Giulia Tofana

L'inventrice dell'acqua Tofana

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    Come qualcuno già sa sono una fan di veleni, pozioni, polveri ecc. E mentre facevo le mie ricerche, mi sono imbattura in questa storia, che va meritatamente condivisa.

    Partiamo da Costanze, la moglie di Mozart, la quale ricordò che il compositore era ossessionato dall'idea che qualcuno lo avesse avvelenato con l'acqua tofana.
    Dopo due secoli dall'invenzione, da parte di una donna e di una famiglia alquanto particolare, questo liquido riusciva ancora a penetrare nell'immaginario collettivo.
    Per comprendere i motivi dell'agitazione mentale che l'acqua tofana insinuava negli uomini, soprattutto nella veste di mariti, dobbiamo fare un salto nel tempo.
    Durante il XVII secolo, una cortigiana, fattucchiera, meretrice e quant'altro, di Palermo, elaborò la ricetta per una pozione incolore, insapore e inodore, che fece la sua fortuna, e quella delle persone che con lei condividevano questo turpe intento.
    La donna si chiamava Giulia Tofana, o Toffana, e grazie a questa invenzione divenne ricca e potente.
    Perché una pozione velenosa riuscì a rendere ricca una donna di misere origini?
    Giulia riuscì in breve tempo a far conoscere il suo veleno e a commercializzarlo fuori dalla sua zona d'origine. Il successo fu accelerato dalla volontà di molti coniugi, soprattutto o esclusivamente donne, che sentivano la necessità di divenire vedove, in un'epoca nella quale il divorzio non era riconosciuto.
    Chi era e da dove veniva questa donna che possiamo inserire nelle vette di una ipotetica classifica di serial killer?
    Le notizie biografiche su Giulia Tofana sono scarse e lacunose. Probabilmente era figlia, forse nipote, di Thofania d'Adamo, giustiziata a Palermo il 12 luglio del 1633 per aver avvelenato il marito. Giulia, rimasta orfana in giovane età, non ebbe la possibilità di studiare, risultando analfabeta e priva di ogni rudimento culturale.
    Ma conosceva la vita e i veleni.

    Come riuscì a sopravvivere?
    Vendendo il proprio corpo a uomini di ogni estrazione sociale e culturale. Il commercio carnale non permetteva d'elevare il proprio ceto sociale, neppure d'essere amata dal popolo, almeno non da tutto il popolo. Giulia aveva una seconda arma, più importante dell'aspetto e della capacità di far sognare i propri clienti: l'inventiva.
    La ragazza ereditò dalla parente, assassina, la volontà d'uccidere e il sangue freddo di attuare tale volontà. Affermazione che possiamo certificare con l'accusa, a Thofania, di aver avvelenato il marito. Esistono molte possibilità che sia stata la donna stessa, madre o zia di Giulia, la reale inventrice dell'acqua tofana. Se fosse vera questa ipotesi, Giulia avrebbe avuto il grande merito d'aver incrementato le vendite, allargando il mercato potenziale creato dalla parente, commercializzando il prodotto fuori dalla Sicilia, giungendo ad ottenere ricavi nelle città di Napoli e Roma. Il mercato si allargò a tal punto che decise di trascinare in questa impresa la figlia, forse sorella, Girolama Spera. Le due donne migliorarono il veleno al punto che risultava sufficiente una piccola quantità per procurare una morte priva di sintomi, facendo in modo che l'assassino non venisse scoperto.
    Il vero pregio dell'acqua tofana?
    Lasciava roseo il colorito del morto.
    Risulta molto interessante scoprire la composizione chimica della mortifera pozione. Gli ingredienti sono noti, ma non se ne conoscono le esatte dosi. L'acqua tofana conteneva arsenico, piombo e, probabilmente, belladonna. Il medico di Carlo VI d'Austria descriveva il contenuto come una soluzione di anidride arseniosa in acqua distillata aromatica, addizionata con alcoolato di cantaridi.
    Possiamo pensare alla donna, e alle maestranze, alle prese con boccette ed alambicchi.
    Andremmo fuori strada.
    Giulia Tofana faceva bollire, in una pentola sigillata, dell'acqua con miscela di anidride arseniosa, limatura di piombo e antimonio, ottenendo un liquido trasparente e privo di odore e sapore. Leggendo gli scritti del medico di Carlo VI d'Austria, l'anidride arseniosa nell'acqua creava un ambiente acido consentendo lo scioglimento del piombo e dell'antimonio, creando una soluzione dotata di elevata tossicità.
    Allargandosi il mercato aumentarono i rischi d'essere catturata.
    Intorno alla metà del Seicento, Giulia fu colpita da una denuncia proveniente da un marito sopravvissuto a un tentativo di avvelenamento da parte di una moglie sbadata, che non aveva seguito alla lettera le indicazioni fornite dalla produttrice.
    Su Giulia si allungarono le tristi ombre, della Santa Inquisizione.
    La donna decise di scappare, accettando le lusinghe di un frate, Girolamo o forse Nicodemo, che la condusse a Roma, dove potevano entrambi costruirsi una nuova vita. Abbandonarono Palermo per un bell'appartamento nel quartiere Trastevere, pagato dal frate, amante fisso della donna, che trascorreva le ore di preghiera e silenzio nel convento di San Lorenzo.
    Grazie ad un parente dell'ecclesiastico , speziale in un altro convento di Roma, Giulia riuscì per anni a rifornirsi di tutte le materie prime necessarie per la produzione del veleno.
    La fortuna girò le spalle però a questo strano insieme di anime.
    Una cliente della donna, la contessa di Ceri, commise un errore grossolano, ma fatale in questo contesto: ansiosa di liberarsi del marito utilizzò tutto il contenuto della boccetta smuovendo i sospetti dei parenti del defunto.
    Le indagini condussero, in breve tempo, a Giulia Tofana.
    La donna, imprigionata, passò per la camera dei tormenti.
    Durante la tortura, ammise d'aver venduto, per la maggior parte nella città di Roma, veleno sufficiente ad uccidere 600 persone, o meglio uomini, in un periodo compreso tra il 1633 e il 1651.
    Nell'anno 1659 fu condannata e giustiziata a Roma, nello stesso luogo che vide ardere il libero pensatore Giordano Bruno. La giustizia a Campo de' Fiori si prese anche la figlia, o sorella, Girolama, gli apprendisti delle donne e alcune mogli accusate d'aver avvelenato i rispettivi mariti.
    La follia omicida che aveva attraversato un lungo tratto della nostra penisola, si trasformò in paura. Molte donne accusate dalla Tofana d'aver ricorso ai suoi veleni, furono catturate, torturate e pubblicamente giustiziate. Altre furono strangolate nelle segrete dei palazzi.

    https://viaggiatoricheignorano.blogspot.co...-oltre.html?m=1
     
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  2. Taraverde
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    Non ne sapevo niente, non l' avevo neanche mai sentita nominare. Grazie :)
     
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    Nemmeno io la conoscevo...😨
     
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    Certo che conoscevo la storia della marchesa Tofana. Il suo vetriuolo (detto anche "agua reja" o "agua toffina" ) è una dlle leggende della moderna alchimia e viene citato nella settecentina "Antica Farmacologia", un opimento a base sulfurea e arsenica. La sua storia venne anche romanzata da Dumas nel suo romanzo "L'avvelenatrice". Il suo nome è stato tramandato nella cultura popolare napoletana per cui si definisce "Tofa" una donna acida e di mal affare.
    Approfondii la sua storia anni fa quando studiavo la farmacologia alchemica e la fitomedicina (ero alla ricerca della ricetta di un altro tipo di "vetriuolo" ma la storia di Giulia Tofana mi appassionò in modo particolare che feci una ricerca su tutti i testi sul metodo di preparazione di quel particolare veleno che a quanto si dice causò la morte di circa 600 uomini tra nobili, gentiluomini e benestanti.
    Giulia Tofana è un icona dell'alchimia del barocco napoletano, mi complimento per il topic :)

    Edited by Geb - 16/6/2019, 23:39
     
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3 replies since 10/6/2019, 10:53   282 views
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