, Levier ordinò di distruggere le copie rimaste invendute dell'edizione del 1719. Non è chiaro se la decisione fu dovuta a scrupoli di coscienza o alla intenzione di far salire artificialmente il prezzo, già molto alto, delle copie in circolazione: ad ogni modo, «gli eredi mi consegnarono trecento esemplari di quell'edizione che, in base alle loro intenzioni, sono state date tutti alle fiamme». Nel 1735 fu ripubblicata da Henry Kunrath, editore di Amburgo, la sola Vie de Spinoza.

    Il Trattato si apre con la dichiarazione di principio secondo la quale «la retta ragione è la sola luce che l'uomo deve seguire»,[46] mentre coloro che si vantavano «di ricevere direttamente da Dio tutto ciò che annunciavano al popolo», hanno detto cose così oscure e disordinate da «rendere manifesto che loro stessi non si capivano, essendo molto ignoranti».[47] Lo dimostra la Bibbia, un libro senza «ordine né metodo, che nessuno capisce tanto è confuso e mal concepito», pieno di «favole ridicole» e di «racconti puerili», e tuttavia, «più queste insulsaggini si contraddicono e offendono il buon senso, più il volgo le considera con rispetto».[48]

    L'ignoranza delle cause fisiche ha generato negli uomini l'idea dell'esistenza di un essere superiore che li nutra, li conservi e faccia ogni cosa per loro e, reciprocamente, che essi siano fatti per Dio. Parallela a questa opinione, è quella secondo la quale la natura sia a disposizione degli esseri umani, i quali hanno l'abitudine «di riferire tutte le cose del mondo al proprio interesse, e di giudicare il loro valore in base al tornaconto che riescono a trarre [...] chiamando bene tutto ciò che volge a loro vantaggio».[49]

    Il Trattato dà anche una definizione di Dio: «è un Essere assolutamente infinito, di cui uno degli attributi è quello di essere una sostanza eterna e infinita»,[50] è «un essere semplice, o un'estensione infinita, che assomiglia a ciò che contiene, cioè a dire è materiale, senza essere tuttavia né giusto, né misericordioso, né geloso, né niente di ciò che ci si immagina, e che, di conseguenza, non è né vendicatore, né rimuneratore».[51] In sostanza, il concetto di Dio coincide con quello dell'Universo e al resto non bisogna credere: «né al cielo, né all'inferno, né all'anima, né agli dèi, né ai diavoli [...] tutte quelle parolone sono state inventate soltanto per accecare o per intimidire il popolo».[52]

    La nascita della religione è il risultato della paura dell'esistenza di dèi e di esseri invisibili. Temendo una loro azione negativa, gli uomini «innalzarono altari a questi esseri immaginari. E rinunciando ai lumi della natura e della ragione, che sono la sorgente della vera vita, si legarono con vuote cerimonie e con un culto superstizioso ai fantasmi dell'immaginazione».[53] La religione si accompagna all'istituzione di una classe di sacerdoti e da questi si origina l'impostura: «gli onori e i redditi ingenti legati al sacerdozio [...] lusingarono l'ambizione e l'avarizia dei furbi che approfittarono della stupidità dei popoli e parteciparono in modo tale della loro debolezza, che insensibilmente è invalsa la dolce abitudine di incensare la menzogna e di odiare la verità».[54] Benché ogni religione sia in polemica con tutte le altre e i fedeli dell'una disprezzino quelli dell'altra, esse hanno molti elementi comuni: «tutte trovano e forniscono miracoli, prodigi, oracoli, misteri sacri, finti profeti, feste, certi articoli di fede necessari alla salvezza». Tutte pretendono di essere originate «per ispirazione divina, direttamente dal cielo».

    I politici hanno usato e usano la religione per raggiungere i propri fini: Savonarola pretendeva di essere ispirato da Dio, Giovanna d'Arco di avere visioni, false profezie furono inventate da Carlo Magno e da Maometto II per vincere battaglie, come da Cortés e da Pizarro per ingannare gli indios: grazie alla religione si apre «un'ampia strada ai politici per ingannare e sedurre la stolta plebaglia».[55] Con la loro eloquenza e con argomentazioni religiose Pietro l'Eremita e Bernardo di Chiaravalle hanno bandito croci e con il pretesto della religione si è giustificato «ciò che nessun altro pretesto avrebbe potuto rendere valido e legittimo».[56]

    Ma i maggiori impostori sono proprio i fondatori delle religioni. Mosè, un mago nipote di un altro grande mago, divenne il capo degli Ebrei, a loro «fece credere che Dio gli era apparso; che per ordine suo assumeva la loro guida [...] che sarebbero diventati il suo popolo prediletto [...] purché facessero ciò che lui avrebbe detto per conto di Dio». E per rendere credibile quanto sosteneva, Mosè «operò in loro presenza astuti prodigi che essi scambiarono per miracoli».[57]

    Gesù fu un impostore come Mosè, ma usò altri argomenti. Mentre Mosè prometteva beni terreni in cambio dell'osservanza della sua legge, «Gesù Cristo fece sperare in benefici eterni» e introdusse leggi che attingono la sfera interiore e che contraddicono quelle di Mosè. Per essere convincente, anche lui fece ricorso a presunti miracoli, «che da sempre sono lo scoglio cui si aggrappano gli ignoranti e sono il rifugio degli ambiziosi»,[58] evitando la presenza degli increduli e delle persone colte. Per questo stesso motivo, non scelse come adepti «uomini di dottrina e filosofi. Sapeva che la sua legge era opposta al buon senso, e per questo inveì contro i saggi, escludendoli dal suo regno, ammettendovi solo i poveri di spirito, i semplici e gli imbecilli».[59]

    Gesù ebbe anche la scaltrezza di qualificare d'impostore chiunque altro avesse preteso di essere il Messia, dannandolo come «grande nemico di Dio, delizia del demonio, sentina di tutti i vizi e desolazione del mondo».[60] Però fallì e fu crocifisso, ma i suoi discepoli, non meno astuti di lui, facendo sparire il suo corpo, misero in giro la voce della sua risurrezione, lo trasformarono in Dio e concepirono la sua morte come redenzione dell'umanità.

    La dottrina morale cristiana predica principî impossibili da seguire, e infatti gli uomini di chiesa sono i primi a non osservarli: «venditori d'aria, di vento e di fumo [...] sembrano aver studiato solo per raggiungere una posizione che assicuri loro il pane», una posizione di cui si gloriano ma che è soltanto «uno stato di superbia, di comodità, di orgoglio, di piacere». Diversamente da questi ipocriti, i saggi antichi, come Epitteto ed Epicuro, mettevano in pratica il principio di unire l'austerità e la frugalità del vivere alla giustizia e all'onestà del pensare.[61]



    Fonti:

    [1] Erodoto, Storie, IV, 95.
    [2] Tito Livio, Storia di Roma, I, 19.
    [3] T. de Cantimpré, Bonum universale de apibus, 1627, p. 440.
    [4] Citato in L. Massignon, La légende De tribus impostoribus et ses origines islamiques, 1920, pp. 74-78.
    [5] Citato da Alain de Libéra, prefazione ad Averroè, Le livre du discours décisif, 1996, pp. 80-81.
    [6] Benvenuto da Imola, Commento latino sulla Divina Commedia di Dante Alighieri, 1855, p, 138.
    [7] F. Petrarca, Opere latine, II, 1975, pp. 1093-1095.
    [8] Monumenta Germaniae Historica. Epistulae saeculi XIII e regestis pontificum Romanorum selectae, 1883, I, p. 645.
    [9] Prosper Marchand, Impostoribus, in «Dictionnaire historique», 1758.
    [10] Boccaccio, Decamerone, I, 3.
    [11] Decamerone, VI, 10.
    [12] M. Mersenne, Quaestiones celeberrimae in Genesim, 1623, pag. 1830.
    [13] G. Mazzucchelli, Vita di Pietro Aretino, 1830, p. 156.
    [14] N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, I, 11.
    [15] N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, ibidem.
    [16] N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, I, 12.
    [17] N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, III, 1.
    [18] J. Sleidan, Histoire entière, Genève, G. Crespin 1563.
    [19] M. de Flavin, De l'estat des âmes après le trespas, Paris, Guillaume Chaudière 1595.
    [20] Th. Browne, Religio Medici, 1642, I, 20.
    [21] K. Digby, Letter to the right honourable Edward Earle of Dorset, Baron of Buckhurst, 22 dicembre 1642.
    [22] P. Pomponazzi, De immortalitate animae, XIV, pp. 100-104.
    [23] F. Berriot, Athéismes et athéistes au XVIe siècle en France, 1984, I, p. 450, II, p. 864.
    [24] F. de Raemond, Histoire de la naissance, progrez et décadence de l'hérésie de ce siècle, Paris, Veuve Guillaume de La Noue 1610, c. XV, p. 228.
    [25] B. de La Monnoye, Menagiana ou Les bons mots et remarques critiques, historiques, morales et d'éruditions, 1729, IV, p. 294.
    [26] G. Postel, De orbis terrae concordia libri quatuor, 1544, p. 72.
    [27] H. Estienne, Apologie pour Hérodote, 1730, I, p. 182.
    [28] J. H. Ursin, De Zoroastre Bactriano, Hermete Trismegisto, Sanchoniathone Phoenicio, 1661, p. 5.
    [29] M. Veyssière de La Croze, Entretiens sur divers sujets d'histoire et de religion, 1770, p. 328.
    [30] T. Campanella, De gentilismo non retinendo, 1636, p. 21.
    [31] Heterodoxy, Spinozism and Free Thought in Early-Eighteenth-Century Europe. Studies on the Traité des trois imposteurs, 1996, p. 399.
    [32] T. Hobbes, Leviathan, c. XII.
    [33] B. Spinoza, Opere, 2007, p. 432.
    [34] B. Spinoza, cit., p. 544.
    [35] B. Spinoza, cit., p. 430.
    [36] H. Bayle, Mahomet, «Dictionnaire historique et critique», X, 1820. pp. 53-102.
    [37] De tribus impostoribus, c. 1.
    [38] De tribus impostoribus, c. 2.
    [39] De tribus impostoribus, c. 3.
    [40] De tribus impostoribus, c. 4.
    [41] De tribus impostoribus, c. 5.
    [42] De tribus impostoribus, c. 6.
    [43] De tribus impostoribus, c. 7.
    [44] Nella University Research Library di Los Angeles. Gli altri sono conservati nella Biblioteca Marucelliana di Firenze, nella Biblioteca Reale di Bruxelles e nella Biblioteca Nazionale di Francoforte.
    [45] Citato in S. Berti, L'Esprit de Spinoza: ses origines et sa première édition dans leur contexte spinozien, in S. Berti, F. Charles-Daubert, R. H. Popkin, Heterodoxy, Spinozism and Free Thought in Early-Eighteenth-Century, 1996, p. 49.
    [46] Trattato dei tre impostori. La vita e lo spirito del signor Benedetto de Spinoza, 1994, I, III, p. 69.
    [47] Trattato dei tre impostori, cit., I, V, p. 71.
    [48] Trattato dei tre impostori, cit., III, II, p. 95.
    [49] Trattato dei tre impostori, cit., II, VII, p. 87.
    [50] Trattato dei tre impostori, cit., III, I, p. 93.
    [51] Trattato dei tre impostori, cit., XVIII, II, p. 215.
    [52] Trattato dei tre impostori, cit., XVIII, IV, p. 217.
    [53] Trattato dei tre impostori, cit., IV, I, p. 101.
    [54] Trattato dei tre impostori, cit., IV, V, p. 105.
    [55] Trattato dei tre impostori, cit., XVII, V, p. 195.
    [56] Trattato dei tre impostori, cit., XVII, VII, p. 197.
    [57] Trattato dei tre impostori, cit., VII, II, p. 113.
    [58] Trattato dei tre impostori, cit., VIII, IV, p. 129.
    [59] Trattato dei tre impostori, cit., VIII, VI, p. 131.
    [60] Trattato dei tre impostori, cit., VIII, V, p. 129.
    [61] Trattato dei tre impostori, cit., IX, III, pp. 139-141.



    Tratto da: Trattato dei Tre Impostori - Wikipedia

    Edited by L'Eremita - 31/8/2016, 13:25
     
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    Il «Traité des trois imposteurs»

    Edizione Francese anonima del 1706 / 1716
    NB! Simile al La vie et l'esprit de Mr Benoît de Spinoza, edizione in Francese, attribuita a Baruch Spinoza, apparsa all' Aja nel 1719



    CAPITOLO PRIMO

    Considerazioni su Dio

    I


    Per quanto sia considerato importante da parte di tutti gli uomini il conoscere la verita', sono pero' molto pochi quelli che godono di questo privilegio. Alcuni uomini sono incapaci di ricercarla da soli, altri, invece, non vogliono neanche darsi la pena di farlo. Non bisogna quindi stupirsi se il mondo e' pieno di opinioni vane e ridicole; e non c'e' nulla di meglio, per sostenerle, che l'ignoranza.

    L'ignoranza e' dunque l'unica fonte delle idee false che si hanno della Divinita', dell'Anima, degli Spiriti e di quasi tutti gli altri concetti che compongono la religione.

    L'abitudine e' ormai prevalsa; ci si accontenta dei pregiudizi di nascita e ci si riferisce, per le cose piu' essenziali, a persone interessate che si fanno un dovere di sostenere caparbiamente opinioni, da tempo acquisite, che non osano distruggere per timore di distruggere se stessi.

    II


    Cio' che rende il male insanabile e' che, dopo avere inventate le idee false che si hanno di Dio, non si trascura nulla per indurre la gente a crederci, senza permettere di discuterle; al contrario, si fomenta nella gente l'odio e la diffidenza verso i filosofi e verso gli autentici scienziati nel timore che la Ragione, che essi insegnano, non faccia loro conoscere gli errori nei quali sono immersi. I sostenitori di queste assurdita' si sono cosi' ben radicati che diventa pericoloso combatterli. E' troppo importante, per questi impostori, che il popolo resti ignorante per permettere che qualcuno lo disinganni. Si e' cosi' costretti a dissimulare la verita', oppure a sacrificare se stessi alla rabbia dei falsi sapienti e delle anime basse ed interessate.

    III

    Se il popolo potesse comprendere in quale abisso l'ignoranza lo getta, egli scuoterebbe assai presto il giogo dei suoi protervi conduttori, perche' e' impossibile lasciare libera la mente senza che venga scoperta la verita'. Questi impostori se ne rendono ben conto, tanto che per impedire gli effetti positivi che infallibilmente ne deriverebbero, hanno pensato di dipingerci come mostri incapaci di ispirare buoni pensieri e, sebbene essi biasimino, in generale, coloro che sono irragionevoli, in realta' sarebbero molto contrariati se la verita' venisse appresa. Vediamo cosi' cadere, senza sosta, questi nemici giurati del buon senso, in continue contraddizioni, tanto che riesce anche difficile capire che cosa essi pretendano. Se e' vero che la giusta Ragione e' la sola luce che l'uomo dovrebbe seguire, e se il popolo non e' poi cosi' incapace di ragionare come si vuole credere, bisogna che coloro che cercano di istruirlo si sforzino di correggere i suoi falsi ragionamenti e di distruggere i suoi pregiudizi; allora si vedranno i suoi occhi aprirsi, poco alla volta, e la sua mente convincersi di una verita' sostanziale: che Dio non e' affatto quello che comunemente si immagina.

    IV

    Per raggiungere lo scopo non c'e' bisogno di elevate speculazioni, ne di penetrare a fondo nei segreti della natura. E' solo necessario un po' di buon senso per capire che Dio non e' ne collerico, ne geloso; che la giustizia e la misericordia sono solo delle false qualifiche che gli sono state attribuite. Cio' che i profeti e gli apostoli hanno detto di lui non ci insegna nulla della sua natura e della sua essenza.

    In effetti, parlando senza peli sulla lingua e dicendo le cose come stanno, non si puo' fare a meno di convenire che questi "dottori" non erano ne piu' intelligenti ne meglio istruiti di tanti altri; cio' che essi dissero a proposito di Dio e' cosi' grossolano e volgare che bisogna proprio essere plebei per crederci. Benche' la cosa sia di per se stessa assai evidente, vogliamo rincarare la dose prendendo atto di questa domanda: c'e' qualche motivo per cui i profeti e gli apostoli avrebbero dovuto essere differenti dagli altri uomini?

    V


    Tutti sono d'accordo sul fatto che, per la loro nascita e le loro ordinarie funzioni vitali, essi non avevano nulla che li distinguesse dal resto degli uomini; anche loro furono generati da esseri umani, partoriti da donna e trascorsero la loro vita nello stesso modo che facciamo noi. Per quanto riguarda il loro spirito, si vuole che Dio abbia alimentato molto piu' quello dei profeti che non quello di altri uomini e che egli si manifestasse a loro in un modo molto particolare, secondo quanto si crede con tanta buona fede, come se la cosa fosse stata provata; a parte il fatto che tutti gli uomini si rassomigliano e che tutti hanno la medesima origine, si pretende che costoro avessero una tempra straordinaria, scelti dalla divinita' per annunciare i suoi miracoli.

    Ma a parte il fatto che essi non avevano piu' spirito di qualsiasi comune mortale, ne un intelletto piu' perfetto, che cosa c'e' nei loro scritti che ci possa obbligare a mantenere una opinione cosi' alta di loro? La maggior parte delle cose che hanno detto e' cosi' oscura che non si capisce niente; l'ordine delle cose e' poi cosi' precario che e' facile intuire che non si capivano neanche tra di loro e che erano solo degli ipocriti ignoranti. Cio' che ha dato luogo alla opinione, che si e' avuta di loro, e' stata la sfrontatezza che hanno manifestato nel vantarsi di ricevere direttamente da Dio tutto cio' che annunciavano al popolo; credenza assurda e ridicola avendo essi stessi confessato che Dio parlava loro solo in sogno.

    Per l'uomo non c'e' niente di piu' naturale dei sogni, di conseguenza bisogna che un uomo sia molto sfacciato, molto vano e molto stolto per sostenere che Dio gli parla per questa via, e bisogna che quello che gli presta fede sia molto credulone ed altrettanto pazzo per considerare dei sogni come oracoli divini. Supponiamo per un momento che Dio si facesse intendere da qualcuno per mezzo di sogni, o di visioni, o per qualsiasi altra via si voglia immaginare, nessuno e' pero' obbligato a credere alla parola di un uomo soggetto sia all'errore che alla menzogna e all'impostura.

    Con un po' di attenzione ci accorgiamo pure, che ai tempi dell'antica Legge, non si aveva, comunque, per i profeti tanta stima quanta se ne ha oggi. Quando i nostri avi erano stanchi delle loro ciarle, che tendevano sovente a promuovere rivolte e stornare il popolo dall'obbedienza, li facevano tacere con diversi supplizi; lo stesso Gesù Cristo non riusci a sfuggire al giusto castigo che si meritava; egli non aveva, come Mosè, un'armata al seguito per difendere le sue opinioni.(01)Si aggiunga ancora che i profeti erano talmente abituati a contraddirsi l'un l'altro che non si riusci' a trovarne, tra quattro cento, uno solo che ispirasse fiducia. (02)In piu' e' certo che lo scopo delle loro profezie, come pure quello delle leggi dei piu' celebri legislatori, era di tramandare la loro memoria, facendo credere alla gente che essi conferivano con Dio. I piu' celebri politicanti hanno sempre usato tali mezzi, per quanto a volte, queste furberie non sono sempre riuscite a quelli che, imitando Mosè, non disponevano di adeguati mezzi di potere a loro garanzia.

    Detto quanto sopra, esaminiamo un poco l'idea che i profeti hanno avuto di Dio. Se si deve credere a loro, Dio e' un essere puramente corporale; Michea lo ha visto seduto; Daniele, vestito di bianco e con l'aspetto di un vegliardo; Ezechiele lo ha visto come un fuoco; tutto questo nel Vecchio Testamento. Quanto al Nuovo, i discepoli di Gesù Cristo si immaginavano di vederlo in forma di colomba, gli apostoli sotto quella di una lingua di fuoco e San Paolo, infine, come una luce che lo stordi' e l'acceco'.

    Per cio' che riguarda la contradditoria percezione dei suoi sentimenti, Samuele (03) credeva che Dio non si pentisse mai di cio' che aveva deciso; al contrario, Geremia (04) ci dice che Dio si pente delle decisioni che ha preso. Gioele (05) ci insegna che egli si pente solo del male che ha fatto agli uomini, mentre Geremia dice che di questo non si pente affatto. La Genesi (06) ci insegna che l'uomo e' la fonte del peccato e che dipende solo da lui fare il bene, mentre San Paolo (07) ci assicura che gli uomini non hanno alcun potere contro la concupiscenza, senza l'aiuto di una grazia di Dio del tutto particolare, ecc.

    Tali sono le idee false e contradditorie che, questi presunti ispirati, ci hanno dato di Dio e che si pretende che noi accettiamo, senza tenere conto che tali idee ci rappresentano la divinita' come un essere sensibile, materiale e soggetto a tutte le umane passioni. Come se non bastasse, dopo quanto sopra, ci vengono anche a dire che Dio non ha niente in comune con la materia e che egli e' per noi un essere incomprensibile. Mi piacerebbe molto sapere come tutto cio' puo' andare d'accordo, se sia giusto il credere a delle contraddizioni cosi' palesi ed irragionevoli e se si deve, infine, tenere conto di testimonianze di uomini tanto rozzi da immaginare, nonostante i sermoni di Mosè, che un vitello fosse il loro Dio. Ma senza soffermarci alle fantasticherie di un popolo cresciuto nella servitu' e nelle assurdita', diciamo che l'ignoranza ha favorito la credenza di tutte le imposture e di tutti gli errori che oggi regnano tra di noi.



    CAPITOLO SECONDO

    Le ragioni che hanno indotto gli uomini ad immaginarsi un Essere invisibile che si chiama comunemente Dio.

    I


    Quelli che non conoscono i principi della fisica hanno una paura naturale che deriva loro dalla inquietudine e dal dubbio di chi sono, se esiste un Essere o una forza che ha il potere di danneggiarli o di favorirli. Da cio' la tendenza che essi hanno a pensare a delle cause invisibili, che non sono che fantasmi della loro immaginazione e che essi invocano nei periodi avversi e lodano nei periodi di prosperita'. Essi, alla fine, diventano degli Dei e questa paura chimerica delle potenze invisibili e' la fonte delle religioni che ciascuno definisce a suo modo. Coloro ai quali importava che il popolo fosse represso e controllato con simili fantasticherie, hanno coltivato questo seme religioso, ne hanno fatto una legge e infine hanno costretto il popolo, con il terrore del futuro, ad obbedire ciecamente.

    II

    Avendo quindi scoperto la matrice degli dei, gli uomini hanno creduto che fossero simili a loro e che facessero, come gli stessi uomini, qualsiasi cosa per conseguire determinati scopi. Cosi essi credono, unanimemente, che Dio non abbia fatto nulla che non fosse per l'uomo e, reciprocamente, che l'uomo e' fatto solo per Dio. Questo pregiudizio e' generale e quando si rifletta sulla influenza che deve necessariamente aver avuto sui costumi e sulle opinioni fegli uomini, si vede chiaramente come questa sia stata l'occasione per formare false idee sul bene e sul male, sul merito e sul demerito, sull'onore e sul disonore, sull'ordine e l'anarchia, sul bello e sul deforme e su tante altre simili cose.

    III


    Dovremmo esere tutti d'accordo sul fatto che alla nascita gli uomini versano in una profonda ignoranza e che la sola cosa che a loro e' naturale e' quella di cercare cio' che torna utile e vantaggioso; da cio' deriva:



    1 - che si crede sia sufficiente, per sentirsi liberi, di sentire in se stessi la capacita' di volere e di ambire, senza darsi la minima pena di quali siano i motivi che predispongono a volere ed ad ambire, perche' non li conoscono affatto.
    2 - siccome gli uomini non fanno nulla se non per un fine che essi preferiscono a qualsiasi altro, essi non hanno altro scopo che di conoscere le cause finali delle loro azioni e pensano che dopo quello non vi siano altri motivi di dubbio.



    Siccome gli uomini trovano in se stessi, o al di fuori, parecchi modi per raggiungere gli scopi che si propongono, visto che hanno, per esempio, occhi per vedere, orecchie per sentire, un sole che li illumina, ecc., essi hanno concluso che tutto cio' che esiste in natura e' stato fatto per loro e quindi ne possono godere e disporre; ma siccome sanno anche che non sono stati loro che hanno fatto tutte le cose che esistono, essi hanno creduto bene di immaginare un essere supremo come creatore del tutto o, in altre parole, hanno pensato che tutto cio' che esiste e' opera di una o di piu' divinita'.

    D'altra parte la natura degli dei, che gli uomini hanno concepito, e' a loro sconosciuta; essi l'hanno stabilita da loro stessi, immaginando che tali dei siano suscettibili delle stesse passioni umane; e siccome le inclinazioni degli uomini sono diverse, ciascuno ha reso alla sua divinita' un culto secondo le sue passioni, allo scopo di attrarsi le sue benedizioni e far si che tutta la natura sia asservita ai loro propri desideri.

    IV


    E' in questo modo che il pregiudizio si e' trasformato in superstizione; esso si e' talmente radicato, che anche la gente piu' grossolana si e' ritenuta capace di penetrare le cause finali, proprio come se ne avessero una completa conoscenza. Cosi', invece di comprendere che la natura non fa nulla senza uno scopo preciso, essi hanno creduto che Dio e la natura pensassero come fanno gli uomini. Avendo l'esperienza fatto conoscere che un numero infinito di calamita' turbano la tranquillita' della vita, come le tempeste, i terremoti, le malattie, la fame, la sete, ecc., tutti questi mali vennero attribuiti alla collera celeste, alla divinita' irritata contro le offese degli uomini, non e' piu' stato possibile togliere dalla mente una simile chimera ne liberarsi da questi pregiudizi malgrado gli esempi quotidiani provino che il bene ed il male sono stati, in ogni tempo, comuni ai buoni ed ai malvagi. Questo errore deriva dal fatto che fu sempre piu' facile agli uomini convivere con la loro naturale ignoranza, piuttosto che abolire un pregiudizio maturato da secoli e sostituirlo con qualcosa di piu' verosimile.

    V


    Questo pregiudizio ha poi condotto gli uomini a concepirne un altro, che e' quello di credere che gli atti di Dio siano incomprensibili e che, per tale ragione, la conoscenza della verita' e' al di sopra delle capacita' dello spirito umano; un errore nel quale verseremmo ancora se i matematici, i fisici ed alcune altre scienze non l'avessero distrutto.

    VI

    Non c'e' bisogno di lunghi discorsi per dimostrare che la natura non si propone alcun fine e che tutte le cause finali non sono che delle invenzioni umane. E' sufficiente dimostrare che tale dottrina toglie a Dio le perfezioni che gli sono state attribuite. Questo e' cio' che ci proponiamo di evidenziare. Se Dio persegue un fine, sia per se stesso o per qualche altro, allora vuol dire che egli desidera cio' che non ha e quindi bisogna convenire che siamo in una situazione di fatto in cui Dio non ha l'oggetto che persegue e che si augura di averlo; cio' significa pensare ad un Dio indigente. Ma per non dimenticare nulla di cio' che potrebbe sostenere il ragionamento di quelli che hanno un'opinione contraria, supponiamo, per esempio, che una pietra si stacchi da un edificio, cada sulla testa di una persona e l'ammazzi; bisogna pure, dicono i nostri ignoranti, che quella pietra sia caduta di proposito per ammazzare quella persona. Ora tutto questo e' accaduto perche' Dio lo ha voluto. Se si risponde loro che e' stato il vento che ha causato la caduta, nel momento in cui il disgraziato passava, allora essi vi chiederanno perche' egli passasse precisamente nel momento in cui il vento ha staccato la pietra. Rispondete che egli andava a cena, da uno dei suoi amici che lo aveva invitato; allora vorranno sapere perche' quell'amico lo aveva invitato proprio in quel giorno piuttosto che un altro. Essi vi porranno cosi' una infinita' di domande bizzarre per risalire, di causa in causa, e farvi ammettere che solo la volonta' di Dio, che e' il rifugio degli ignoranti, e' la causa prima della caduta di quella pietra.

    Ancora: quando essi osservano la struttura di un corpo umano, cadono in ammirazione; e siccome ignorano le cause di quegli effetti che a loro sembrano cosi' meravigliosi, allora concludono che si tratta di un effetto sovranaturale, per il quale le cause che ci sono note non possono essere prese in considerazione. Da cio' ne deriva che chi vuole esaminare a fondo le opere della creazione e penetrare, da vero saggio, nelle cause naturali, senza piegarsi ai pregiudizi generati dall'ignoranza, passa per un empio e viene subito screditato dalla ipocrisia di quelli che la gente volgare riconosce come gli interpreti della natura e degli dei.

    Questi spiriti mercenari sanno molto bene che l'ignoranza, che mantiene il popolo nello stupore, e' cio' che li fa sopravvivere e conserva il loro credito.

    VII


    Essendo dunque gli uomini imbevuti della ridicola opinione che tutto cio' che vedono sia stato fatto per loro, si sono fatti un punto di fede il riferire il tutto a se stessi e di giudicare le cose in base al profitto che ne ritraggono. E' sopra di questo che essi hanno definito delle nozioni che servono a spiegare la natura delle cose, a giudicare del bene e del male, dell'ordine e del disordine, del caldo e del freddo, della bellezza e della bruttezza, ecc., che viste nella loro essenza non sono affatto cio' che essi immaginano; padroni di formare cosi' le loro idee, essi si lusingano di essere liberi; si credono in diritto di decidere sull'elogio e sul biasimo, sul bene e sul male; hanno stabilito essere bene cio' che torna a loro profitto e cio' che riguarda il culto divino; al contrario, e' male cio' che non conviene ne all'uno ne all'altro. Siccome poi gli ignoranti non sono capaci di giudicare nulla e non hanno nessuna idea delle cose, se non attraverso l'immaginazione, che essi scambiano per giudizio, allora sostengono che non si sa nulla della natura ed immaginano per il mondo un ordine del tutto particolare. Infine essi considerano le cose disposte bene o male, secondo la loro facilita' o difficolta' di immaginazione, quando le percepiscono con i loro sensi; e siccome si arrestano volentieri a cio' che affatica di meno il cervello, si persuadono di essere ben preparati a preferire l'ordine piuttosto che la confusione, come se l'ordine non fosse altra cosa che un puro effetto dell'immaginazione umana. Cosi', dire che Dio ha fatto tutto in ordine, e' come pretendere che egli abbia creato il mondo a favore della immaginazione umana e nella maniera piu' facile perche' lo si potesse capire; oppure, cio' che in fondo e' la stessa cosa, che si conoscono con certezza i rapporti e le finalita' di tutto quello che esiste; asserzione troppo assurda per meritare di essere seriamente confutata.

    VIII

    Per quanto riguarda altri concetti, essi sono un effetto diretto della medesima immaginazione, non hanno nulla di realistico e non sono altro che differenti nozioni o modelli di cui l'immaginazione stessa e' suscettibile; quando, per esempio, le reazioni che gli oggetti provocano sui nervi, per il tramite degli occhi, sono piacevoli ai sensi, si dice che questi oggetti sono belli. Gli odori sono buoni o cattivi, i sapori dolci o amari, cio' che si tocca duro o tenero, i suoni gradevoli o sgradevoli, a seconda di come gli odori, i sapori ed i suoni colpiscono o penetrano i sensi ed e' sulla base di queste idee che si trova della gente che crede che Dio si compiace della melodia, tanto che altri hanno creduto che i movimenti celesti siano un armonioso concerto; questo mette in evidenza come ciascuno si persuade che le cose siano quelle che lui si immagina, o che il mondo sia puramente immaginario. Non e' dunque per niente sorprendente che si trovino, a malapena, due uomini con la stessa opinione e che ce ne siano pure che si gloriano di dubitare di tutto; perche', per quanto gli uomini abbiano corpi simili e si assomiglino tutti sotto certi aspetti, essi, nondimeno, differiscono per molti altri riguardi; da cio' deriva che quello che ad uno sembra buono per un altro e' cattivo, cio' che piace a questo dispiace a quell'altro. Percio' e' facile concludere che i sentimenti differiscono solo in ragione della organizzazione e delle diversita' delle coesistenze, che il ragionamento giova ben poco e che, alla fine, le nozioni delle cose del mondo sono un puro effetto della sola immaginazione.

    IX


    E' dunque evidente che tutte le ragioni, di cui gli uomini comuni usano servirsi, allorche' si azzardano a spiegare la natura, non possono fare altro che immaginare che non vi puo' essere nulla al di fuori di quello che sostengono; si danno dei nomi a queste idee, come se esse esistessero al di fuori di un cervello prevenuto; si dovrebbero chiamare non esseri ma pure chimere. A proposito degli argomenti basati su queste nozioni, non c'e' niente di piu' facile che rifiutarli, per esempio:

    se e' vero, diciamo, che l'universo sia stato un deflusso ed un seguito necessario della natura divina, da dove verrebbero le imperfezioni e le manchevolezze che si notano? Questa obbiezione si respinge senza fatica. Non e' possibile giudicare della perfezione o della imperfezione di un essere fino a quando non se ne conosca l'essenza e la natura ed e' uno strano abuso quello di credere che una cosa sia piu' o meno perfetta secondo che essa piaccia o dispiaccia, o che sia utile o nociva alla natura umana. Per tappare la bocca a quelli che chiedono perche' Dio non ha creato tutti gli uomini buoni e felici e' sufficiente dire che tutto e', necessariamente, cio' che e' in quanto che nella natura non c'e' niente di imperfetto, perche' tutto deriva dalla necessarieta' delle cose stesse.

    X

    Detto quanto sopra, se si domanda che cosa e' Dio, io rispondo che questa parola ci rappresenta l'Essere Universale dal quale, per parlare come S. Paolo, noi riceviamo la vita, il moto e l'essere. Questa definizione non ha nulla che sia indegna di Dio; perche' se tutto e' Dio, tutto proviene necessariamente dalla sua essenza e bisogna, assolutamente, che egli sia della stessa natura di cio' che contiene, poiche' e' incomprensibile che degli esseri, totalmente materiali, siano mantenuti e contenuti in un essere che materiale non e'. Questa opinione non e' per niente nuova; Tertulliano, uno degli uomini piu' saggi che i cristiani abbiano avuto, ha dichiarato, contro Apelle, che cio' che non e' corpo non e' nulla e, contro Praxeas, che ogni sostanza e' corpo. (08)

    Questa dottrina, stranamente, non e' stata condannata dai primi quattro concilii ecumenici generali. (09)

    XI


    Queste idee sono chiare, semplici ed anche le sole che uno spirito buono possa formarsi su Dio. Tuttavia c'e' poca gente che si accontenta di tale semplicita'. La gente, grossolana ed abituata alle lusinghe dei sensi, richiede un Dio che assomigli ai re della terra. Questo fasto, questo splendore che li circonda, l'abbaglia talmente da nutrire la speranza di andare, dopo la morte, ad ingrossare il numero dei cortigiani celesti, per godere con loro degli stessi piaceri che si gustano alle corti dei re; come privare l'uomo della sola consolazione che gli impedisce di disperarsi per le miserie della vita? Si dice che e' necessario un Dio giusto e vendicatore che punisca e ricompensi; si vuole un Dio suscettibile di tutte le passioni umane; gli si attribuiscono dei piedi, delle mani, degli occhi e delle orecchie e tuttavia non si vuole affatto che un Dio, cosi' costituito, abbia qualcosa di materiale. Si dice che l'uomo e' il suo capolavoro ed anche la sua immagine, ma non si vuole che la copia sia simile all'originale. Infine il Dio del popolo odierno e' soggetto a molte piu' condizioni che il Giove degli antichi. Quello che c'e' di piu' strano e' che piu' queste nozioni si contraddicono ed urtano il buon senso, piu' la plebe le rispetta, in quanto crede, ostinatamente, a quello che i profeti hanno detto, sebbene questi visionari fossero, tra gli ebrei, solo quello che erano gli auguri e gli indovini presso i pagani.

    Si consulta la Bibbia come se Dio e la natura si esprimessero in un modo tutto particolare; quantunque questo libro non sia che un tessuto di frammenti cuciti insieme in tempi diversi, raccolti da diverse persone e pubblicati nella cerchia dei rabbini, che hanno deciso, secondo la loro fantasia, su cio' che doveva essere approvato o rifiutato, a seconda fosse conforme o in opposizione con la legge di Mosè. (10) Tale e' la malizia e la stupidita' degli uomini: essi passano la loro vita a cavillare e persistono nel rispettare un libro dove non c'e' molto piu' ordine che nel Corano di Maometto; un libro, dico io, che nessuno capisce, tanto esso e' oscuro e mal concepito; un libro che serve solo a fomentare i dissidi. Gli ebrei ed i cristiani amano di piu' consultare questo testo indecifrabile piuttosto che ascoltare la legge naturale che Dio, vale a dire la Natura (in quanto essa e' il principio di tutte le cose) ha scritto nel cuore degli uomini. Tutte le altre leggi non sono che finzioni umane e pure illusioni predisposte, non dai Demoni o dagli Spiriti malvagi, che esistono solo nella mente, ma dalla politica dei Principi e dei Preti. I primi hanno voluto, con quelle, dare piu' peso alla loro autorita', e gli altri hanno voluto arricchirsi con lo smercio di una infinita' di chimere vendute a caro prezzo agli ignoranti.

    Tutte le altre leggi che sono seguite a quella di Mosè, intendendo qui le leggi dei cristiani, sono appoggiate su questa Bibbia, della quale non si trova affatto l'originale, che contiene cose sovranaturali ed impossibili, che parla di ricompense e di pene per le azioni buone e cattive, ma solo in un'altra vita, in modo che la furberia non sia scoperta in quanto nessuno e' mai tornato indietro. Cosi' il popolo, sempre in bilico tra la speranza e la paura, e' obbligato nei suoi doveri dall'idea che Dio abbia fatto gli uomini per poi renderli eternamente felici o eternamente dannati. Questi concetti hanno dato luogo ad una infinita' di religioni.





    CAPITOLO III

    Che cosa significa la parola religione. Come e perche' ne sono state introdotte tante nel mondo.

    I


    Prima che il termine religione fosse stato introdotto nel mondo, si era unicamente obbligati a seguire la legge naturale, vale a dire conformarsi alla giusta ragione. Questo solo istituto costituiva il legame con il quale gli uomini erano uniti; e questo legame, semplice qual'e', li univa in maniera tale che le divisioni erano rare. Ma dopo che la paura li indusse a sospettare che ci fossero degli dei o delle potenze invisibili, essi costruirono degli altari per questi esseri immaginari e, scuotendo la potesta' della natura e della ragione, si affidarono a vane cerimonie ed a un culto superstizioso per i vani fantasmi dell'immaginazione. E' da questo che e' derivato il termine Religione che ha prodotto tanto rumore nel mondo. Avendo gli uomini accettato delle potenze invisibili che avevano su di loro ogni potere, essi li adorarono per rabbonirli ed, inoltre, si immaginarono che la natura fosse un essere subordinato a queste potenze.

    Senza di loro, si immaginarono la natura come una massa inerte o come una schiava che agiva solo per ordine di tali potenze. Dopo che queste false idee ebbero spezzato il loro spirito, non ebbero piu' che disprezzo per la natura e solo rispetto per questi supposti esseri che nominarono loro dei. Da questo e' derivata l'ignoranza, nella quale tanta gente e' caduta, ignoranza dalla quale i veri saggi avrebbero potuto salvarla, per quanto profondo fosse l'abisso, se il loro zelo non fosse stato fermato da quelli che conducevano tali ciechi e che vivevano solo in virtu' delle loro menzogne.

    Ma per quanto ci sia ben poca speranza di riuscire in questa impresa, non bisogna abbandonare il partito della verita' ancorche' questo fosse fatto solo per coloro che vogliono salvaguardarsi dai sintomi di questo male; e' necessario che uno spirito generoso dica le cose come stanno. La verita', di qualsiasi natura essa sia, non puo' mai nuocere, al contrario dell'errore, che per quanto piccolo ed innocente possa apparire, puo' avere alla lunga effetti molto funesti.

    II

    La paura che ha generato gli dei ha generato anche la religione e, dopo che gli uomini si sono messi in testa che ci sono degli angeli che sono la causa della loro buona o cattiva sorte, hanno rinunciato al buon senso ed alla ragione ed hanno preso le loro chimere per altrettante divinita', che avevano cura della loro condotta. Dopo quindi essersi forgiati degli dei vollero anche sapere quale era la loro natura e si immaginarono che essi dovessero essere della stessa natura dell'anima; quell'anima che essi credevano somigliare ai fantasmi che appaiono negli specchi o durante il sonno; credevano che i loro dei fossero delle sostanze reali, ma cosi' tenui e sottili, che per distinguerli dai corpi li chiamarono spiriti, seppure questi corpi e questi spiriti non siano in effetti che una stessa cosa e non differiscono, ne di piu' ne di meno, perche' essere spirito o sostanza incorporea e' una cosa incomprensibile. La ragione e' che ogni spirito ha una immagine che gli e' propria (11) e che e' contenuta in qualche luogo, vale a dire che ha dei limiti e che, di conseguenza, e' un corpo, per quanto sottile lo si possa immaginare. (12)

    III

    Gli ignoranti (cioe' la maggior parte degli uomini) avendo stabilito in questo modo la natura della sostanza dei loro dei, cercarono poi di conoscere in quale modo, questi angeli invisibili, producessero i loro effetti; ma non ne poterono venire a capo a causa della loro stessa ignoranza, che li faceva credere nelle loro congetture. Giudicavano ciecamente dell'avvenire in base al passato, come se si potesse ragionevolmente concludere che, se una cosa e' accaduta altre volte in una certa maniera essa accadra' costantemente, in un susseguirsi di eventi, nella stessa maniera; assurdo quando le circostanze e tutte le cause che hanno necessariamente influito sugli eventi, e le azioni umane che ne determinano la natura e l'attualita', sono diverse. Essi dunque esaminavano il passato e predicevano bene o male per il futuro, a seconda che la stessa impresa era, altre volte, riuscita bene o male.

    Fu cosi' che, avendo Formione battuto i Lacedemoni nella battaglia di Naupacte, gli ateniesi, dopo la sua morte, elessero un altro generale che aveva lo stesso nome. Annibale, essendo stato sconfitto dalle armi di Scipione l'Africano, visto il positivo risultato, i romani inviarono nella stessa provincia un altro Scipione contro Cesare. Tutto questo non riusci' ne agli ateniesi ne ai romani. Cosi' molte nazioni, dopo due o tre esperienze, hanno legato la loro buona o cattiva sorte a determinati luoghi, oggetti o a certi nomi; altre nazioni si sono servite di certe parole per richiamare gli incantesimi, e le hanno credute tanto efficaci da poter immaginare di far parlare gli alberi, fare un uomo o un Dio con un pezzo di pane, o metamorfizzare tutto cio' che gli si parava davanti.

    IV

    Essendo l'autorita' delle potenze invisibili basata in tal modo, all'inizio gli uomini le riverirono come loro sovrani; vale a dire con atti di sottomissione e di rispetto, quali sono i doni, le preghiere, ecc.; ho detto all'inizio, perche' la natura non insegna affatto ad usare sacrifici di sangue, in queste occasioni; questi sono stati istituiti dopo con l'apparizione dei Sacrificatori e dei Ministri destinati al servizio di questi dei immaginari.

    V

    Il germe della religione (voglio dire la speranza e la paura), fecondato dalle passioni e dalle diverse opinioni degli uomini, ha prodotto un grande numero di bizzarre credenze che sono la causa della maggior parte dei mali e delle rivoluzioni avvenute nei diversi stati. Gli onori ed i grandi redditi che sono stati attribuiti al sacerdozio, o ai ministri degli dei, hanno lusingato l'ambizione e l'avarizia di questi uomini astuti che hanno saputo approfittare della stupidita' delle loro genti; queste ultime sono cadute cosi' bene nei loro tranelli che insensibilmente hanno acquisito l'abitudine di incensare le menzogne e odiare la verita'.

    VI

    Stabilita la menzogna gli ambiziosi, bramosi della dolce sensazione di elevarsi al di sopra dei loro simili, si sforzarono di darsi una reputazione, facendo credere di essere gli amici degli dei invisibili che gli ignoranti temevano. Per meglio riusirci ognuno se li dipinse a modo suo e si prese licenza di moltiplicarli, al punto che se ne trovavano ad ogni passo.

    VII

    La materia informe del mondo fu chiamata il Dio Caos. Si fece pure un Dio del cielo, della terra, del mare, del fuoco, dei venti e dei pianeti. Si concessero gli stessi onori alle donne ed agli uomini; gli uccelli, i rettili, il coccodrillo, il vitello, il cane, l'agnello, il serpente ed il porcello, in breve, tutte le categorie di animali e di piante furono adorate. Ogni fiume, ogni fonte portava il nome di un dio, ogni casa ebbe il suo, ogni uomo ebbe il suo genio.

    Alla fine tutto ne fu pieno, sia sopra che sotto la terra, di dei, di spiriti, di ombre e di demoni. Non restava piu' molto spazio, in qualsiasi possibile luogo, per immaginare altre divinita'; si credette quindi di offendere il tempo, il giorno, la notte, la concordia, l'amore, la pace, la vittoria, la concentrazione mentale, la ruggine, l'onore, la virtu', la febbre e la salute; si credette, dico io, di fare oltraggio a tali divinita' che si penso' sempre pronte a folgorare la testa degli uomini se non si fossero elevati, anche a loro, templi ed altari. In seguito si penso' di adorare i propri geni, che qualcuno invocava sotto il nome di muse, altri sotto il nome di fortuna, adorando cosi' la loro propria ignoranza. Alcuni santificarono le loro dissolutezze sotto il nome di Cupido e la loro collera sotto quella di Furie, le loro parti naturali sotto il nome di Priapo; insomma non ci fu niente a cui essi non dessero il nome di un Dio o di un Demone. (13)

    VIII

    I fondatori delle religioni, sapendo bene che la base delle loro imposture era l'ignoranza delle genti, decisero di intrattenerle mediante l'adorazione di immagini, nelle quali, essi dissero, gli dei abitavano; questo fece cadere sui loro preti una pioggia d'oro e di benefici che si consideravano come cose sante, perche' destinate all'uso dei ministri consacrati, e nessuno doveva avere la temerarieta' e l'audacia di pretenderle o anche di toccarle. Per meglio ingannare il popolo, i preti proposero se stessi come profeti e divinatori, come degli ispirati capaci di penetrare nel futuro, vantandosi di avere rapporti con gli dei. Dato che e' naturale il voler conoscere il proprio destino, gli impostori si guardarono bene dal trascurare una cosa tanto vantaggiosa ai loro progetti. Alcuni si stabilirono a Delo, altri a Delfo ed altrove dove rispondevano alle domande che venivano loro fatte con degli oracoli ambigui; le donne stesse ne furono coinvolte; i romani facevano ricorso, durante grandi calamita', ai Libri dell Sibille. I pazzi furono considerati degli ispirati. Quelli che si vantavano di avere rapporti familiari con i morti furono chiamati Necromanti; altri pretendevano di conoscere l'avvenire dal volo degli uccelli o dalle viscere degli animali. Infine , gli occhi, le mani, il viso o un oggetto particolare sembrarono, tutti a loro, di buono o di cattivo auspicio, tanto e' vero che l'ignoranza percepisce l'impressione che vuole quando si e' trovato il segreto per prevaricarla.

    IX

    Gli ambiziosi, che sono sempre stati dei grandi esperti nell'arte di ingannare, hanno seguito la stessa strada quando si misero a dettare leggi e, per obbligare il popolo a sottomettersi volontariamente, lo hanno persuaso che essi le avevano ricevute da un Dio o da una Dea.

    Malgrado questa moltitudine di divinita', i popoli chiamati Pagani, presso i quali sono state adorate, non disponevano di un sistema organico generale di Religione. Ciascuna Repubblica, ciascun Stato, ciascuna Citta' e ciascun raggruppamento aveva i suoi propri riti e definivano le divinita' a propria fantasia. Ma cio', in seguito, e' stato rilevato da legislatori piu' furbi dei primi, che hanno impiegato dei modi piu' raffinati e piu' sicuri, emanando delle leggi, dei culti, dei riti e delle cerimonie piu' appropriate a nutrire il fanatismo che essi volevano imporre.

    Tra i tanti, l'Asia ne ha visti nascere tre, che si sono distinti sia per le leggi ed i culti che hanno istituito, che per la nozione che essi hanno dato della divinita' e del modo di cui essi si sono serviti per far recepire la loro idea e rendere sacre le loro leggi. Mosè fu il piu' antico. Gesù Cristo, venuto dopo, lavoro' in accordo con il piano di Mosè conservando la base delle sue leggi ed abolendo tutto il resto. Maometto, che e' apparso per ultimo sulla scena, ha preso dall'una e dall'altra religione quanto serviva per comporre la sua ed, in seguito, si e' dichiarato nemico di tutte e due. Vediamo le caratteristiche di questi tre legislatori, esaminiamo la loro condotta, al fine di poter decidere quali hanno i migliori fondamenti, oppure cio' che li rivela come uomini divini, o quello che li riduce a furbi ed impostori.

    X

    MOSE'


    Il celebre Mosè, figlio di un grande mago (14), secondo Giustino Martire, ebbe all'inizio tutti i vantaggi per diventare cio' che fu in seguito. Tutti sanno che gli ebrei, dei quali egli divenne il capo, erano un popolo di pastori che il Faraone Osiride I ricevette nel suo paese, in considerazione dei servizi che egli aveva ricevuto da uno di essi, durante un tempo di grande carestia; egli dono' loro alcune terre ad oriente dell'Egitto, in una contrada ricca di pascoli e, di conseguenza, adatta a nutrire le loro popolazioni. Nel corso di circa 200 anni essi si moltiplicarono considerevolmente, sia perche', essendo considerati come stranieri, non erano obbligati a prestare servizi militari, sia anche a causa dei privilegi che Osiride aveva loro concessi, che indussero molti indigeni del paese ad unirsi a loro e, infine, anche perche' alcune tribu' di arabi si unirono a loro come fratelli, essendo entrambi della stessa razza. Comunque sia andata, essi si moltiplicarono cosi' strepitosamente che, non potendo piu' vivere nella contrada di Gossen, essi si sparsero per tutto l'Egitto dando al Faraone un giusto motivo di temere che potessero essere capaci di atti pericolosi nel caso in cui l'Egitto fosse attaccato (cosa che allora avveniva assai sovente) dagli Etiopi, suoi atavici nemici. Cosi' una ragione di stato obbligo' il Principe a togliere i loro privilegi ed a cercare i mezzi per indebolirli e sottometterli.

    Il Faraone Horo, sopranominato Busiride a causa della sua crudelta', che era succeduto a Memnone, segui' il suo piano riguardo agli ebrei e, volendo eternare la sua memoria con l'erezione di piramidi e la costruzione della citta' di Tebe, condanno' gli ebrei a produrre mattoni, per la fabbricazione dei quali le terre del loro paese erano molto adatte. Fu durante questa servitu' che nacque il famoso Mosè; quello stesso anno il Re ordino' che si gettassero nel Nilo tutti i bambini maschi degli ebrei, considerando di non avere altri mezzi piu' sicuri per fare perire queste tribu' di stranieri. Cosi' Mosè fu esposto al rischio delle acque in un paniere cosparso di bitume, che sua madre sistemo' tra i giunchi, sulla riva del fiume. Il caso volle che Thermutis, figlia del faraone Orus, venuta a passeggiare da quelle parti ed avendo udito i pianti di questo bambino, la compassione tanto naturale al suo sesso le ispiro' il desiderio di salvarlo. Orus venne poi a morire e Thermutis sali' al trono; fece impartire a Mosè una educazione degna di un figlio della regina di una nazione che, allora, era la piu' saggia e gentile dell'universo.

    In breve, dicendo che fu educato in tutte le scienze degli Egizi, e' tutto detto, e ci presenta Mosè come il piu' grande politico, il piu' saggio naturalista ed il mago piu' famoso del suo tempo. E' inoltre del tutto palese che egli fu ammesso nell'ordine dei sacerdoti, che erano in Egitto, cio' che i Druidi erano tra i Galli. Quelli che non sanno quale era allora il governo dell'Egitto, saranno meravigliati nell'apprendere che le sue famose Dinastie, avendo avuto termine e dipendendo tutto il paese da un solo sovrano, esso era allora diviso in molteplici contrade di non troppo grande estensione. I governatori di queste contrade erano chiamati Monarchi e tali governatori facevano normalmente parte del potente ordine dei sacerdoti, che possedeva circa un terzo dell'Egitto. Il Re nominava questi monarchi e, se si crede agli autori che hanno scritto su Mosè, comparando cio' che essi hanno detto con quello che Mosè stesso ha scritto, si concludera' che egli e' stato Monarca della contrada di Gossen e che doveva la sua designazione a Thermutis, oltre che a doverle la vita. Ecco cosa fu Mosè in Egitto, dove ebbe tutto il tempo e i modi di studiare i costumi degli egiziani e quelli della sua nazione, le loro passioni dominanti e le loro inclinazioni; conoscenze delle quali egli si servi', in seguito, per promuovere la rivoluzione della quale fu il motore.

    Essendo morta Thermutis, il suo successore riprende la persecuzione contro gli ebrei e Mosè, venutogli a mancare i favori che aveva avuto, ebbe timore di non poter giustificare alcuni omicidi che aveva commesso: cosi' prese la decisione di fuggire. Si ritiro' nell'Arabia Petrea, che confina con l'Egitto. Avendolo il caso condotto presso il capo di una qualche tribu' del paese, i servigi che egli rende ed i talenti che il suo ospite crede di notare in lui, gli meritano le sue buone grazie e la concessione di una delle sue figlie in sposa. Vale la pena di notare che Mosè era un cosi' cattivo giudeo e conosceva cosi' poco il temibile Dio, che poi si inventera', da sposare una idolatra e che allora non pensava affatto a circoncidere i suoi bambini. E' in questo deserto d'Arabia che, guardando le truppe di suo suocero e di suo cognato, egli concepisce il disegno di vendicarsi dell'ingiustizia che il Re d'Egitto gli aveva fatta, portando il turbamento e la sedizione nel cuore del suo stato. Egli si lusingava di poter agevolmente riuscire, vuoi in virtu' dei suoi talenti, che per la disposizione d'animo in cui sapeva di trovare quelli della sua nazione, gia' irritati contro il governo per i cattivi trattamenti che faceva loro infliggere.

    Sembrerebbe, dalla storia che egli ci ha lasciato di questa rivoluzione, o almeno che ci ha lasciato l'autore del libro che e' stato attribuito a Mosè, che Ietro, suo suocero, facesse parte del complotto, come pure suo fratello Aronne e sua sorella Maria che erano restati in Egitto e con i quali egli aveva, senza dubbio, intrattenuto corrispondenza.

    Comunque sia stato, e' evidente che per l'esecuzione egli aveva formulato un piano politico e che seppe mettere in opera, contro l'Egitto, tutta la scienza che vi aveva appreso, cioe' la sua pretesa magia, nella quale egli era piu' sottile e piu' abile di tutti quelli che facevano professione di tale potere alla corte del Faraone. E' per mezzo di questi pretesi prodigi che egli conquisto' la fiducia di quelli della sua nazione che fece sollevare, e ai quali si unirono i ribelli e i malcontenti egiziani, etiopi ed arabi. Infine, vantando la potenza della sua divinita', i frequenti incontri che egli aveva con lei e facendola intervenire, in tutti i provvedimenti che egli prendeva con i capi della rivolta, riusci' a persuaderli cosi' bene che lo seguirono 600.000 uomini combattenti, escluse donne e bambini, attraverso i deserti di Arabia dei quali egli conosceva tutte le piste.

    Dopo sei giorni di cammino, in una penosa ritirata, egli prescrisse, a quelli che lo seguivano, di consacrare il settimo giorno al loro Dio per un pubblico riposo, al fine di far credere loro che Dio li favoriva ed approvava il suo dominio, e che nessuno avesse l'audacia di contraddirlo.

    Non c'e' mai stato un popolo piu' ignorante di quello degli ebrei e, di conseguenza, tanto credulone. Per essere convinti di questa profonda ignoranza e' sufficiente ricordarsi dello stato in cui tale popolo era in Egitto, quando Mosè lo fece rivoltare: esso era odiato dagli egiziani a causa della professione di pastore, perseguitato dal sovrano ed obbligato ai lavori piu' umili. In mezzo ad una tale popolazione non fu affatto difficile per Mosè di far valere i suoi talenti. Egli fece loro credere che il suo Dio (che egli chiamava qualche volta semplicemente un angelo), il Dio dei loro padri, gli era apparso: percio' era per suo ordine che aveva accettato l'incarico di guidarli; che Dio lo aveva scelto per governarli, e che sarebbero stati il popolo favorito di questo Dio, a patto che essi credessero a cio' che egli diceva loro da parte sua. L'uso accorto dei suoi trucchi e la conoscenza che egli aveva della natura, davano forza alle sue esortazioni e confermava cio' che egli diceva con quelli che si chiamano prodigi, che sono capaci di fare sempre molta impressione sulla popolazione imbecille.

    Si puo' notare, sopratutto, che egli credeva di aver trovato un mezzo sicuro per mantenere gli ebrei sottomessi ai suoi ordini persuadendoli che Dio stesso li guidava, di notte, sotto l'apparenza di una colonna di fuoco e, di giorno, sotto forma di una nube. E' facilmente dimostrabile che cio' fu l'inganno piu' grossolano di questo impostore, Egli aveva appreso, durante il soggiorno che aveva fatto in Arabia, che essendo il paese vasto e disabitato, era usanza di quelli che viaggiavano in carovana di assumere delle guide che li conducevano, di notte, per mezzo di un braciere, del quale essi seguivano la fiamma e, di giorno, mediante il fumo dello stesso braciere, che tutti i membri della carovana potevano vedere e, di conseguenza, non si potevano sbagliare. Questo sistema era ancora in uso presso i Medi e gli Assiri; Mosè se ne servi' e lo fece passare per un miracolo e per un segno della potenza del suo Dio. Come si puo' non credermi quando dico che era un furbo; si puo' credere a Mosè stesso che, (al X capitolo dei Numeri (V.19) sino al trentatreesimo) prega suo cognato Hobad di venire con gli Ismaeliti, alfine di indicare il cammino, perche' egli non conosceva affatto il paese. Questo e' strano, perche' se era Dio che marciava davanti ad Israele notte e giorno, come nube o colonna di fuoco, come poteva avere una guida migliore? Malgrado cio' ecco Mosè che esorta suo cognato, per motivi del tutto urgenti, a servirgli da guida; quindi la nube e la colonna di fuoco erano Dio solo per il popolo e non per Mosè.

    I poveri disgraziati, felici di vedersi adottati dal capo degli dei ed uscire da una crudele servitu', osannarono Mosè e giurarono di obbedirgli ciecamente. Confermata cosi' la sua autorita', egli volle renderla perpetua e, sotto lo specioso pretesto di fondare il culto di questo Dio, del quale egli si diceva il luogotenente, egli nomino' subito suo fratello ed i suoi figli capi del Palazzo Reale, vale a dire del luogo che egli trovo' piu'adatto per rendere gli oracoli. Questo luogo era fuori dalla vista e dalla presenza del popolo. In seguito, egli fece cio' che viene sempre fatto nelle nuove istituzioni: la dottrina dei prodigi, dei miracoli, dai quali i semplici erano abbagliati, qualcuno stordito, che facevano invece pena a quelli che erano un po' piu' svegli e che vedevano attraverso queste imposture.

    Per quanto furbo, Mosè avrebbe avuto qualche difficolta' a farsi obbedire, se non avesse avuto la forza in pugno. La furberia senza le armi difficilmente riesce. Malgrado il grande numero di creduloni che si sottomettevano ciecamente ai voleri di questo legislatore, si trovavano delle persone abbastanza audaci da rimproverargli la sua malafede, dicendogli che, sotto le false apparenze di giustizia e di uguaglianza, egli si era impadronito di tutto ed essendo l'autorita' sovrana assegnata alla sua famiglia, egli non aveva piu' nulla da pretendere ed infine egli era piu' il tiranno del popolo che non il padre elettivo. Ma in quelle occasioni Mosè, da politico assolutista, fece condannare questi spiriti forti e non risparmio' nessuno di quelli che criticavano il suo governo.

    E' stato con precauzioni di tal genere e minacciando sempre della collera divina i suoi critici, che egli regno' come un despota assoluto. Per finire nello stesso modo con cui aveva cominciato, vale a dire da furbo e da impostore, egli si precipito' in un abisso da lui stesso fatto scavare, nel mezzo di una solitudine dove si ritirava ogni tanto, con il pretesto si andare a parlare segretamente con Dio, allo scopo di riconciliare con questo, il rispetto e la sottomissione dei suoi seguaci. Alla fine egli si getto' in questo precipizio, preparato da lungo tempo, affinche' il suo corpo non potesse essere ritrovato e si credesse che Dio lo aveva eletto e reso simile a lui; egli non ignorava che il ricordo dei patriarchi, che lo avevano preceduto, era grandemente onorato anche se si erano trovati i loro sepolcri, ma questo non era sufficiente per soddisfare la sua ambizione; bisognava che lo si riverisse come un Dio, sul quale la morte non ha potere. A questo si riferiva, senza dubbio, cio' che egli disse all'inizio del suo regno: che era stato instaurato da Dio per essere il dio del Faraone.

    Elia, per esempio, Romolo, Zalmolsi e tutti quelli che hanno avuto la sciocca vanita' di eternare i loro nomi, hanno celato il tempo della loro morte perche' li si credesse immortali.

    XI


    Ma, per ritornare ai legislatori, non c'e' ne stato nessuno che non abbia fatto derivare le sue leggi da qualche divinita' e che non abbia cercato di persuadere che essi stessi erano qualcosa di piu' che semplici mortali. (15) Numa Pompilio, avendo assaporato la dolcezza della solitudine, fece fatica a lasciarla, anche se era per occupare il trono di Romolo, ma vedendosi obbligato dalle pubbliche acclamazioni, approfitto' della devozione dei Romani e fece loro credere di conversare con gli dei, cosi' se i romani lo volevano assolutamente come re, dovevano accettare di ubbidirgli ciecamente ed osservare religiosamente le leggi e le istruzioni divine che gli erano state dettate dalla Ninfa Egeria.

    Alessandro il Grande non fu meno vanitoso: non contento di essere considerato il signore del mondo, egli volle che lo si credesse figlio di Giove. Anche Perseo pretendeva di essere nato dallo stesso Dio e dalla vergine Danae. Platone considerava Apollo come suo padre che lo aveva avuto con una vergine. Ci sono ancora altri personaggi che ebbero la stessa follia; e' fuori di dubbio che tutti questi grandi uomini credessero a queste fantasie fondate sulle opinioni degli egizi, i quali sostenevano che lo spirito di Dio poteva avere rapporti con una donna e renderla feconda.

    XII


    GESU' CRISTO

    Gesù Cristo, che non ignorava ne le massime ne la scienza degli egiziani, diede anch'egli corso a questa opinione; egli l'ha creduta appropriata al suo particolare disegno. Considerando come Mosè si fosse reso celebre, sebbene non comandasse che un popolo di ignoranti, egli prese a costruire su queste fondamenta e si fece seguire da qualche imbecille, persuadendoli che lo Spirito Santo era suo padre e sua madre una vergine. Questa brava gente, abituata a nutrirsi di sogni e di fantasie, accettarono queste nozioni e credettero a tutto cio' che egli voleva, tanto piu' che una tale nascita non era poi qualcosa di troppo straordinario per loro. (16)

    L'essere dunque nato da una vergine, per opera dello Spirito Santo, non e' ne piu' straordinario ne piu' miracoloso di quello che appaga i tartari per il loro Gengis Khan, figlio anche lui di una vergine; i cinesi dicono che il dio Foe doveva la vita ad una vergine resa feconda dai raggi del sole.

    Questa credenza risale ad un tempo nel quale i giudei, stanchi del loro Dio, come lo erano stati dei loro Giudici, (17) ne volevano avere uno visibile come le altre nazioni. Dato che il numero degli sciocchi e' incommensurabile, Gesù Cristo trovo' dei seguaci ovunque ma siccome la sua estrema poverta' era un ostacolo invincibile per il suo successo, (18) i farisei tanto ammiratori quanto gelosi della sua audacia, lo frenavano o lo stimolavano, secondo l'umore mutevole della popolazione. Malgrado la fama spettacolare della sua divinita' ma priva di potere, era impossibile che il suo progetto riuscisse. Qualche malato che egli guari', qualche morto risuscitato, gli diedero la fama; ma non avendo soldi ne armati, non poteva mancare di perire. Se egli avesse avuto questi due mezzi non sarebbe riuscito da meno di Mosè, o di Maometto o di tutti quelli che hanno avuto l'ambizione di elevarsi al di sopra degli altri. Se egli e' stato piu' disgraziato, non e' pero' stato meno scaltro e qualche parte della sua storia prova che la piu' grande mancanza della sua politica e' stata quella di non aver provveduto abbastanza alla sua sicurezza. Del resto, io non trovo che egli abbia preso le sue misure peggio degli altri due; la sua legge e' comunque diventata la regola della fede dei popoli che si vantano di essere i piu' saggi del mondo.

    XIII

    La politica di Gesù Cristo


    Non c'e' niente di piu' sottile, ad esempio, della risposta di Gesù a proposito della donna sorpresa in adulterio. Avendo i giudei chiesto se dovessero lapidare tale donna, la risposta positiva alla domanda l'avrebbe fatto cadere nella trappola che i suoi nemici gli tendevano; la risposta negativa sarebbe stata contro la legge e l'affermativa lo avrebbe coinvolto nel rigore e nella crudelta', cio' che gli avrebbe alienato gli spiriti. Invece, dico io, di assumere un atteggiamento simile a quello che avrebbe avuto un uomo comune, egli disse quello che tra di voi e' senza peccato scagli la prima pietra. Risposta abile che dimostra bene la sua presenza di spirito. Un'altra volta, chiestogli se era giusto pagare il tributo a Cesare e vedendo l'immagine del principe sulla moneta che gli era stata mostrata, egli eluse il tranello rispondendo che si doveva rendere a Cesare cio' che e' di Cesare. La difficolta' consisteva nel fatto che si sarebbe reso colpevole di lesa maesta', se egli avesse negato il dovere del tributo e dicendo, invece, che bisognava pagare il tributo sarebbe andato contro la legge di Mosè, cio' che egli asseriva di non voler mai fare, in quanto si riteneva, senza dubbio, ancora troppo debole per farlo inpunemente; in seguito, quando si fosse reso piu' celebre, egli l'avrebbe rovesciata quasi totalmente. Egli fece come quei principi che promettono sempre di confermare i privilegi dei loro seguaci, fino a quando il potere non sia ancora consolidato, ma in seguito non si fanno scrupolo di dimenticare le loro promesse.

    Quando i farisei gli chiesero in base a quale autorita' egli pretendeva di predicare ed insegnare al popolo, Gesù Cristo, subdorando il loro inganno, che tendeva ad accusarlo di menzogna, sia che rispondesse che era in virtu' di una autorita' umana, in quanto non faceva parte del Corpo Sacerdotale che era il solo autorizzato ad istruire il popolo, sia che rispondesse di predicare per ordine espresso di Dio, in quanto la sua dottrina era in opposizione alla legge di Mosè. Egli se la cavo', mettendo in imbarazzo loro stessi, domandando loro in nome di chi Giovanni era stato battezzato. I farisei, che si opponevano per motivi politici, al battesimo di Giovanni, si sarebbero condannati da soli se avessero ammesso che era in nome di Dio. Se invece non l'avessero ammesso si sarebbero esposti all'ira della popolazione, che credeva il contrario. Per togliersi dall'imbarazzo essi risposero che non lo sapevano al che Gesù Cristo rispose che non era percio' obbligato a dire perche' ed in nome di chi egli predicava.

    XIV

    Tali erano le sconfitte del distruttore dell'antica legge e padre della nuova religione, che fu edificata sulle rovine di quella antica, e dove una mente imparziale non ci vede niente di piu' divino che nelle religioni che l'hanno preceduta. Il suo fondatore, che era tutt'altro che un ignorante, vedendo l'estrema corruzione della repubblica dei giudei, la giudico' prossima alla sua fine e credette che un'altra sarebbe rinata dalle sue ceneri.

    La paura di essere preceduto da uomini piu' abili di lui, gli fece osare di affermarsi con dei metodi contrari a quelli di Mosè. Quello comincio' con il rendersi terribile e formidabile verso le altre nazioni; Gesù Cristo, al contrario, le attiro' a lui con la speranza dei vantaggi di un'altra vita, che si sarebbe ottenuta, cosi' diceva, credendo in lui; al contrario, Mosè non prometteva che dei beni temporali agli osservanti la sua legge; Gesù Cristo, faceva percio' sperare che nulla sarebbe mai finito; le leggi del primo riguardavano la vita terrena, quelle dell'altro guardavano alla vita interiore, influenzando il pensiero, ed opponendosi in tutto alle leggi di Mosè. Dove ne consegue che Gesù Cristo credeva, come Aristotele, che anche la religione e gli stati, come tutti gli individui, si generano e si corrompono.

    Ora, siccome e' penoso risolversi di passare da una legge ad un'altra e siccome la maggior parte degli spiriti sono difficili da scuotere in materia di religione, Gesù Cristo, similmente ad altri innovatori, e' ricorso ai miracoli che sono sempre stati lo scoglio degli ignoranti ed il rifugio degli scaltri ambiziosi.

    XV

    Fondato in questo modo il cristianesimo, Gesù Cristo pensava, abilmente, di approfittare degli errori della politica di Mosè per rendere eterna la nuova legge; impresa che gli riusci', possiamo dire, al di la' delle sue speranze. I profeti ebraici credevano di onorare Mosè predicendo la venuta di un suo successore che gli rassomigliasse; vale a dire un messia grande e virtuoso, potente nel bene e terribile per i suoi nemici. Nonostante cio' le profezie hanno prodotto un effetto del tutto contrario, in quando una quantita' di ambiziosi avevano colto l'occasione per farsi passare per il messia annunciato, cosa che produsse delle rivolte, che sono durate sino alla completa distruzione della antica Repubblica ebraica. Gesù Cristo, piu' abile dei profeti moseaici, per discreditare in anticipo quelli che si sarebbero levati contro di lui, predisse che un tale profeta sarebbe stato un grande nemico di Dio, il favorito dei demoni, la somma di tutti i vizi e la desolazione del mondo.

    Dopo questi begli elogi, sembrerebbe che nessuno possa sentirsi tentato di chiamarsi l'Anticristo, ed io non credo che si possa trovare un miglior artificio per eternare una legge, sebbene non ci sia niente di piu' fantastico di tutto cio' che si e' attribuito a questo preteso anticristo. San Paolo diceva, ai suoi contemporanei, che tale anticristo era gia nato; malgrado cio' sono trascorsi piu di 1660 anni dopo la predicazione della nascita di questo formidabile personaggio, senza che nessuno ne abbia sentito parlare. Ammetto che qualcuno abbia riferito queste parole ad Ebiron ed a Cerinto, due grandi Nemici di Gesù Cristo di cui essi combatterono la pretesa divinita'; ma si puo' anche dire che se questa interpretazione e' conforme ai sentimenti degli apostoli, cio' che non e' per nulla credibile, queste parole designarono, durante tutti i secoli, una infinita' di Anticristi (non essendovi pero' dei veri saggi) che hanno creduto di stabilire la verita' dicendo che la storia di Gesù Cristo e' una favola spregevole e che la sua legge non e' che un tessuto di fantasie che l'ignoranza ha reso di moda, che l'interesse lo conserva, e che la tirannia lo protegge. (19)

    XVI

    Si pretende, malgrado tutto, che una religione fondata su delle fondamenta cosi' deboli, sia divina e sovranaturale, come non si sapesse che non c'e' nessuno piu' pronto a sostenere le piu' assurde opinioni, che le donne e gli sciocchi; non c'e' dunque niente di strano che Gesù Cristo non avesse dei saggi al suo seguito, egli sapeva bene che la sua legge non poteva andare d'accordo con il buon senso; ecco, senza dubbio, perche' egli declamava cosi' sovente contro i saggi, che egli esclude dal suo regno, dove non ammette che i poveri di spirito, i semplici e gli imbecilli; le menti ragionevoli possono percio' consolarsi di non avere niente da dividere con gli insensati.

    XVII

    Congiuntamente alla morale di Gesù Cristo non si vede niente di divino che lo debba far preferire agli scritti degli antichi, anzi tutto cio' che si vede ne e' stato tratto o imitato. S. Agostino (20) ammette di aver trovato, in qualcuno dei loro scritti, tutti i principi del Vangelo secondo S. Giovanni; si aggiunga inoltre che questo apostolo era talmente abituato a plagiare gli altri, che non ha avuto nessuna difficolta' a rubare ai profeti i loro enigmi e le loro visioni, alla scopo di comporre il suo Apocalisse. Da qui' derivano, per esempio, le uguaglianze che si notano tra la dottrina del Vecchio e quella del Nuovo Testamento e gli scritti di Platone; ma anche i Rabbini e quelli che hanno composto le scritture, hanno plagiato questo grande uomo. La nascita del mondo e' molto piu' verosimile nel suo Timeo che non nel libro della Genesi; e non si puo' dire che questo deriva dal fatto che Platone abbia letto, durante il suo viaggio in Egitto, i libri giudaici, poiche' secondo S. Agostino (21) il re Tolomeo non li aveva ancora fatti tradurre quando il filosofo fece il viaggio.

    La descrizione del paese che Socrate fa a Simia nel Fedone, ha molta piu' grazia del Paradiso Terrestre; e la favola degli Androgini (22) e', senza paragoni, meglio definita di quanto noi apprendiamo dalla Genesi a proposito della estrazione di una delle coste di Adamo, per generare la donna, ecc. I due incendi di Sodoma e Gomorra sono in stretta analogia con quello causato da Fetonte; come pure la caduta di Lucifero, con quella di Vulcano e quella dei Giganti, distrutti dalla folgore di Giove. Quali cose si assomigliano meglio di Sansone ed Ercole, Ehe e Fetonte, Giuseppe ed Ippolito, Nabuccodonosor e Licaone, Tantalo ed il ricco epulone, la manna degli israeliti e l'ambrosia degli dei? S. Agostino, (23) S.Cirillo e Teofilatto comparano Giona ad Ercole, sopranominato "Trinoctius", perche' rimase tre giorni e tre notti nel ventre della balena.

    Il fiume di Daniele, descritto al Cap. VII delle sue profezie, e' una imitazione visibile del Pyriphlegeton (fiume di fuoco) e di cui si parla nel dialogo dell'immortalita' dell'anima. Si e' cavato il peccato originale dal vaso di Pandora, il sacrificio di Isacco e di Iefte da guello di Ifigenia al posto della quale fu sostituita una cerva. Per quanto riguarda Lot e sua moglie il tutto e' conforme a cio' che ci narra la favola di Bauci e Filemone; la storia di Bellerofonte e' la base di quella di S. Michele e del Demonio che egli vinse; infine e' una costante evidente che gli autori delle scritture hanno trascritto, quasi parola per parola, le opere di Esiodo e di Omero.

    XVIII

    Quanto a Gesù Cristo, Celso dimostra, in opposizione ad Origene (24) che egli aveva tratto da Platone le sue piu' belle massime. Tale e' quella che oppone un cammello "che passera' piu' facilmente per la cruna di un ago" ad un "ricco nel regno di Dio". (25) Per cio' che concerne altre credenze nella immortalita' dell'anima, nelle resurrezione, nell'inferno ed alla maggior parte della sua morale, io non vedo niente che gia' non fosse ritenuto nella morale di Epitteto, di Epicuro e di molti altri; quest'ultimo era citato da S. Gerolamo (26) come di un uomo, la cui virtu' faceva vergognare i migliori cristiani, e la sua vita era stata cosi' morigerata, che i suoi pasti migliori consistevano in un poco di formaggio, pane ed acqua. Con una vita cosi' frugale, questo filosofo, pagano qual'era, diceva che era meglio essere sfortunati e ragionevoli, che non essere ricchi ed opulenti senza possedere la ragione; aggiungendo che e' raro che la fortuna e la saggezza si trovino riunite in uno stesso soggetto e che non si potrebbe essere felici ne vivere soddisfatti se la nostra felicita' non e' accompagnata dalla prudenza, dalla giustizia e dall'onesta', che sono le qualita' dalle quali deriva la vera e solida volutta'.

    Per Epitteto, io non credo che mai nessun uomo, senza eccettuare Gesù Cristo, sia mai stato piu' saldo, piu' austero, piu' costante ed abbia avuto una morale pratica piu' sublime della sua. Io non dico nulla che non mi sia facile di provare, se fosse questo il luogo per farlo, ma temendo di superare i limiti che io mi sono stabiliti, riportero', degli atti esemplari della sua vita, un solo esempio. Essendo schiavo di un liberto chiamato Epafrodito, capitano delle guardie di Nerone, a quest'ultimo gli prese la voglia di torcergli una gamba. Epitteto accorgendosi che egli ne provava piacere, gli disse sorridendo che sapeva che non avrebbe smesso sino a che non gli avesse spezzata la gamba; questo accadde come aveva predetto. "Ebbene", continuo' egli con un viso impassibile e sorridendo, "non ve lo avevo detto che mi avreste rotto la gamba?" E' mai esistita una persona simile a quella? E si puo' dire che Gesù Cristo sia stato da tanto, lui che piangeva e sudava di paura al piu' piccolo allarme che gli si dava, e che dimostro', in punto di morte, una pusillanimita' del tutto riprovevole e che non si vide affatto con i nostri martiri.

    Se l'ingiuria dei tempi non ci avesse sottratto il libro, che Arriano aveva fatto sulla vita e sulla morte del nostro filosofo, io sono convinto che noi vedremmo ben altri esempi della sua pazienza. Io non dubito che non si dica di questa azione cio' che i preti dicono della virtu' dei filosofi, che e' una vita dove la vanita' e' la base, e che non affatto in effetti cio' che appare. Ma io so bene che chi usa questo linguaggio e' gente che dice sconsideratamente tutto cio' che gli viene in bocca e che credono di aver ben meritato il denaro, che gli danno per istruire il popolo, allorquando hanno declamato contro i soli uomini che sapevano che cosa e' la giusta ragione e la vera virtu'; tanto e' vero che nulla al mondo tocca, cosi' poco, i costumi dei veri saggi quanto le azioni di questi uomini superstiziosi che li denigrano; questi ultimi sembrano aver studiato solo per arrivare ad un posto che dia loro il pane, sono vani ed applaudono se stessi quando l'hanno ottenuto, come se fossero giunti ad uno stato di perfezione, sempre che non siano di quelli che giungono ad uno stato di ozio, di licenza e di lussuria, dove la maggior parte non ricorda che le massime della religione che professano. Ma lasciamo stare questa gente che non ha alcuna idea della reale virtu', per esaminare la divinita' del loro maestro.

    XIX

    Dopo aver esaminato la politica e la morale del Cristo, dove non si trova nulla di piu' utile o di piu' sublime che negli scritti degli antichi filosofi, vediamo se la reputazione che egli ha acquistato, dopo la sua morte, e' una prova della sua divinita'; il popolo e' cosi' abituato a sragionare che io non mi stupisco che si pretenda di trarre alcune conclusioni dal suo comportamento; l'esperienza ci dimostra che esso corre sempre dietro a dei fantasmi e che non fa e non dice nulla che abbia un po' di buon senso. Malgrado questo, e' su simili chimere, che sono sempre state in voga, malgrado gli sforzi dei saggi che si sono sempre opposti, che si fonda la sua fede. Qualsiasi cura essi abbiano avuto per sradicare la follia imperante, il popolo non le ha abbandonate se non dopo essersene saziato.

    Mosè ebbe un bel vantarsi di essere l'interprete di Dio e provare le sue missioni ed i suoi diritti con degli atti straordinari; per poco che si assentasse (cio' che egli faceva ogni tanto per parlare, diceva lui, con Dio e cio' che facevano, parimenti, Numa Pompilio e molti legislatori) per poco, dico io, che si assentasse, egli ritrovava, al suo ritorno, i segni del culto degli dei che gli ebrei avevano conosciuto in Egitto. Egli ebbe un bel tenerli per 40 anni in un deserto per fare loro dimenticare l'idea degli dei che avevano abbandonati; ma essi non li avevano ancora dimenticati, ne volevano di visibili che marciassero davanti a loro, li adoravano ostinatamente, qualsiasi crudelta' potessero fargli provare.

    Solo l'odio a loro ispirato per le altre nazioni, per un sentimento di orgoglio di cui i piu' idioti sono capaci, fece loro perdere insensibilmente il ricordo degli dei d'Egitto ed attaccarsi al Dio di Mosè; lo si adoro' per qualche tempo con tutte le regole imposte dalla Legge, ma lo si lascio', in seguito, per seguire quella di Gesù Cristo, proprio per quella incostanza che fa correre dietro alle novita'.

    XX

    I piu' ignoranti degli ebrei avevano adottato la legge di Mosè; ci furono percio' anche parecchie persone che corsero dietro a Gesù Cristo e siccome il numero di tali persone e' infinito ed esse si amano l'un l'altra, non ci si deve meravigliare se questi nuovi errori si diffusero facilmente. Non e' che le novita' siano pericolose per quelli che le abbracciano, ma e' l'entusiasmo che esse esercitano che ne aumentano la paura. Cosi' i discepoli di Gesù Cristo, tutti miserabili che erano al suo seguito, e tutti morti di fame (come si vede dalla necessita' in cui si trovarono un giorno, con il loro maestro, di strappare delle spighe dai campi per nutrirsi) i discepoli di Gesù Cristo, dico io, cominciarono a scoraggiarsi quando videro il loro maestro nelle mani dei boia e impossibilitato di dare loro il benessere, la potenza e la grandezza che aveva fatto sperare.

    Dopo la sua morte, i suoi discepoli, nella disperazione di vedere frustrate le loro speranze, fecero di necessita' virtu'. Banditi da tutti i luoghi e perseguitati dai giudei che li volevano trattare come il loro maestro, essi si sparpagliarono nelle contrade vicine dove, su notizia di qualche donna, essi smerciarono la sua risurrezione, la sua nascita divina ed il resto della favola di cui i Vangeli sono pieni.

    Le difficolta' che essi avevano di riuscire tra i giudei, li decisero a cercare fortuna tra gli stranieri, ma siccome abbisognavano di piu' conoscenze di quante ne avessero, essendo i Gentili filosofi, e di conseguenza troppo amici della ragione per accettare delle bagatelle, i partigiani di Gesù convinsero un giovane uomo (S. Paolo), di spirito vivace ed attivo; un po' meglio istruito che dei pescatori analfabeti, o piu' abile nel fare ascoltare le sue storie. Questi, unitosi a loro per un colpo del cielo (perche doveva essere un evento straordinario), attiro' qualche aderente alla nascente setta, con la paura di pretese pene dell'Inferno, presa dalle favole di antichi poeti, e con la speranza delle gioie del Paradiso, dove ebbe l'impudenza di far dire che vi era stato allevato.

    Questi discepoli, a forza di trucchi e di bugie, procurarono al loro maestro l'onore di essere considerato un Dio, onore al quale Gesù, quando era vivo, non aveva potuto accedere.

    Il suo destino non fu certo migliore di quello di Omero, ne altrettanto onorevole, poiche' sei delle citta', che avevano cacciato e disprezzato quest'ultimo, durante la sua vita, si fecero la guerra per sapere a chi competeva l'onore di avergli dato i natali.

    XXI

    Si puo' stabilire da tutto cio' che abbiamo detto che il cristianesimo e', come tutte le altre religioni, niente altro che una impostura grossolanamente intessuta, il cui successo ed il progresso stupirebbero i suoi stessi inventori, se tornassero al mondo; ma senza impegnarci piu' oltre in un labirinto di errori e di contraddizioni, delle quali abbiamo detto abbastanza, diciamo qualcosa di Maometto, il quale ha fondato una legge su dei principi del tutto opposti a quelli di Gesù Cristo.

    XXII


    MAOMETTO

    Appena i discepoli del Cristo ebbero estinta la Legge Mosaica, per introdurre la Legge Cristiana, vittime della loro stessa ordinaria incostanza, seguirono un nuovo legislatore, che si eleva con i medesimi metodi di Mose. Egli prese, come lui, il titolo di Profeta e di inviato di Dio; come lui fece dei miracoli e seppe mettere a profitto la passione del popolo. All'inizio si vide seguito da una popolazione ignorante alla quale esprimeva i nuovi oracoli del cielo; poi questi miserabili, sedotti dalle promesse e dalle favole di questo nuovo impostore, divulgarono la sua fama e la esaltarono al punto di eclissare quella dei suoi predecessori.

    Maometto non era un uomo che sembrasse adatto a fondare un impero, egli non eccelleva ne in politica ne in filosofia. Maometto, come dice il Conte di Boulanvilliers, era ignorante di lettere volgari ed io voglio credergli; ma egli sicuramente non lo era di tutte le conoscenze che un grande viaggiatore puo' acquisire, con sufficiente naturalezza, qundo egli si proponga di impiegarle utilmente. Egli non era affatto ignorante della sua lingua, del cui uso, e non della lettura, aveva appreso tutta la raffinatezza e la bellezza. Egli non era ignorante dell'arte di saper rendere odioso cio' che veramente merita di essere condannato e di dipingere la verita' con colori semplici e vivaci, che non consentono di disconoscerla. In effetti, tutto cio' che egli ha detto e' vero, in relazione ai dogmi essenziali della religione, ma egli non ha detto tutto cio' che e' vero, ed e' in questo, solamente, che la nostra religione differisce dalla sua. Il Conte di Boulanvilliers aggiunge, piu' oltre, che Maometto non era grossolano ne barbaro e che egli ha condotto la sua impresa con tutta l'arte, la delicatezza, i modi, l'audacia e le ampie vedute di cui anche Alessandro e Cesare sarebbero stati capaci al posto suo. (27)

    Egli non sapeva ne leggere ne scrivere. Aveva pure cosi' poca fermezza da abbandonare sovente la sua impresa, se non fosse stato spinto a sostenere la scommessa, propostagli da uno dei suoi seguaci. Da questo egli comincio' ad inalzarsi ed a divenire celebre, e Corais, potente arabo, geloso che un uomo da nulla avesse l'audacia di coinvolgere il popolo, si dichiaro' suo nemico ed ostacolo' la sua impresa, ma il popolo, convinto che Maometto avesse dei rapporti continui con Dio e con i suoi angeli, fece si che prevalesse sul suo nemico. La famiglia di Corais(28)
    ebbe la peggio e Maometto, vedendosi seguire da una folla imbecille che lo credeva un uomo divino, credette di non aver piu' bisogno del suo compagno; ma per paura che questi smascherasse le sue imposture, lo volle prevenire, e per farlo con maggior sicurezza, lo colmo' di promesse e gli giuro' che egli voleva diventare grande solo per dividere con lui il suo potere, al quale lui aveva tanto contribuito. "Noi siamo prossimi" gli disse "al momento del nostro inalzamento, siamo sicuri di un grande popolo che abbiamo convinto, si tratta di assicurarsi di lui con l'artificio che voi avete cosi' felicemente immaginato". E nel medesimo tempo lo persuase a nascondersi nella fossa degli oracoli.

    C'era un pozzo, dal quale questo compagno parlava, per far credere al popolo che la voce di Dio si rivolgesse a Maometto, che se ne stava in mezzo ai suoi proseliti. Ingannato dalle perfide promesse il suo socio ando' nella fossa per imitare, come al solito, l'oracolo; mentre Maometto passava alla testa di una moltitudine infatuata, si udi' una voce che diceva "Io sono il vostro Dio, io dico che ho eletto Maometto ad essere il Profeta di tutti i popoli; sara' da lui che voi conoscerete la vera legge che gli ebrei ed i cristiani hanno falsata". Per molto tempo questo uomo aveva esercitato tale ruolo ma, alla fine, fu pagato con la piu' grande e la piu' nera ingratitudine. In effetti, Maometto, udendo la voce che lo proclamava un uomo di Dio, si giro' verso la gente e ordino', in nome di questo Dio, che lo riconoscessero come il loro Profeta e di colmare di pietre il pozzo, da dove era uscita una testimonianza, tanto autentica, in suo favore; questo a imitazione e ricordo della pietra che Giacobbe elevo' per segnare il posto dove Dio gli era apparso. Cosi' fini' il miserabile che aveva contribuito alla elevazione di Maometto; fu su questo mucchio di pietre che l'ultimo dei piu' celebri impostori fondo' la sua legge. Questa fondazione e' cosi' solida e fissata in modo tale che dopo piu' di mille anni di regno, non si vedono ancora i segni che sia sul punto di essere scossa.

    XXIII

    Cosi' Maometto divenne grande e fu piu' fortunato di Gesù, in quanto vide, prima della sua morte, il progredire della sua legge, cio' che il figlio di Maria non pote' fare a causa della sua poverta'. Egli fu anche piu' fortunato di Mosè, che per un eccesso di ambizione si precipito' da solo in un burrone per finire i suoi giorni. Maometto mori' in pace ed al colmo dei suoi successi; in piu' egli aveva qualche certezza che la sua dottrina sarebbe durata dopo la sua morte avendola sistemata a misura dei suoi settari, nati e cresciuti nell'ignoranza; cosa che un uomo piu' abile, forse, non avrebbe saputo fare.

    Ecco, lettore, cosa si puo' dire di piu' rilevante in merito ai tre celebri legislatori, le religioni dei quali hanno soggiogato una grande parte dell'universo. Essi erano come noi li abbiamo descritti; sta a voi esaminare se essi meritano che voi li rispettiate e se li ritenete scusabili, tanto da lasciarvi condurre da delle guide elevatesi per sola ambizione e dei quali l'ignoranza eternizza le fantasie. Per guarirvi dagli errori con i quali vi hanno accecati, leggete quello che segue con mente libera e disinteressata, questo sara' il modo di scoprire la verita'.





    CAPITOLO IV

    Verita' sensibili ed evidenti.

    I


    Essendo Mosè, Gesù e Maometto tali come li abbiamo descritti, e' evidente che non c'e' nulla nei loro concetti in cui si possa cercare un'idea veritiera della Divinita'. Le apparizioni e le chiacchierate di Mosè e di Maometto, come pure l'origine divina di Gesù, sono le piu' grandi bugie che siano state create e che voi dovete rifuggire se amate la verita'.

    II

    Essendo Dio, come si e' visto, soltanto la natura, o se si vuole, l'insieme di tutti gli esseri, di tutte le proprieta' e di tutte le energie, esso e', necessariamente, la causa immanente e non distinta dei suoi effetti; egli non puo' essere definito ne buono ne malvagio, ne giusto ne ingiusto, ne misericordioso, ne geloso; questi sono degli attributi che convengono solo all'uomo; di conseguenza l'uomo non sara' ne punito ne ricompensato. Queste idee di punizione e di ricompensa non possono sedurre che gli ignoranti, i quali concepiscono l'Essere semplice, che si chiama Dio, solo attraverso delle immagini che non gli si adattano per nulla. Quelli che si servono del loro raziocinio, senza confondere le proprie idee con quelle dell'immaginazione, e che hanno la forza di liberarsi dei pregiudizi, sono i soli che se ne facciano un'idea chiara e distinta. Essi lo considerano come la fonte di tutti gli esseri, che li produce senza distinzioni, nessuno essendo preferibile agli altri, al suo riguardo, non costandogli produrre l'uomo piu' di quanto costi produrre il piu' piccolo verme o una infima pianta.

    III

    Non bisogna dunque credere che l'essere universale, che si chiama comunemente Dio, faccia piu' caso ad un uomo che ad una formica, ad un leone piu' che ad una pietra. Non c'e' niente, per quello che lo riguarda, di bello o di laido, di buono o di cattivo, di perfetto o di imperfetto. Non gli importa niente di essere lodato, pregato, ricercato, accarezzato; non e' per nulla commosso da cio' che gli uomini fanno o dicono, non e' suscettibile ne di amore ne di odio; in una parola, egli non si occupa piu' dell'uomo che del resto delle creature, di qualsiasi natura esse siano. Tutte queste distinzioni sono solo delle invenzioni di una mente ottusa; l'ignoranza le immagina e l'interesse le fomenta.

    IV

    Cosi' qualsiasi uomo sensato non puo' credere a Dio, all'inferno, agli spiriti e ai diavoli nel modo in cui se ne parla comunemente. Tutte queste parole sono state coniate solo per abbagliare o intimidire la gente rozza. Quelli che dunque vogliono convincersi, ancora meglio, di questa verita' prestino una seria attenzione a cio' che segue e si abituino a non esprimersi che non dopo ponderate riflessioni.

    V


    Una infinita' di astri, che vediamo sopra di noi, ci fanno pensare ad altrettanti corpi solidi che si muovono, tra i quali se ne troverebbe uno riservato alla Corte Celeste, dove Dio sta, come un re, in mezzo ai suoi cortigiani. Questo luogo e' il soggiorno dei Beati, dove si suppone che le anime pie vadano a riunirsi lasciando il corpo. Ma senza fermarsi su di una opinione cosi' sciocca che nessun uomo di buon senso puo' accettare, e' certo che cio' che si chiama cielo, non e' altro che la continuazione dell'etere che ci circonda, fluido nel quale i pianeti si muovono, senza essere sostenuti da nessuna entita' solida, come pure la terra che noi abitiamo.

    VI


    Come si e' immaginato un cielo dove si e' posto il soggiorno di Dio e dei Beati, o, secondo i pagani, gli dei e le dee, si e' in seguito immaginato un Inferno, luogo sotterraneo, dove si assicura che scendano le anime dei malvagi per essere tormentate. Ma la parola inferno, nel suo significato piu' naturale, esprime solo un luogo basso e cavo, che i poeti hanno inventato per opporlo alla dimora degli abitanti celesti, che si e' supposta alta ed elevata. Questo e' cio' che significano esattamente le parole Infemus o Infemi dei latini, o quelle dei greci, che intendono un luogo oscuro come un sepolcro, o qualsiasi altro luogo profondo e temibile per la sua oscurita'. Tutto cio' che ne e' stato detto non e' che la conseguenza della immaginazione dei poeti, o della furberia dei preti; tutti i discorsi dei primi sono figurati e adatti a fare impressione sulle menti deboli, timide e melanconiche; essi furono poi trasformati in articoli di fede da quelli che hanno il massimo interesse a sostenere queste cose.

    Edited by L'Eremita - 31/8/2016, 14:23
     
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  3. L'Eremita
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    CAPITOLO V

    L'anima

    I


    L'anima e' qualcosa di piu' delicato da trattare di quanto non lo siano il cielo e l'inferno; e' dunque il caso, per soddisfare la curiosita' del lettore, di parlarne in maniera piu' estesa. Ma prima di darne una definizone, occorre esporre cio' che hanno pensato i piu' celebri filosofi; lo faro' in poche parole affinche' possano essere recepite con piu' facilita'.

    II


    Alcuni hanno preteso che l'anima sia uno spirito, o una sostanza immateriale; altri hanno sostenuto che sia una particella della Divinita'; alcuni la considerano un'aria molto sottile; altri dicono che sia una armonia di tutte le parti del corpo; infine, che sia la parte piu' sottile del sangue, che si separa dal cervello, e si distribuisce attraverso i nervi. Detto questo, la sorgente dell'anima e' il cuore, dove essa si genera, ed il cervello e' il luogo dove esercita le sue piu' nobili funzioni, visto che viene depurata dalle parti piu' grossolane del sangue. Ecco quali sono le opinioni diverse che si sono fatte sull'anima. A parte questo, per meglio approfondire, dividiamo tali opinioni in due classi. In una collochiamo i filosofi che l'hanno creduta corporale; nell'altra quelli che l'hanno considerata come incorporea.

    III

    Pitagora e Platone hanno supposto che l'anima sia incorporea, vale a dire una entita' capace di sussistere senza l'aiuto del corpo e quindi di potersi muovere da sola. Essi sostengono che tutte le anime particolari degli animali sono delle porzioni dell'anima universale del mondo, che queste porzioni sono incorporee ed immortali, o code della natura stessa, come si comprende, molto bene, che cento piccoli fuochi sono della stessa natura di un grande fuoco dal quale sono stati presi.

    IV

    Questi filosofi hanno creduto che l'universo fosse animato da una sostanza immateriale, immortale ed invisibile, che fa tutto, che agisce sempre e che e' la causa di tutti i moti e la fonte di tutte le anime, che ne sono una emanazione. Ora, siccome queste anime sono purissime e di una natura infinitamente superiore ai corpi, esse non si uniscono, sostengono loro, immediatamente, ma per mezzo di un corpo sottile come la fiamma, o certa aria sottile ed estesa che il volgo considera come il cielo. In seguito esse prendono una consistenza ancora meno sottile, poi un'altra un po' piu' grossolana e sempre si degradano fino a quando possono unirsi ai corpi sensibili degli animali, dove esse si calano come dentro delle celle o dei sepolcri. La morte del corpo, secondo loro, e' la vita dell'anima, che si trovava come sepolta e dove essa non esercitava, che debolmente, le sue piu' nobili funzioni; cosi', con la morte del corpo, l'anima esce dalla sua prigione, si sbarazza della materia e si riunisce all'anima del mondo da dove era stata emanata.

    Seguendo cosi' questa idea tutte le anime degli animali sono della stessa natura e la diversita' delle loro funzioni e facolta' deriva dalla differenza dei corpi nei quali entrano.

    Aristotile (29) ammette una intelligenza universale comune a tutti gli esseri e che agisce, riguardo a delle intelligenze particolari, come agisce la luce riguardo agli occhi; come la luce rende visibili gli oggetti, l'intelletto universale rende questi oggetti intelleggibili. Questo filosofo definisce come anima tutto cio' che ci fa vivere, sentire, concepire e muovere; non dice affatto quale e' questo essere che e' la fonte ed il principio di queste nobili funzioni, e, di conseguenza, non e' presso di lui che bisogna cercare il chiarimento dei dubbi che si hanno sulla natura dell'anima.

    V

    Dicearco, Asclepiade e Gallieno, per qualche considerazione, hanno pure creduto che l'anima fosse incorporea, ma in un altro modo; essi hanno detto che l'anima non e' altro che l'armonia di tutte le parti del corpo, vale a dire cio' che risulta da una mescolanza esatta degli elementi, della disposizione delle parti, degli umori e degli spiriti. Cosi', essi dissero, come la salute non e' una parte di colui che si sente bene, per quanto sia in lui, lo stesso, benche' l'anima sia nell'animale, questa non e' affatto una delle sue parti ma l'accordo di tutte quelle di cui e' composto.

    Su cio' c'e' da tenere presente che questi autori ritengono l'anima incorporea su un principio tutto contrario alla loro intenzione; perche' dire coda non significa dire corpo, ma solamente qualche cosa di inseparabilmente attaccato al corpo, vale a dire che coda e' corporea, perche' si chiama corporeo non solo cio' che e' corpo, ma tutto cio' che e' forma o accidente, o cio' che non puo' essere separato dalla materia.

    Questi sono quindi i filosofi che sostengono che l'anima e' incorporea o immateriale; si vede che essi non sono d'accordo con loro stessi e, di conseguenza, essi non meritano di essere creduti. Passiamo a quelli che hanno ritenuto che essa sia corporea o materiale.

    VI

    Diogene ha creduto che l'anima sia composta d'aria, da cui deriva la necessita' di respirare, ed egli l'ha definita un'aria che passa dalla bocca ai polmoni e al cuore, dove si riscalda e da dove si distribuisce in seguito in tutto il corpo.

    Leucippo e Democrito hanno detto che essa e' di fuoco e che come il fuoco essa e' composta di atomi, che penetrano facilmente tutte le parti del corpo e lo fanno muovere.

    Ippocrate ha detto che essa e' composta di acqua e di fuoco; Empedocle di quattro elementi; Epicuro ha creduto, come Democrito, che l'anima e' composta di fuoco, ma egli aggiunge che in questa composizione c'entra dell'aria, un vapore e un'altra sostanza che non ha nome e che e' il principio del sentimento; da queste quattro sostanze differenti si forma uno spirito molto sottile che si spande in tutto il corpo e che si deve chiamare l'anima.

    Cartesio sostiene pure, ma pietosamente, che l'anima non e' materiale; dico pietosamente perche' mai un filosofo, come questo grande uomo, ha ragionato cosi' male su questo argomento; ecco in che modo si esprime. Anzitutto egli dice che bisogna dubitare dell'esistenza stessa del proprio corpo; credere che non se ne abbia; poi ragionare in questo modo: non c'e' un corpo; nondimeno io esisto, dunque io non sono un corpo; di conseguenza io non posso essere altro che una sostanza che pensa. Per quanto questo bel ragionamento si distrugga abbastanza da solo, diro' nondimeno, con due parole, quale e' la mia sensazione.



    1 - Questo dubbio che Cartesio propone e' totalmente impossibile, perche' per quanto si possa pensare di non avere un corpo, e' vero nondimeno che lo si ha quando lo si pensa.
    2 - Quando ci dice che l'anima e' una sostanza che pensa, egli non ci insegna nulla di nuovo. Ognuno ne conviene, ma la difficolta' e' di determinare che cosa e' questa sostanza che pensa, e questo e' cio' che egli non fa piu' degli altri.


    VII

    Per non ricorrere a ripieghi, come egli ha fatto, e per avere l'idea piu' sana che ci si possa formare dell'anima di tutti gli animali, senza eccettuare l'uomo, che e' della stessa natura e che esercita funzioni differenti solo per la diversita' dei suoi organi e dei suoi umori, occorre prestare attenzione a cio' che segue.

    E' certo che nell'universo esiste un fluido molto sottile o una materia senza confronti e sempre in movimento, la cui sorgente e' il sole; il resto e' sparso negli altri corpi, piu' o meno, secondo la loro natura e la loro consistenza. Ecco cio' che e' l'anima del mondo; ecco cio' che lo governa e lo vivifica e del quale qualche porzione e' distribuita a tutte le parti che lo compongono.

    Quest'anima e' il fuoco piu' puro che ci sia nell'universo. Egli non brucia di per se stesso, ma per differenti movimenti che egli da alle particelle degli altri corpi in cui entra, egli brucia e fa sentire il suo calore. Il fuoco visibile contiene piu' di questa materia dell'aria, e questa piu' dell'acqua e la terra ne ha ancora meno; le piante ne hanno di piu' dei minerali e gli animali ancora di piu'. Infine questo fuoco, racchiuso nel corpo, lo rende capace di sentimenti e questo e' cio' che si chiama l'anima, o cio' che chiamiamo spirito animale, che si distribuisce in tutte le parti del corpo. Ora e' certo che questa anima, essendo della stessa natura in tutti gli animali, si dissolve con la morte dell'uomo e anche con quella delle bestie. Da questo ne consegue che cio' che i poeti ed i teologi ci dicono dell'altro mondo e' una chimera che essi hanno partorito e smerciato per le ragioni che e' facile immaginare.





    CAPITOLO VI

    Gli Spiriti che si chiamano Demoni.

    I


    Abbiamo detto prima come la nozione degli spiriti sia stata introdotta tra gli uomini ed abbiamo fatto vedere che questi spiriti non sono che dei fantasmi che esistono nella loro immaginazione.

    I primi dottori del genere umano non sono stati abbastanza chiari per spiegare al popolo che cosa erano questi fantasmi, ma non lasciarono loro dire che cosa pensassero. Gli uni, vedendo che i fantasmi si dissolvevano e non avevano nulla di consistente, li definirono immateriali, incorporei, forme senza materia, colori ed immagini senza essere per altro dei corpi ne colorati ne figurati, aggiungendo che essi potevano rivestirsi d'aria, come di un abito, quando volevano rendersi visibili agli occhi degli uomini. Gli altri dicevano che erano dei corpi animati ma che essi erano fatti d'aria o di un'altra materia piu' sottile che essi addensavano a loro piacere, quando volevano apparire.

    II

    Se queste due categorie di filosofi erano opposti sull'idea che essi avevano dei fantasmi, essi si accordarono sui nomi da dare loro, perche' tutti li chiamarono Demoni; ed in questo furono tanto insensati che alcuni credono di vedere dormendo le anime delle persone morte e che e' la propria anima quella che vedono, quando si guardano in uno specchio, o infine che credono che le stelle, che si vedono nell'acqua, sono le anime delle stelle. Dopo queste ridicole opinioni, essi caddero in un errore che non e' meno assurdo, quando credettero che questi fantasmi avessero un potere illimitato, nozione priva di fondamento, ma comune agli ignoranti che si immaginano sempre che gli esseri che non conoscono, abbiano un potere meraviglioso.

    III


    Questa ridicola opinione era appena stata divulgata che i Legislatori se ne servirono per sostenere la loro autorita'. Essi stabilirono la credenza degli spiriti, che chiamarono religione, sperando che la paura che il popolo aveva di queste potenze invisibili lo avrebbe ricondotto ai suoi doveri; e per dare piu' peso a questo dogma, distinsero gli Spiriti o Demoni in buoni e cattivi; gli uni furono destinati a stimolare gli uomini ad osservare le leggi, gli altri a frenarli ed a impedire di trasgredirle.

    Per sapere che cosa sono questi demoni e' sufficiente leggere i poeti greci e le loro storie e, sopratutto, cio' che ne dice Esiodo nella sua Teogonia, dove tratta ampiamente della generazione e della origine degli dei.

    IV

    I greci sono stati i primi che li hanno inventati; da loro sono poi passati, con l'attestazione delle loro colonie, in Asia, in Egitto ed in Italia. Fu ad Alessandria e dintorni, dove i giudei si erano dispersi, che ne ebbero conoscenza. Essi se ne sono allegramente serviti, come gli altri popoli, ma con la differenza che non hanno chiamati Demoni, come i greci, indifferentemente gli spiriti buoni e quelli malvagi, ma solamente i malvagi, riservando ai soli Demoni buoni il nome di Spiriti di Dio e chiamando Profeti quelli che erano stati ispirati dagli Spiriti buoni; inoltre, essi ritenevano come effetto dello Spirito Divino tutto cio' che essi consideravano come un gran bene e come effetti del Caio-Demone, o spirito maligno, cio' che stimavano un gran male.

    V


    Questa distinzione del bene e del male fece chiamare Demoniaci quelli che noi chiamiamo Lunatici, Insensati, Furiosi, Epilettici; come pure quelli che parlano un linguaggio sconosciuto. Un uomo malfatto e sporco era, a loro avviso, posseduto da uno spirito immondo; un muto era posseduto da uno spirito muto. Alla fine, i termini Spirito e Demone divennero cosi' familiari che essi ne parlavano in ogni occasione; da qui e' chiaro che i giudei credevano, come i greci, che gli spiriti o fantasmi non erano solo pure chimere, ne visioni, ma degli esseri reali indipendenti dalla immaginazione.

    VI

    Da quanto sopra deriva che la Bibbia e' tutta piena di racconti sugli Spiriti, sui Demoni e sui Demoniaci; ma non e' detto da nessuna parte come e quando essi furono creati, cio' che non e' affatto perdonabile a Mosè che si e', si dice, impicciato di parlare della creazione del cielo e della terra. Gesù, che parla molto sovente di Angeli e di Spiriti buoni e malvagi, non ci dice nulla se essi siano materiali o immateriali. Cio' ci fa vedere che tutti e due sapevano solo quello che i greci avevano appreso dai loro antenati. Senza quello, Gesù Cristo non sarebbe meno biasimevole del suo silenzio che della sua malizia di rifiutare a tutti gli uomini la grazia, la fede e la pieta' che egli assicurava di poter loro dare.

    Ma per ritornare agli spiriti, e' certo che queste parole: Demoni, Satana, Diavolo non sono dei nomi propri che indicano qualche individuo e che essi non furono mai quelli che gli ignoranti credettero, sia tra i greci che le inventarono, che tra i giudei che le adoperarono. Dopo che questi ultimi furono infettati da queste idee, essi attribuirono questi nomi, che significano nemico, accusatore e sterminatore, talvolta alle Potenze Invisibili, vale a dire ai Gentili, che essi dicevano che abitavano il Regno di Satana, non essendoci che loro, secondo la loro opinione, che abitassero in quello di Dio.

    VII

    Siccome Gesù Cristo era giudeo, e di conseguenza fortemente imbevuto di queste opinioni, non bisogna meravigliarsi se si incontrano sovente nei Vangeli e negli scritti dei suoi discepoli, tali parole Diavolo, Satana, Inferno come se fossero qualche cosa di reale e di effettivo.

    Nonostante cio', e' molto evidente, come l'abbiamo gia' fatto notare, che non c'e' niente di piu' chimerico, e quando cio' che abbiamo detto non fosse sufficiente a provarlo, bastano due parole a convincere gli ostinati.

    Tutti i cristiani sono d'accordo che Dio e' il principio di tutte le cose, che egli le ha create, che le conserva e che, senza il suo aiuto, esse cadrebbero nel nulla; secondo questo principio e' certo che egli ha creato quello che si chiama il Diavolo o Satana. Ora, sia che l'abbia creato buono o malvagio, (cio' che qui non ci riguarda) esso e' incontestabilmente l'opera di un atto primordiale. Se esso esiste, malvagio com'e', cio' non puo' essere che per volonta' di Dio. Ora come e' possibile pensare che Dio conservi una creatura, che non solamente lo odia mortalmente e lo maledice senza posa, ma che si sforza anche di corrompere i suoi amici per avere il piacere di mortificarlo? Come, dico io, e' possibile che Dio lasci sussistere questo Diavolo, per dargli tutti i dispiaceri possibili, per detronizzarlo, se fosse in suo potere, e per sviare dal suo servizio i suoi favoriti ed i suoi eletti?

    Qual'e' qui lo scopo di Dio, o piuttosto di quello che noi abbiamo detto parlando del Diavolo e dell'Inferno? Se Dio puo' tutto e niente e' possibile senza di lui, da dove viene il Diavolo che lo odia, lo maledice e gli toglie i suoi amici? O Dio lo consente o non lo consente. Se egli lo consente, il Diavolo, maledicendolo, non fa che il suo dovere, perche' egli puo' solo quello che Dio vuole; di conseguenza allora non e' il Diavolo ma Dio stesso che si maledice, cosa assurda se mai fosse. Se egli non lo consente allora non e' vero che egli puo' tutto, e di conseguenza ci sono due principi, l'uno del bene e l'altro del male; l'uno vuole una cosa e l'altro vuole il suo contrario. Dove ci condurrebbe questo ragionamento? A convenire senza dubbi che Dio, il Diavolo, il Paradiso o l'Inferno o l'anima non sono affatto quelli che la religione descrive e che i teologi, vale a dire quelli che smerciano favole per verita', sono della gente in malafede, che abusano della credulita' del popolo, per raccontargli quello che a loro piace, come se i poveracci fossero assolutamente indegni della verita', e non devono essere nutriti che di chimere, nelle quali un uomo ragionevole non vede che il vuoto, il nulla e la follia.

    E' da molto tempo che il mondo e' infestato da queste idee assurde. Malgrado cio', in tutti i tempi, si sono trovate delle menti solide e degli uomini sinceri, i quali, malgrado le persecuzioni, si sono ribellati contro le assurdita' del loro secolo, come si e' voluto fare con questo piccolo trattato. Quelli che amano la verita' ci troveranno, senza dubbio, qualche consolazione; e' a questi che io voglio piacere, senza preoccuparmi delle critiche di chi considera i pregiudizi come oracoli infallibili.


    Fonti:

    (01) - Mosè fece morire in una sola volta 24000 uomini che si erano opposti alla sua legge.

    (02) - E' scritto nel primo Libro dei Re, 22,V.6 che Achab, re d'Israele consulto' 400 profeti che si dimostrarono poi tutti falsi.

    (03) - Cap. XV, V.2 e 9

    (04) - Cap. XVIII,V.10

    (05) - Cap. II,V.13

    (06) - Cap. IV,V.7

    (07) - Rom. XV,IX,V.10

    (08) - Quis autem negabit Deum esse corpus, essi Deus Spiritus?

    (09) - I primi 4 concilii sono: quello di Nicea, nel 325, sotto Costantino ed il papa Silvestro; quello di Costantinopoli, nel 381, sotto Graziano, Valentiniano e Teodoro ed il papa Damaso I; quello di Efeso, nel 431, sotto Teodoro il Giovane e Valentiniano ed il papa Celestino; quello di Calcedonia, nel 451, sotto Valentiniano e Marziano ed il papa Leone I.

    (10) - Il Talmud riporta che i rabbini deliberarono se togliere il Libro dei Profeti e quello dell'Ecclesiaste, dal novero dei libri canonici. Li lasciarono perche' in essi si parla elogiativamente di Mosè e della sua Legge. Le Profezie di Ezechiele sarebbero state soppresse dal catalogo consacrato, se un certo canonico non avesse provveduto ad adattarle alla stessa Legge.

    (11) - Ved. il passaggio di Tertulliano sopra citato.

    (12 - Ved. Hobbes, Leviatano, de homine. Cap.12, pag.55,56,57

    <b>(13 - Hobbes ubi supra' de homine. Cap.12,pag.58

    <b>(14)
    - Non necessariamente....volgare.

    (15) - Ved. Hobbes, Leviatano de homine. Cap.12, pag.59 e 60

    (16) - Qu'un beau pigeon a' tire d'aile / Vienne obombrer una Pucelle, / Rien n'est surprenant en cela / L'on en vit autant en Lydie / Et le beau cygne de Leda / Vaut bien le Pigeon de Marie.

    (17) - Quarto libro di Samuele, Cap. 8. Gli israeliti scontenti dei figli di Samuele, chiedono un re.

    (18) - Gesù Cristo apparteneva alla setta dei Farisei, vale a dire, dei miserabili e questi erano l'opposto dei Sadducei che formavano la setta dei ricchi. Ved. il Talmud.

    (19) - E' il giudizio che ha dato il papa Leone X, tanto conosciuto quanto audace, espresso in un secolo nel quale lo spirito filosofico aveva fatto ancora ben pochi progressi: "Sappiamo da molto tempo (disse al Cardinale Bembo) quanto questa favola di Gesù Cristo ci abbia reso." Quantum nobis nostrisque que ea de Christo fabula profuerit, satis est omnibus seculis notum.

    (20) - Confessioni. Libro 7, Cap.9, Vers.20

    (21) - Confessioni. Libro 7, Cap.), Vers.20

    (22) - Vedere nel Banchetto di Platone il discorso di Aristofane.

    (23) - Citta' di Dio. Libro I, Cap.14

    (24) - Libro 6, contro Celso

    (25) - Libro 8, Cap.4

    (26) - Libro 2, Cap.8

    (27) - Vita di Maometto del Conte di Boulanvilliers. Libro 2, pp.266,267,268. Ediz. di Amsterdam, 1731.

    (28) - Si tratta della potente tribù dei Coreisciti o Qurayš, la piú importante della Mecca, dove si occupava di commercio e della gestione del santuario della Pietra Nera (Caaba). D'essa faceva parte la famiglia degli Hašimiti cui apparteneva Maometto.

    (29) - Ved. Dizionario di Bayle, Art. Averroe'


    Tratto da:Traité des Trois Imposteurs - Trattato dei Tre Impostori - 1706/1716 - Sito: Alateus

    Edited by L'Eremita - 1/9/2016, 23:39
     
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    I TRE IMPOSTORI - De Tribus Impostoribus


    Trattato anonimo, stampato a Vienna nel 1754, con la falsa data del 1598


    I

    Molti sostengono nelle discussioni che Dio esiste e che gli si deve prestare un culto, prima ancora di capire che cosa significhi «Dio», e che cosa significhi «esistere», nella misura in cui questo concetto si può estendere alle sostanze materiali e spirituali in conformità alla loro distinzione, che cosa infine significhi «venerare Dio». Intanto immaginano la venerazione di Dio a somiglianza dell’ossequio ai potenti superbi. Essi danno la definizione di Dio mmettendo la loro ignoranza: infatti, è inevitabile che esprimano la sua peculiarità rispetto a tutte le altre cose, attraverso la negazione di concetti fondati. icono, cioè, che è infinito l’Essere di cui ignorano e non riescono a capire i confini. Dicono che ha creato il cielo e la terra, ma non dicono chi ha creato lui, perché non lo sanno e non lo comprendono. Altri dicono che è lui stesso il principio di sé, sostenendo che da nessun altro, se non da sé, ha origine; e anch’essi dicono una cosa che non capiscono. Dicono: non comprendiamo il suo inizio; dunque l’inizio non esiste. Perché non dicono: non comprendiamo Dio stesso; quindi Dio non esiste? E questo è il comportamento tipico dell’ignoranza. «Non si dà un processo all’infinito». Perché no? «Perché l’intelletto umano deve fermarsi a un certo punto». E perché deve? «Perché così suole, perché non può immaginarsi qualcosa oltre i suoi confini»; come se realmente fosse consequenziale questo: io non comprendo il processo all’infinito, dunque non esiste il processo all’infinito. E tuttavia, come sappiamo per esperienza, fra i seguaci del Messia alcuni ritengono infiniti i processi sia delle persone divine, sia dei loro attributi, sulla definizione dei quali tuttora si disputa, e così ritengono che si danno senz’altro i processi all’infinito. Infatti infinita è la generazione del Figlio e all’infinito spira lo Spirito Santo. All’infinito avviene la generazione del Figlio, all’infinito lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio. Infatti, se ci fosse stato un inizio o ci fosse una fine di quella generazione e di quel procedere, si negherebbe il concetto stesso di eternità divina. E se anche tu fossi d’accordo con costoro che la procreazione degli uomini non può procedere all’infinito, conclusione alla quale però arrivano per la finitezza del loro intelletto, ancora non sarà dimostrato che le generazioni divine siano state, anche a modo loro, simili a quelle degli uomini sulla terra, e dello stesso numero; e chi in un numero così alto dovremmo immaginare come il Dio supremo? Infatti ogni religione ammette l’esistenza di divinità mediatrici, sebbene non tutte negli stessi termini. Perciò l’assioma che l’Essere di natura superiore all’uomo debba essere Uno sembra vacillare. Così si potrà dire che dalla diversità degli dèi generatori è nata poi la diversità delle religioni e la varietà dei culti: soprattutto su questo principio si fonda la religione dei pagani. Quanto alle obiezioni circa le uccisioni e le unioni carnali degli dèi pagani, a parte il fatto che gli intellettuali dei gentili già da tempo hanno dimostrato che esse devono essere interpretate come simboli mistici, si trovano cose simili anche nelle religioni monoteiste, come le stragi di tante popolazioni compiute da Mosè e da Giosuè per ordine divino ed il sacrificio umano mposto ad Abramo dal Dio d’Israele, non portato a compimento in via eccezionale. Ma Dio non poteva comandare, né Abramo credere che Dio comandasse seriamente ciò che in se stesso ripugna completamente alla natura divina. Maometto promette tutto il mondo come premio a chi crede nella sua religione. Anche i cristiani ogni tanto profetizzano la strage dei loro avversari e l’assoggettamento dei nemici alla chiesa, che certo è stata non piccola, da quando i cristiani hanno esercitato un potere politico. Non è stata concessa la poligamia da Maometto, da Mosè, ed anche nel Nuovo Testamento, come
    alcuni sostengono? E lo Spirito Santo non generò il Figlio di Dio congiungendosi in modo tutto peculiare ad una vergine promessa in matrimonio? Le altre obiezioni che vengono fatte ai pagani sulla ridicolaggine degli idoli e sugli abusi del culto, non sono poi così gravi che non possano muoversi simili critiche ai seguaci delle altre religioni; tuttavia si potrebbe facilmente dimostrare che tali abusi sono provenuti dai sacerdoti più che dai fondatori delle religioni, dai discepoli più che dai maestri.


    II

    Del resto, per tornare all’argomento iniziale, questo Essere, che costituisce il limite
    dell’astrazione intellettuale, alcuni lo chiamano Natura, altri Dio. E tra questi ultimi, alcuni
    hanno idee simili, altri diverse. C’è chi immagina mondi generarsi dall’eternità, e chiama
    Dio la connessione delle cose; altri vogliono Dio un essere trascendente, perché non può
    essere visto né compreso, benché anch’essi incorrano in frequenti contraddizioni. Riguardo
    al culto di Dio, alcuni fanno consistere la religione nel timore di potenze invisibili, altri
    nell’amore. E se le potenze invisibili risultano inefficaci, vicendevolmente una religione
    ritiene idolatrica l’altra, ciascuna secondo i suoi principi.
    Sostengono che l’amore nasce dalla benevolenza, e ne riportano gratitudine, laddove
    piuttosto l’amore nasce da simpatia istintiva, e i benefici dei nemici inducono un odio ancora
    più grande, sebbene nessun ipocrita osi ammetterlo. Ma chi potrebbe sostenere che ci venga
    amore dalla benevolenza di chi ha messo nell’uomo l’animalità del leone, dell’orso e delle
    altre belve, per dargli una natura opposta all’indole del creatore? Questo poi, non ignorando
    la debolezza della natura umana, avrebbe sottoposto l’uomo alla tentazione dell’albero, da
    dove sapeva con certezza che avrebbe commesso una trasgressione fatale a se stesso ed a
    tutti i suoi discendenti, come vogliono alcuni. Ed essi però sarebbero obbligati al culto e al
    ringraziamento come da un prezioso beneficio; cioè «Questo vorrebbe l’Itacese ecc.». Prendi
    un’arma micidiale, come una spada, se sai per certo in anticipo (ma altri ritengono che in
    Dio non si dia prescienza quanto alle cose contingenti) che per il fatto stesso di averla a
    disposizione colui al quale la metti sotto gli occhi l’afferrerà e massacrerà con strage
    miserabile la sua famiglia: uno che abbia ancora una goccia di umanità avrà orrore di
    compiere simili azioni. Prendi, dico, la spada, tu che per esempio sei padre o amico; e se sei
    padre o vero amico, porgila all’amico, o ai figli, con la raccomandazione di non aggredire,
    ma prevedendo senza ombra di dubbio che farà un’aggressione o una miserevole strage dei
    suoi, per giunta ancora innocenti. Pensaci, tu che sei padre: avresti agito così? Questo è
    aggiungere lo scherno al divieto. E tuttavia Dio avrebbe dovuto prevedere ciò.
    Sostengono che gli si deve prestare un culto per il suo beneficio perché, dicono, se Dio
    esiste, deve essere venerato. Proprio come gli Indiani concludono: il Gran Mogol esiste,
    dunque deve essere venerato. Lo venerano anche i suoi; ma perché? Certo perché sia
    soddisfatta la tracotante superbia sua e dei suoi Magnati, non per altro. È venerato infatti
    soprattutto per il timore della sua potenza visibile (perciò quando muore scompare nella
    dimenticanza) e poi per la speranza di una ricompensa. Lo stesso motivo vale per il culto dei
    genitori e delle altre persone. E poiché le potenze invisibili sono ritenute più temibili e
    grandi delle visibili, perciò si sostiene che esse debbano essere maggiormente venerate. I
    cristiani dicono che Dio deve essere venerato per il suo amore. Ma quale amore
    incolperebbe all’infinito i discendenti innocenti per la trasgressione di un solo uomo,
    certamente prevista e quindi premeditata (dovendosi ammettere come minimo una
    premeditazione)? Tu dirai: sì, ma per redimerli. E come? Il Padre condannerà un figlio ad
    una sofferenza estrema, per infliggere all’altro pene non minori per la redenzione del primo.
    Nemmeno i Barbari credono in storie così menzognere.
    Ma perché bisogna amare e venerare Dio? «Perché ci ha creati». E a che scopo? Affinché
    cadessimo in fallo; perché certo sapeva che Adamo ed Eva sarebbero caduti in fallo, ed
    apparecchiò la trappola del frutto proibito, senza la quale non avrebbero potuto peccare!
    Ciononostante, andrebbe venerato perché da lui dipendono le trasformazioni di tutte le cose,
    secondo altri però anche la loro esistenza e conservazione.


    III

    Ma a quale fine va tributato a Dio un culto? Perché ha bisogno di un culto o dal culto
    viene placato? Certo è così: fra noi uomini sono oggetto di venerazione i genitori e i
    benefattori. Ma che è questo culto? La società umana provvede al soddisfacimento reciproco
    dei bisogni, e noi pratichiamo il rispetto di parenti e benefattori perché crediamo che
    abbiano una maggiore e più immediata possibilità di soccorrerci. Nessuno vorrebbe
    soccorrere un altro senza un ricambiato soddisfacimento anche del proprio bisogno. La
    consapevolezza del bene fatto si chiama anche credito, il quale sollecita una maggiore
    riconoscenza per il beneficio, e richiede che poi esso sia celebrato, e che l’altro gli stia a
    disposizione come una serva, per costruire una fama ed un’immagine di grandezza
    nell’opinione pubblica. È evidente che l’opinione altrui del nostro potere di soccorrere il
    bisogno individuale e collettivo, ci alletta, ci fa sollevare le penne come quelle del pavone,
    ragion per cui anche la magnificenza è annoverata fra le virtù. Ma chi non vede come è
    imperfetta la nostra natura? E chi oserebbe invece dire che Dio, l’essere più perfetto, abbia
    qualche bisogno? Chi dirà che egli voglia un tale riconoscimento di grandezza, se è perfetto,
    se è in se stesso abbastanza contento e onorato, indipendentemente da tutti gli onori che
    possano tributargli gli altri? Chi lo dirà, se non chi è convinto che egli sia manchevole? Il
    bisogno di essere onorato è segno di imperfezione e di impotenza.
    A questo punto citano il consenso di tutti i popoli alcuni che hanno parlato a mala pena
    con tutti i loro concittadini soltanto, oppure hanno letto tre o quattro libri che trattano della
    testimonianza universale; ma non tengono conto fino a che punto agli autori siano note le
    usanze del mondo. Ora, nemmeno i migliori scrittori le conoscono tutte. Osserva tuttavia che
    la questione è sul culto che ha fondamento in Dio stesso e nelle sue opere, non in un mero
    interesse politico-sociale. Infatti ognuno comprende che è costume soprattutto dei
    governanti e dei potenti in politica di conservare formalmente un’istituzione religiosa per
    mitigare gli istinti violenti del popolo.
    Del resto chi, ripensando all’argomento precedente, crederebbe che nella sede principale
    della religione cristiana, l’Italia, si nascondono tanti liberi pensatori e tanti atei, per dire
    qualche cosa di più grave? E, se lo credesse, direbbe che la fede nell’esistenza di Dio e il
    dovere di venerarlo appartengono a tutti i popoli? «Sì, perché i più sani sostengono ciò». E
    chi sono i più sani? «Il Papa, gli àuguri e gli indovini degli antichi, Cicerone, Cesare, i
    prìncipi e i sacerdoti ad essi devoti, ecc.». Ma come facciamo a capire che dicano e credano
    così come parlano, e che non sbandierino tali dottrine per un loro interesse? Questi infatti
    esercitano un potere politico e, facendo temere l’enorme potenza di esseri invisibili e la loro
    vendetta, fingendo talvolta un loro collegamento ed un’intesa più intima con questi, si
    guadagnano dalla credulità popolare redditi sufficienti o abbondanti per la loro agiatezza.
    Che i sacerdoti insegnino tali cose non fa meraviglia, perché questo è il loro mezzo di
    sostentamento. Questi sarebbero gli insegnamenti dei «più sani».


    IV

    Supponiamo che quest’universo dipenda dalla direzione del primo motore; tale
    dipendenza però sarà quella iniziale. Infatti nulla impedisce che il primo ordine di Dio sia
    stato tale che tutte le creature, una volta preordinatone il percorso, procedano fino al termine
    prefissato, se egli ha voluto prefissarne uno. E non ci sarà più bisogno di un’ulteriore cura,
    governo o dipendenza del mondo, perché il Creatore ha potuto infondere fin dall’inizio in
    ognuna delle creature stesse sufficiente energia. E perché pensare che non l’abbia fatto? Non
    bisogna credere che egli visiti tutti gli elementi e le parti dell’universo, come il medico fa
    con l’ammalato.
    «Che dire dunque della testimonianza della coscienza? Da dove proverrebbe ad essa la
    paura per il male commesso, se non sapessimo che esiste sopra di noi un osservatore e
    giudice, al quale dispiacciano le cattive azioni in quanto del tutto contrarie al rispetto per
    lui?». Non ho già intenzione di indagare più a fondo la natura del bene e del male, né i
    pericoli dei pregiudizi e i vani timori eccessivi, provenienti da opinioni preconcette: dico
    solo che la paura dipende dal fatto che tutte le cattive azioni consistono nel guastare e
    nell’alterare l’armonia del mutuo soccorso, che sorregge la società umana; e dal fatto che
    l’immagine di chi voglia aggravare anziché soddisfare i bisogni altrui, lo rende odioso.
    Perciò avviene che egli stesso abbia paura di incorrere nella sanzione dell’odio e del
    disprezzo sociale, o nel pari rifiuto di soddisfare i suoi bisogni, od abbia paura di perdere il
    suo potere, sia quello sugli altri, sia quello di badare a sé, in quanto certo deve temere di
    essere privato dagli altri del potere di nuocere.
    Eppure, quelli che non hanno la luce della Sacra Scrittura, si dice, agiscono secondo un
    lume naturale, cioè secondo i dettami della propria coscienza, il che dimostrerebbe per certo
    che Dio abbia infuso nell’intelletto di tutti gli uomini alcune scintille della sua saggezza e
    volontà, agendo in conformità delle quali bisognerebbe riconoscere che agiscono rettamente.
    Il precetto di venerare Dio non avrebbe altro motivo che questo. D’altra parte, se le bestie
    agiscano secondo razionalità, si dibatte con molte argomentazioni, e non si è ancora arrivati
    ad una conclusione, che nemmeno io voglio sollecitare. Ma chi t’ha detto che ciò non
    avvenga, o che un animale educato non sia talvolta superiore, per intelligenza e facoltà di
    giudizio, ad un uomo incolto e selvaggio? Per dire come sta veramente la cosa, i più degli
    uomini oziosi, incapaci di pensieri sottili e più elevati delle concezioni comuni, solo per
    soddisfare il loro prestigio ed i loro interessi, hanno escogitato molte regole sottili a cui né
    Tirsi né Alessi, impediti dalle loro occupazioni pastorali ed agricole, potranno mai dedicarsi.
    Perciò questi hanno prestato fede agli oziosi speculatori come se fossero più saggi, aggiungi
    anche più adatti ad ingannare i più semplici. «Via, buon Alessi, venera i Pan, i Silvani, i
    Satiri, le Diane, ecc.»; infatti codesti grandi filosofi ti racconteranno il sogno di Numa
    Pompilio, e vorranno narrarti di essere giaciuti con la ninfa Egeria e legarti all’osservanza
    delle loro invenzioni con tale racconto, e per ricompensa della loro opera di mediazione e
    per ottenerti il favore di quelle divinità invisibili, chiederanno in offerta il prodotto del
    gregge e del tuo lavoro per il loro sostentamento. Bisogna immaginare che così Tizio
    cominciò a venerare Pan, Alessi Fauno, Roma Marte, Atene dèi ignoti; e che se questi
    uomini buoni conobbero qualcosa, fu per intelligenza naturale, perché infondate erano le
    invenzioni e le attribuzioni degli speculatori, per non parlare più severamente di altre
    religioni.
    E perché la ragione naturale non li ammonì che sbagliavano nel culto, e che era ridicolo
    venerare statue e pietre come abitazioni dei loro dèi? «Eppure bisogna credere che, poiché le
    pie donnicciole venerano con tanta devozione Francesco, Ignazio, Domenico e simili, la
    ragione ammonisce che almeno qualcuno dei Santi deve essere venerato, e che queste
    persone per naturale illuminazione intuiscono il culto di un potere superiore invisibile». E
    invece queste sono invenzioni dei nostri oziosi sacerdoti, mirate ad accrescere più
    lautamente i loro mezzi di sostentamento.


    V

    Dunque non esiste Dio? sarà pure, supponiamo che esista; deve essere venerato? Ma non
    è consequenziale al suo esistere che egli desideri il culto. «Eppure lo desidera, in quanto ha
    inculcato questo bisogno nel cuore umano. E allora? Seguiremo dunque il nostro istinto
    naturale». E però di questo si riconosce l’imperfezione: ma in quali cose? Infatti esso è
    sufficiente per praticare abbastanza sicuramente le relazioni umane. Quei religiosi che
    seguono la rivelazione non vivono meglio degli altri. «C’è piuttosto che Dio esige da noi
    soprattutto una conoscenza più esatta di sé». Senonché, tu che prometti questo, a qualsiasi
    religione tu appartenga, non sei in grado di mantenere la promessa. Quale sia l’essenza
    divina, in qualsiasi religione rivelata, rimane assai più oscuro di prima. E come si potrebbe
    definire chiaramente con i concetti ciò che trascende ogni facoltà intellettiva? Che ti sembra
    di questo? «Nessuno mai ha conosciuto Dio», così pure «nessun occhio l’ha visto», e ancora
    «Egli abita in una luce inaccessibile», e pure «dopo la rivelazione è ancora nel mistero». Ma
    quanto sia chiaro il mistero ognuno lo sa, credo. In verità, da che cosa ti risulta che Dio esiga
    di essere conosciuto? Forse dal desiderio da cui è preso l’intelletto umano di trascendere i
    limiti delle sue capacità e di immaginare il tutto in termini di maggiore perfezione rispetto al
    suo agire, o da che altro?
    Da una rivelazione speciale? Chi sei tu, che dici questo? Buon Dio! che miscuglio di
    rivelazioni! Chiami in causa gli oracoli dei pagani? Già ne rise l’antichità. Le testimonianze
    dei sacerdoti? Ti presento altri sacerdoti che li contraddicono. Confrontatevi in un dibattito:
    ma chi farà da giudice? e quale sarà la conclusione del dibattito? Citi gli scritti di Mosè, dei
    profeti e degli apostoli? Ti si contrappone il Corano, che definisce manipolati quegli scritti
    sulla base dell’ultima rivelazione; e l’autore di essa si vanta di avere, per miracoloso
    intervento divino, tagliato in tronco con la spada la corruzione e le dispute dei cristiani,
    come Mosè quelle dei gentili. Infatti con la forza soggiogò la Palestina Maometto, con la
    forza anche Mosè, sorretti l’uno e l’altro da grandi miracoli. E i seguaci di costoro ti si
    oppongono, come anche le raccolte dei Veda e dei Bramini, che risalgono a 1300 anni fa, per
    non parlare dei Cinesi. Tu, che sei nascosto qui, in questo angolo dell’Europa, trascuri
    queste altre religioni, ne neghi la fondatezza. E fai bene, a tuo stesso giudizio. Infatti, con la
    stessa superficialità quegli altri negano la fondatezza della tua religione. E quale miracolo
    non basterebbe a convincere gli umani, se risultasse che il mondo è stato creato e generato
    da un uovo dello Scorpione, che la Terra è collocata sulla testa del Toro, e che le
    fondamenta dell’universo sarebbero formate dai primi tre libri Veda se qualche figlio
    invidioso degli dèi non avesse trafugato questi primi tre volumi! Ne riderebbero i nostri, per
    i quali ciò sarebbe un’ulteriore argomento della fondatezza della loro religione, il quale però
    non poggia se non sul cervello dei loro sacerdoti. D’altronde, da dove hanno avuto origine
    gli infiniti volumi sugli dèi pagani e carretti pieni di menzogne? Fu più saggio Mosè, che,
    formatosi dapprima alla scuola degli Egizi, cioè all’astrologia e alla magia, poi alla crudeltà
    delle armi, estromise i re dal territorio della Palestina e, fingendo un rapporto intimo con la
    divinità, come quello di Numa Pompilio, lanciò l’esercito fiducioso nelle sue forze alla
    conquista dei territori di uomini infingardi: evidentemente, affinché fosse lui stesso
    condottiero supremo e suo fratello sommo sacerdote, allo scopo di assumere prima o poi il
    governo assoluto del popolo. Altri, per vie più blande, accarezzando il popolo col mostrare
    santità, inorridisco a dire il resto e i loro imbrogli nelle opere pie in cerchie più appartate,
    dapprima ebbero la meglio sulla plebe incolta dei pagani, poi, anche grazie alla forza di
    diffusione della nuova religione, perfino sui governanti impauriti e odiosi. Infine un terzo,
    desideroso di guerra, legò a sé con finti miracoli popolazioni più feroci dell’Asia, maltrattata
    da prìncipi cristiani; promettendo vittorie e ricompense, seguendo l’esempio di Mosè,
    soggiogò i prìncipi dell’Asia discordi ed oziosi, e consolidò con la scimitarra la sua
    religione. Il giudaismo fu ritenuto correttore del paganesimo, il cristianesimo del giudaismo,
    Maometto dell’uno e dell’altro; ora bisogna vedere chi sarà il correttore di Maometto e
    dell’islamismo.


    VI

    Evidentemente, fino a tal segno è esposta all’inganno la credulità umana, l’abuso della
    quale con la finzione di qualche utilità è chiamato giustamente IMPOSTURA.
    Spiegare ora più estesamente la natura di questa in generale e le sue varie specie, sarebbe
    impresa troppo lunga e noiosa.
    D’altra parte noi dobbiamo osservare questa regola, che, ammessa anche una religione
    naturale e il dovuto culto nella misura in cui si dice dettato dalla natura, ormai ogni
    fondatore di nuova religione sia sospetto d’IMPOSTURA; tanto più che è chiaro a tutti ed
    ovvio, sia per ciò che ho detto, sia per quello che ancora dirò, quanti inganni si sono
    verificati nella diffusione di una religione.
    Rimane allora incontrovertibile, in forza dell’obiezione precedente, che la religione ed il
    culto di Dio secondo i dettami della ragione naturale è conforme a verità e giustizia. Chi
    invece vuole proporre altro in materia religiosa, di nuovo e di diverso, per ispirazione di un
    potere trascendente, è tenuto a dimostrare la sua autorità di riformatore, se non vuole essere
    ritenuto da tutti un impostore avverso al modo di sentire universale, e non già al di sopra
    della ragione naturale e sotto l’autorità di una speciale rivelazione. In più sia onesto, di tal
    genere di vita e di costumi, che può essere creduto dalla gente degno di essere accolto in
    intima comunione da così alta e santa divinità, alla quale non piace alcunché di impuro; e
    questo non potranno provarlo solo l’attestazione personale o la vita vissuta con sufficiente
    purezza anche prima, o alcuni miracoli, cioè atti straordinari; infatti ciò è comune pure agli
    uomini più scaltri, ingannatori, mendaci e ipocriti, i quali con questo comportamento si
    procurano vantaggi e gloria; ma neanche bisogna pretendere che alcuni arrivino a tale follia
    da cercare di loro iniziativa la morte, affinché si creda che essi disprezzino veramente tutti i
    beni terreni, come fecero diversi filosofi antichi. E non bisogna nemmeno credere che essi
    siano stati sorretti da speciali energie divine in ciò che compirono per pura immaginazione e
    sciocca persuasione di orecchie e menti a causa di mancanza d’intelligenza. Chi dette
    credito, non vagliò abbastanza la cosa, e quelli non sono veri maestri; ho già detto che per
    distinguere questi correttamente, non basta solo la loro personale testimonianza, ma è
    necessario mettere a confronto questi testimoni fra loro, ed altri con questi, e non solo noti e
    familiari, ma anche di sconosciuti, amici e nemici: occorre poi, raccolte tutte le
    testimonianze di ciascun maestro e degli altri sul suo conto, esaminare a fondo la verità della
    cosa. E se i testimoni stessi ci sono sconosciuti, allora dovremo interrogare testimoni sul
    conto dei testimoni, e così di seguito. Ma bisogna analizzare anche la personale capacità di
    giudizio, cioè se uno è in grado di discernere dal vero il falso in queste ed altre circostanze,
    soprattutto se la menzogna è mescolata a cose verosimili, e indagare donde abbia attinto i
    criteri di distinzione del vero, e ancora confrontare le opinioni altrui, cioè che cosa
    inferiscano altri da tali dimostrazioni e testimonianze. Da ciò si potrà concludere se sia
    veritiero annunziatore della volontà di Dio colui che si presenta come tale, e se il suo dettato
    si debba seguire alla lettera. Ma bisogna assolutamente guardarsi dal cadere in un circolo
    vizioso.
    E poiché la natura delle principali religioni è tale che l’una presuppone l’altra, quella di
    Mosè il paganesimo, quella del Messia il giudaismo, quella di Maometto il cristianesimo, e
    non sempre la successiva respinge la precedente in tutto, ma solo in determinate parti, e nel
    resto si fonda anche sulla precedente, come fanno il Messia e Maometto, allora bisognerà
    esaminare non solo l’ultima, o quella intermedia, o la prima, ma tutte singolarmente con
    cura, tanto più che ogni religione accusa l’altra di impostura: il Messia gli antichi, che
    avrebbero corrotto la legge, e Maometto i cristiani, che avrebbero corrotto il Vangelo.
    Quanto a questi, non v’è nulla di strano, giacché nell’ambito del cristianesimo una setta
    accusa l’altra di aver corrotto il testo del Nuovo Testamento; troppo perché si possa appurare
    se anche costui, che si propone come modello da imitare, sia il fondatore della vera
    religione, e fino a che punto si debba dare ascolto a quelli che si dicono venuti prima. In
    questa indagine nessuna religione deve essere tralasciata, ma tutte devono essere
    confrontate, senza pregiudizi di sorta. Infatti, se ne fosse tralasciata una soltanto, forse
    proprio quella potrebbe essere la vera religione. Così, chi segue Mosè, seguirà la verità
    anche secondo i cristiani, salvo che non doveva fermarsi a quel solo profeta, ma prendere in
    considerazione pure la verità della religione cristiana.


    VII

    Certo, ogni religione asserisce che tutti i maestri sono dalla propria parte, e che essa lo ha
    sperimentato ed ancora lo sperimenta ogni giorno, e che non ne esistono altri migliori.
    Sicché o bisogna credere a tutte le religioni, il che è ridicolo, o a nessuna, che è la cosa più
    sicura, finché non si sia trovata la vera religione; ma è importante che non se ne tralasci
    nessuna nel confronto.
    Non è obiezione seria che per sapere che due più due fa quattro occorrerebbe mettere a
    confronto tutti i matematici. Non è la stessa cosa, perché non s’è visto mai nessuno che
    abbia messo in dubbio che due più due fa quattro, mentre invece le religioni sono in
    disaccordo su tutto, dal principio alla fine. Supponiamo che io ignori la retta via della
    salvezza; seguo intanto i Bramini o il Corano; Mosè e gli altri mi diranno: che male ti
    abbiamo fatto per essere così rifiutati da te pur essendo migliori e più veritieri? Che
    risponderemo? Ho creduto in Maometto o nei ginnosofisti perché sono nato in quella
    religione, vi sono stato educato e da essa ho capito che la tua religione e quella cristiana, che
    da te discende, sono ormai superate e corruttrici? Non replicheranno di non sapere nulla di
    quelli, e che gli altri non sanno nulla del vero percorso della salvezza, e che ciò che sanno è
    che quelli sono corruttori e impostori, che seducono il popolo con finti miracoli e
    menzogne? Non con tanta leggerezza bisogna prestar fede ad un solo uomo, o ad una setta,
    respingendo tutte le altre senza ogni doverosa indagine. Con lo stesso diritto un Etiope, che
    non è mai uscito dalla sua terra, potrebbe dire che sotto il sole non esistono uomini di colore
    diverso dal nero.
    Inoltre bisogna badare anche a mantenere lo stesso rigore nello studio di tutte le fedi, e
    non esaminarne scrupolosamente una soltanto sfiorando appena le altre e subito scartandole
    per una o un’altra affermazione apparsa ingiusta a prima vista, o per cattive dicerie sul conto
    del fondatore di quella setta. Infatti non bisogna prendere affrettatamente per dogma o per
    testimonianza sicura quel che il primo girovago qualsiasi abbia asserito sulle altre religioni.
    Fu così che, alle origini, per comune diceria e per semplice nomea, la religione cristiana era
    per alcuni motivo di orrore, per altri oggetto di scherno: per questi, perché i cristiani
    veneravano la testa di un asino, per quelli, perché mangiavano e bevevano i loro dèi, ecc.,
    sicché il cristiano alla fine era ritenuto nemico capitale di Dio e degli uomini, quando invece
    narrazioni siffatte o erano concetti mal compresi oppure solenni menzogne. Queste venivano
    consolidate, ed in parte erano nate, perché i nemici di quella fede o non parlavano affatto, o
    non correttamente, con i cristiani stessi, anzi coi più indottrinati fra questi, ma credevano al
    primo ignorante o disertore o nemico di essa. Dal momento che il criterio d’indagine che ho
    proposto è impresa di tanta difficoltà, che dire dei bambini, delle donne, della maggior parte
    del popolino? Già era preclusa la certezza della loro fede a tutti i bambini ed alla maggior
    parte delle donne, per le quali sono oscure anche quelle cose che derivano nel modo più
    chiaro possibile dai princìpi di una religione. E dal loro modo di vivere tu vedi con tutta
    probabilità che esse non hanno, tranne pochissime, una così acuta capacità di comprendere
    misteri siffatti. Per non parlare dell’altissimo numero di gente semplice o di contadini, per i
    quali il massimo sforzo razionale è la ricerca del cibo, gli altri accettano o respingono la
    religione in buona fede. Così rimane evidentemente una piccolissima parte ad avere capacità
    di esaminare tutte le religioni, confrontare con le altre scrupolosamente la propria, discernere
    criticamente il criterio della verità e della menzogna, cioè capire in quali punti si potrebbe
    essere ingannati; ma la maggioranza degli uomini segue la fede altrui, per lo più dei teologi,
    la cui cultura e capacità di giudizio sul sacro è accreditata dalla fama.
    E ciò avviene in qualsiasi religione: generalmente si comportano così quelli che non
    sanno leggere e scrivere, o che non hanno da leggere. Bisogna peraltro osservare che qui non
    basta, a discernere il vero dal falso, l’autorità dei maestri di una religione forniti di capacità
    di giudizio e di provata esperienza; pure agli altri deve risultare chiara tale distinzione, con
    certezza massima e per valutazione ugualmente scrupolosa; inoltre deve esser certo che quei
    maestri abbiano non solo la capacità di distinguere il vero dal falso, ma anche la volontà di
    manifestarlo. Giacché soprattutto dobbiamo esser certi che non voglia né ingannare né
    ingannarsi colui che professa una conoscenza ed una volontà di tal sorta.
    E che scelta faremo a questo punto, fra tanti maestri diversissimi anche di una sola
    religione eccellente? Infatti vediamo correligionari che sono in disaccordo in più punti,
    amicissimi per il resto; uno dei due, dissentendo dall’altro, fa questo per qualche difetto: o
    perché non capisce bene l’argomento, e quindi difetta di capacità di giudizio, o perché non
    vuol cedere, e quindi non ha volontà di professare la verità. Ma, anche se ciò capita su
    argomenti secondari della fede, tuttavia questi maestri diventano sospetti pure nel resto; in
    ogni caso, certo la verità è una, e chi se ne allontana in un solo punto, o per difetto
    d’intelligenza o per mala fede, diventa sospetto anche nelle altre affermazioni, e bene a
    ragione. Perciò, perché tu possa giudicare della competenza o dell’onestà di un maestro in
    materia di religione, per prima cosa devi essere abile come lui, altrimenti ti si potrà
    ingannare facilmente: egli poi, se non ti è ben noto, avrà bisogno per essere credibile della
    testimonianza di altri e questi a loro volta di altri, in un processo all’infinito non solo sulla
    sua veridicità, cioè che ha insegnato cose vere, ma anche sulla sua onestà, cioè che ha
    insegnato senza inganno. Pure sui testimoni si dovrà osservare lo stesso criterio di onestà
    intellettuale e di veridicità. Ma, a questo punto, quando arriverai ad una conclusione? E non
    è sufficiente che tali argomenti siano stati già disputati da altri; bisogna vedere come è stato
    fatto. Infatti le dimostrazioni che vengono comunemente divulgate non sono né certe né
    evidenti, ed arrivano a conclusioni dubbie attraverso argomentazioni spesso ancora più
    dubbie; sicché ritorni sempre al punto di partenza, come quelli che fanno un percorso
    circolare.



    Tratto da: Dei Tre Impostori - De Tribus Impostoribus

    Edited by L'Eremita - 1/9/2016, 23:44
     
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    Ho conosciuto mistici sufi illuminati.
    Suore di clausura zozze.
    Satanisti meravigliosi.

    Non è il Maestro a fare l'adepto.

    È l'adepto che deve elevarsi e superare il Maestro.

    Perciò è scritto:

    DISCIPULUS POTIOR MAGISTRO

    db9e5054ee8ff085f3953ac693dae019
     
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    Ho letto solo l'inizio e sono rimasto a bocca aperta, xkè già io sono sostenitore d questa tesi se pur senza sapere nulla di queste notizie. Nn è come c è stato detto e tramandato da 2000 anni, in senso ke è tutto il contrario, cioè ke quello ke noi pensiamo sia il male cioè Il Diavolo è invece il bene. Ed è stato tradito xkè molto carismatico e aveva visto la malvagità d altri e x questo l'ho hanno rinchiuso e fatto prigioniero. E v sembrerà strano ma ki l'ha tradito è stata una donna, infatti il Dio ke tutti adorano nn è altro ke Donna. Gesù è stato il primo maestro dell'occulto, cioè ha insegnato l'arte della magia nera. Vorrei sapere cosa ne pensate d questo!?!
     
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    QUOTE (Lezazza @ 18/4/2022, 22:11) 
    Ho letto solo l'inizio e sono rimasto a bocca aperta, xkè già io sono sostenitore d questa tesi se pur senza sapere nulla di queste notizie. Nn è come c è stato detto e tramandato da 2000 anni, in senso ke è tutto il contrario, cioè ke quello ke noi pensiamo sia il male cioè Il Diavolo è invece il bene. Ed è stato tradito xkè molto carismatico e aveva visto la malvagità d altri e x questo l'ho hanno rinchiuso e fatto prigioniero. E v sembrerà strano ma ki l'ha tradito è stata una donna, infatti il Dio ke tutti adorano nn è altro ke Donna. Gesù è stato il primo maestro dell'occulto, cioè ha insegnato l'arte della magia nera. Vorrei sapere cosa ne pensate d questo!?!

    Di questo ne penso soprattutto che è scritto male, il male è scrivere in questo modo, ma questo non toglie che tu abbia la libertà di farlo, è solo un mio piccolo pensiero personale da sorvolare. Inoltre penso che non ha senso attribuire un sesso a Dio. Tutto il resto è interpretazione, bene e male sono relativi al piano di riferimento, due facce della stessa medaglia, i vari attributi antropomorfi per me sono solo personaggi della fantasia. La religione è un virus del linguaggio e chiunque cercherà di creare la propria interpretazione per rilegare le persone che la pensano come lui. Preferisco la fede atea.
     
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    Nn sono x niente d'accordo con la tua visione. Xkè allora t dovrei domandare il motivo x cui sei qui, in questo forum, visto ke sei ateo. Lo sai ke la magia nera utilizza i demoni x creare le cosiddette fatture? È quindi come esiste il male esiste anche il bene.
     
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    QUOTE (Lezazza @ 19/4/2022, 17:16) 
    Nn sono x niente d'accordo con la tua visione. Xkè allora t dovrei domandare il motivo x cui sei qui, in questo forum, visto ke sei ateo. Lo sai ke la magia nera utilizza i demoni x creare le cosiddette fatture? È quindi come esiste il male esiste anche il bene.

    Mi piace conoscere le persone che la pensano diversamente da me, per questo sono qui. Il resto non mi interessa, le fatture, il bene, il male, preferisco altre argomentazioni più costruttive. Grazie.
     
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