Erbe magiche nella Letteratura Greca: il "Moly"

La misteriosa erba che cura l'anima

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    Antriani Fidelis
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    Ci sono alcuni passi nei Poemi Omerici che sono intrisi, a mio parere, di tradizioni magiche oscure, forti e primordiali, trasmesse insieme ai miti, alle leggende e alle gesta epiche di eroi dalla tradizione orale e che sono arrivate indenni, attraverso i secoli, fino a noi. Io sono sempre stata attratta e affascinata da queste descrizioni che non svelano immediatamente ogni cosa al lettore. Il loro mistero va ricercato attentamente all’ombra dell’etimologia stessa delle parole, molto più in profondità di qualunque accurata descrizione.
    La ricerca sotto la superficie. E’ questo che mi attrae dei Poemi Omerici e, in generale, di qualunque testo dell’antichità.
    Oggi voglio condividere con voi qualche informazione sul “Moly” (μῶλυ), la magica erba descritta in Odissea X da Omero, che avrebbe il potere di proteggere l’anima da incantesimi e veleni.

    Ulteriori informazioni le potete trovare in questo estratto tratto dal testo di Hugo Rahner “Miti greci nell’interpretazione cristiana” del 1971: www.samorini.it/doc1/alt_aut/lr/rahner1.pdf
    Buona lettura :)

    Omero così descrive questa erba:

    “La radice era nera, al latte simile il fiore, moly la chiamano i numi. Strapparla è difficile per le creature mortali, ma gli dei tutti possono." (Odissea, 10, 304-6).

    Nel racconto omerico questa pianta fu regalata ad Odisseo dal dio Ermes per salvarlo dagli incantesimi della maga Circe che tenne prigionieri lui e i suoi compagni per un anno sull’isola di Ea. Grazie al Moly Ulisse non fu trasformato da Circe in un maiale, come invece avvenne per i suoi compagni (la maga li invitò ad un banchetto nel suo palazzo e dopo che ebbero assaggiato le vivande furono trasformati in maiali, cani, leoni a seconda della loro indole e natura e poi li rinchiuse in una stalla).
    Il problema dell’identificazione di questa pianta misteriosa e della sua simbologia ha suscitato l’interesse di molti studiosi, antichi e moderni.

    Simbologia del Moly

    Ispirandosi all'Odissea un epigramma dell'Antologia Palatina interpretava l'episodio come un'allegoria dell'uomo diviso fra le due sfere del celeste e del terrestre:

    "Lontana da me, tu caverna tenebrosa di Circe: son nato da progenie celeste, ed è per me vergogna le ghiande mangiare come un bruto! ... Concedermi il Nume voglia del moly, il fiore che scaccia i cattivi pensieri".
    Qui Odisseo simboleggia l'uomo eterno, posto fra il chiarore celestialmente luminoso di Ermes e le tenebrose seduzioni di Circe. La salvezza verrà dalla pianta che, donata dal messaggero degli dei, gli scaccerà "i cattivi pensieri": pianta dalla radice nera e dal fiore bianco, che è nello stesso tempo simbolo sensibile di quanto avviene nell'anima.
    "Grazie al potere che è in quest'ultimo", scrive Rahner, "l'uorno si svincola dalle potenze tenebrose nelle quali egli sa che anche la sua radice è immersa: egli è una progenie celeste che col suo fiore, il suo 10 spirituale, si dischiude verso l'alto, bianco come latte e puro. Ma (e questo è l'elemento determinante nella simbologia del mito) ciò gli è possibile solo in quanto egli riceve soccorso da Dio, in quanto gli viene incontro il potere errante di Ermes".


    Il “Moly”: pianta agliacea?

    Plinio la identificava con l'Alicacabo, una pianta soporifera. Le identificazioni più diffuse riguardavano la mandragora e la ruta siriaca (Peganum harmala), piante entrambe dotate di effetti psicoattivi e allucinogeni.
    Secondo Teofrasto il Moly non sarebbe un’invenzione letteraria, ma una pianta che realmente crescerebbe sul monte greco Cillene e vicino al fiume Peneo, entrambi luoghi consacrati al culto di Ermes.
    La sua radice avrebbe forma di cipolla e le foglie simili a quelle della Scilla Marittima (Urginea Inaritinia), una pianta mediterranea con un grosso e pesante bulbo da cui si originano e si innalzano foglie alte un metro e fiori bianchi a grappolo: farebbe dunque parte della famiglia delle agliacche. Questa interpretazione sarebbe supportata dalla credenza popolare secondo cui tali piante proteggerebbero da ogni maleficio, l’aglio in particolare sarebbe così potente da provocare gravissimi malesseri a streghe e vampiri che vi si avvicinassero.
    Secondo la tradizione egizia e taoista invece, questa tipologia di piante si oppone alla crescita e all’elevazione spirituale, e dunque entrambi se ne astengono dall’uso.

    E se il “Moly” fosse la Ruta?

    Altri studiosi sostengono invece che "l'erba Moly" sia la Ruta (Ruta Graveolens), basandosi sulle notizie riportate da Dioscoride Pedanio che scriveva: "Quella pianta viene chiamata ruta montana e anche, in Cappadocia e Galazia, nioly.” Dioscoride proveniva proprio da quelle zone.
    Sempre secondo Dioscoride la ruta montana ha una radice nera e fiori bianchi e perciò corrisponderebbe perfettamente all'erba di cui parla Omero.
    Fra le erbe cacciadiavoli usate nella notte di San Giovanni, essa ha una funzione importantissima, pari all'aglio e all'artemisia, tant'è vero che fu chiamata nel Rinascimento “Herba de fuga denionis”. Già Aristotele ne raccomandava l'uso contro gli spiriti e gli incantesimi. Nel Medioevo si ponevano corone di
    ruta sulle tombe per allontanare gli spiriti maligni e, fino al secolo scorso, la piantina serviva anche nelle pratiche esorcistiche. Questa sua funzione potrebbe essere stata ispirata dalla forma vagamente a croce dei petali.
    Negli Abruzzi la si considerava un amuleto contro le streghe: se ne cucivano delle foglie, preferibilmente quelle su cui una farfalla aveva depositato le uova, in un borsellino che si portava celato sul seno. La si consigliava anche contro il malocchio, come credevano le donne del popolo in Toscana.
    Fin dall'antichità veniva prescritta anche per curare veleni e morsi dei serpenti.

    “Moly”: pianta allegorica o reale?


    Altri studiosi, ispirandosi a una definizione degli scolii omerici secondo cui ”Il Moly è una quintessenza di pianta, il cui nome proviene dal potere di rendere innocui i veleni", ritengono che sia una pianta favolosa, un’invenzione poetica usata per indicare un semplice antidoto. E dunque il modo migliore per capirne la "natura" sarebbe quello mitico-simbolico, già adottato dalla filosofia stoica, come testimonia Apollonio il Sofista: "Cleante, il filosofo, diceva che il moly significa allegoricamente il Logos dal quale vengono mitigati i bassi istinti e le passioni". Il Logos nello Stoicismo era inteso come la legge di vita dell'uomo razionale. Lo conferma anche l'autore degli scolii all'Odissea: "Essendo un saggio, Odisseo ricevette il moly, che significa il perfettissimo Logos, per il cui aiuto coli non soggiacque a passione alcuna".

    Con il tardo platonismo l'interpretazione protoilluministica dello stoicismo venne ribaltata alla luce della concezione per la quale Ermes non era più la personificazione della ragione, ma l'ambasciatore di Dio, e l'erba Moly un dono divino: la quale altro non era se non la paidéia, l'educazione interiore dell'uomo tesa a liberare le sue potenzialità di luce dalle tenebre della passionalità terrena. Ermes psicopompo, che concedeva l'erba moly, conosceva la strada e concedeva la forza spirituale poiché era il Logos.
    Grazie a questa interpretazione i cristiani poterono recepire allegoricamente i versi omerici sull'erba moly nella loro riflessione teologica, infatti Giustino paragonava Ermes-Logos al Gesù-Logos dei cristiani: "Quanto alla nostra credenza che egli nascesse da Dio, Logos di Dio, essa è comune con la vostra di Ermes, detto da voi Logos annunciatore da parte di Dio".

    Da quel momento le interpretazioni allegoriche proliferarono fino alla più recente che vede il moly come il simbolo dello stesso uomo, dell'eterno Odisseo: "l'eterno Odisseo" scrive ancora Hugo Rahner "sta fra Elios risplendente e l’oscura caverna. Nel suo proprio intimo infuria la battaglia fra il nero sangue del gigante e la luminosa natura solare. Lui stesso incarna il moly dalla nera radice e dal fiore bianco. Ma egli viene soccorso, salvato, elevato nella luce soltanto se la radice rigogliosa viene liberata con uno strappo deciso dalla madre terra. E' un'arte divina che solo Ermes può insegnare".
     
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  2. Mestawot
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    questa mi è piaciuta, grazie per la condivisione!
    volevo aggiungere anche un'ulteriore ipotesi di identificazione dell'erba moly:
    il ciclamino.
    Plinio il vecchio identifica, come scritto nell'articolo, questa pianta con l'alicacabo, ma è sempre sua la descrizione delle proprietà del ciclamino: egli dice che i luoghi in cui viene piantato il ciclamino sarebbero immuni da malefici e filtri nefasti. I greci attribuivano al ciclamino un potere magico e simbolico, legato alla circolarità, alla forma tondeggiante del bulbo e alla tendenza degli steli del fiore fecondato ad avvolgersi in una spirale . Interpretavano queste forme come figure magiche che rappresentavano l’universo ed il suo eterno ciclo di rinnovamento. Il nome stesso del ciclamino, che deriva dalla parola greca kyklos, cerchio, evoca in ambito esoterico il cerchio magico.
    Il ciclamino era sacro alla dea Ecate, madre di Circe, divinità dell’oltretomba, che presiedeva ad incantesimi e magie. la tradizione greca inoltre, che conosceva la tossicità dei bulbi del ciclamino, non lo considera una pianta malefica: se ben dosato infatti il suo veleno fungeva appunto da potente antidoto: era ritenuto infatti capace di guarire dal morso del serpente.
    in ogni caso sono più proprensa a pensare che Ermes non abbia fatto dono ad Ulisse di una pianta, ma di un farmacon, quindi di un estratto, che per gli uomini era difficile da ottenere:

    « Mi porse il farmaco, dalla terra strappandolo e me ne mostrò la natura. Nero era nella radice e il fiore simile al latte. Gli dei lo chiamano moly e per gli uomini mortali è duro strapparlo: gli dei però possono tutto ».

    cercherò il brano dell'odissea, voglio vedere se il verbo che qui viene tradotto con "strappare" può significare anche "estrarre". in questo caso moly non sarebbe il nome della pianta, ma il nome del rimedio
     
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    Ciao Mestawot, ti ringrazio, anche per l'interessantissima integrazione sul ciclamino :)

    Concordo con la tua interpretazione di φάρμακον, e anch'io ritengo che non si trattasse di una pianta, ma di un estratto, perchè generalmente i "farmaci" nel mondo antico erano costituiti da estratti vegetali, minerali e, più raramente, animali. Il termine ha una doppia valenza, perchè significa sia medicina che veleno, in quanto somministrato in determinati modi e quantità, poteva guarire oppure uccidere.
    Questa doppia natura del φάρμακον è attestata proprio nello stesso Libro Decimo, dove in un passo serve a Circe per trasformare in porci i compagni di Odisseo e in un altro questo stesso φάρμακον viene invece donato da Ermes per proteggere Odisseo dalle magie di Circe:

    Odissea X 235-237: "Circe mischiò nel cibo funesti farmaci (φάρμακα) perchè (i compagni di Odisseo) obliassero del tutto la patria. Dopodichè glielo diede e lo bevvero, li toccò subito con una bacchetta e li rinserrò nei porcili (v. 238)
    Qui il verbo usato ha il significato di "unire", "mischiare".

    Invece nel passo dell'erba Moly (vv.302-306), il verbo usato è ἐρύϖ , che ha proprio il significato di "tirare via", "estrarre", "strappare" , ed è nell'accezione che ipotizzavi tu, "estrarre", che anch'io intendo il verbo in questo contesto, quindi l'interpretazione, non facile di questo passo dell'Odissea, secondo me potrebbe essere la seguente:

    Ermes estrae dal terreno la pianta, il Moly, tant'è che Odisseo ne vede le fattezze e le descrive, poi il racconto di Omero si interrompe e la narrazione riprende con Odisseo che si reca nel castello di Circe.
    In questo gap narrativo, è da presupporre che Ermes oltre ad estrarre la pianta dal terreno, abbia somministrato anche ad Odisseo l'estratto ricavato da tale pianta, infatti il passo dice "e me ne mostrò la natura (v. 303)".
    Quindi direi che il nome della pianta e del rimedio coincidono, in questo caso.
     
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2 replies since 17/10/2012, 12:55   1833 views
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